Nella rosa del PSG campione d’Europa c’è solo un giocatore che aveva già vinto la Champions

Vincere con i giovani si può se si aggiunge sacrificio, applicazione e un sistema di gioco adatto.

C’era un momento perfetto per scattare una polaroid dei sentimenti dei giocatori del PSG campione d’Europa. Qualche attimo primo della consegna della coppa a capitan Marquinhos. L’organizzazione UEFA sbaglia e partono i cartoncini colorati in anticipo (in foto). Non se ne accorge nessuno, perché in quel mix di incredulità e attesa, tutti stanno guardando solo il trofeo. La rosa del Paris ha quell’appetito da contatto fisico tipico di chi un successo così non lo ha mai centrato. E in effetti, scorrendo il palmares del gruppo, ci si accorge di un dato incredibile: solo Lucas Hernández, entrato negli ultimi minuti, aveva già vinto la Champions League, ai tempi del Bayern. E che in questa stagione perfetta ha recitato una parte marginale. Guardando di titolari, c’era Marquinhos, unico superstite della finale 2020, ad essere arrivato all’ultimo atto della Champions. Per tutti gli altri era una prima volta assoluta, da Donnarumma a Pacho, da João Neves a Dembélé a Kvara. Eppure sono stati così bravi da nasconderlo.

Per tutta la settimana Luis Enrique ha lavorato principalmente su questo aspetto. Se non ha mai raggiunto certe altezze, l’aria ti può mancare. E allora bisogna ridurre la pressione. «Non ci è mai sembrata una finale di Champions, ma una partita come le altre» ha rivelato Donnarumma a Sky Sport a fine partita. Certo, facile se devi fare una sola parata su Thuram sul 4-0 in tutti i 90 minuti, ma il portiere italiano si riferiva più che altro all’avvicinamento al match. Un semplice esempio è la gestione delle ultime ore. A differenza dell’Inter, il PSG non ha sostenuto la rifinitura nella mattinata di ieri, preferendo una sessione video. Luis Enrique, conscio dell’ottima condizione fisica della sua squadra, ha voluto rilassarla e prepararla a reagire a tutti i set offensivi dell’Inter, anche a costo di scelte radicali o bizzarre.

Non è un caso che il PSG abbia buttato in fallo laterale il primo possesso della partita, in modo da andare a pressare sulla rimessa. Non è strano che le prime tre combinazioni sull’esterno tra Dimarco, Thuram e mezz’ala siano concise con tre falli. Segnali di un atteggiamento coraggioso ma non presuntuoso, determinato ma non incosciente. Come a dire, “Ok, siamo nuovi ma sappiamo esattamente cosa fare, non abbiamo paura perché crediamo nelle nostre idee”. Quella mancanza di esperienza che aveva tradito l’Inter a Istanbul, soprattutto nei momenti chiave del secondo tempo, a Monaco non ha intaccato il PSG.

Questo processo di maturazione si inserisce nel grande cambiamento a livello tecnico che il club ha intrapreso in estate. Alla base del nuovo sistema parigino c’è un atto di fiducia tra la proprietà, definita da Del Piero «presente ma non invadente» e Luis Enrique. L’esperimento molto americano dei big three (Messi, Neymar e Mbappé) più quelle che ingenerosamente sono state chiamate “figurine” (Di Maria, Icardi, Drxler, Verratti e Renato Sánchez) non ha funzionato, almeno per vincere quello che la famiglia Al Thani, sovrana del Qatar, desiderava di più, la Champions. E allora, in modo altrettanto americano, si è deciso di buttare giù la struttura e ripartire dai giovani. Non essendoci salary cap o altri parametri economici da rispettare, però, i diciannovenni João Neves e Doué, il ventiduenne Pacho e il 2001 Kvaratskhelia sono costati complessivamente quasi 220 milioni di euro. Ragazzi sì, ma talentuosi e pronti per partite così.

Nell’approccio a un gruppo che ha voglia d’imporsi e di spaccare il mondo, ti può permettere di pretendere molto. È quello che ha fatto Luis Enrique che ha chiesto sacrificio, applicazione, corsa, impegno per il compagno. Gli scatti di Dembelé per cercarsi la posizione, i ripiegamenti di Kvara su Dumfries, le scalate continue di Vitinha e Neves sono i cartelli luminosi di un bellissimo spettacolo di squadra. In cambio il tecnico ha promesso risultati, centrati. Dovesse conquistare anche il mondiale per club negli Stati Uniti, il PSG sarebbe la prima vergine europea ad aggiudicarsi cinque trofei in una stagione, dopo Supercoppa francese, Coppa nazionale, Ligue 1 e appunto la Champions. «Noi senza Mbappé? Rimango convinto che il prossimo anno saremo più forti. Segnatevi le mie parole: il PSG sarà migliore» aveva profetizzato Luis Enrique in una conferenza stampa a maggio del 2024. Non erano parole di circostanza, buttate lì per orgoglio, ma i primi semi di un progetto da raccogliere nel maggio successivo.

Leggi anche