Il Team Prima Pramac è molto più di un team satellite, intervista a Gino Borsoi e ad Alex De Angelis

Storia, obiettivi e nuove prospettive di un progetto unico e ambizioso.

Nel concitato finale della stagione 2024 di MotoGP, pochi giorni prima dell’appuntamento finale del Montmeló, il futuro campione del mondo Jorge Martín rilasciò un’intervista a cuore aperto in cui parlò dell’impresa che stava per compiere. All’epoca pilota del Team Prima Pramac, Factory supported team di Ducati, Martín si lasciò andare a una dichiarazione d’amore verso la sua squadra: «Bagnaia è in un team ufficiale [la Ducati Lenovo, nda]. Io ho un team di 12 persone che lotta da solo contro il mondo», disse lo spagnolo. «Se penso ai risultati che abbiamo raggiunto non posso chiedere di più: il mio successo è merito loro, di tutta la gente attorno a me. Voglio vincere il titolo per loro».

In queste parole sincere, più che in ogni altra mission aziendale studiata a tavolino, è racchiusa l’essenza del Team Prima Pramac. Che, nell’ultimo lustro, è stato protagonista di una serie di exploit che l’hanno messa al centro dell’universo Motomondiale. Ma la storia di Pramac nelle due ruote motrici ha inizio molti anni prima, quando nel 2002 Paolo Campinoti – all’epoca fornitore di generatori energetici per Honda con la sua azienda Pramac – decise di subentrare nella neonata MotoGP con un suo “team clienti” (come erano denominati allora) proprio della casa giapponese. Dopo due stagioni con Honda e una in partnership con il team clienti di Sito Pons (sempre con le moto dell’ala dorata), nel 2005 avviene il passaggio a Ducati e la fondazione del team D’Antin Pramac, nato dalla fusione tra la squadra di Luis D’Antin e quella dell’imprenditore toscano, che segna l’inizio di una nuova era.

Con l’addio di D’Antin del 2008, inizia a prendere forma la versione definitiva del Team Pramac: nel 2013 arriva la prima svolta, quando la squadra biancorossa diventa Factory Supported Team e vede di conseguenza aumentare la propria influenza nel Motomondiale. Quella del supporto Factory diventa una piccola rivoluzione nel mondo della MotoGP: essere un team con queste caratteristiche significa ricevere dalla casa madre le moto last evolution (e non le versioni precedenti, come avveniva storicamente) nonché condividere con essa una gran mole di dati e più in generale un supporto a 360°: tecnico, finanziario e analitico. Questa novità porta Pramac a un salto di qualità significativo, che nel decennio successivo si rispecchia in risultati sempre migliori, diversi piloti di spessore svezzati (Petrucci, Iannone, Miller e Bagnaia su tutti) fino ad arrivare all’apoteosi del biennio 2023-2024, in cui il Team Prima Pramac ha rispettivamente ottenuto dapprima il Titolo Mondiale Team (con Jorge Martín e Johann Zarco) e poi, appena pochi mesi fa, il Titolo Mondiale Piloti, con il succitato Martín, al termine di una lotta all’ultimo punto contro Pecco Bagnaia.

Probabilmente consapevoli di non poter alzare ulteriormente l’asticella, e anche per via di alcune divergenze, a metà 2024 Pramac e Ducati annunciano il tramonto della loro ventennale collaborazione al termine della stagione, con l’approdo del team di Campinoti verso Yamaha da un lato e la scelta del Team Pertamina Enduro VR46 come nuovo team con supporto Factory da parte di Ducati dall’altro. Per Pramac, si tratta di una nuova sfida: aiutare un marchio storico come Yamaha, protagonista ad altissimi livelli e vincitore di svariati titoli in MotoGP dal 2005 al 2021, a tornare al suo splendore dopo un quadriennio davvero difficile. Un obiettivo a medio-lungo termine (l’accordo firmato è della durata di sette anni) che metterà alla prova ambo le parti: da parte di Pramac, questo progetto dà la possibilità di confermarsi come miglior team privato del Motomondiale. Anzi, per confermare di essere qualcosa più di un team privato: Pramac, infatti, è ora il secondo Yamaha Factory Team, e riceve dunque lo stesso materiale di Monster Energy Yamaha – così come i piloti ricevono lo stesso trattamento dei piloti del suddetto Team.

L’accordo con Yamaha non si limita, tuttavia, al progetto MotoGP: Pramac ha presentato anche una squadra in Moto2, il Team BLU CRU Pramac Yamaha, dove corre con prototipi Boscoscuro (una delle tre motociclette della categoria di mezzo, assieme a Kalex e Forward). Abbiamo intervistato Gino Borsoi (team Director del Team Prima Pramac Yamaha e supervisore del progetto) e Alex De Angelis (team manager del team BLU CRU Pramac Yamaha Moto2) per farci raccontare direttamente da loro questo nuovo corso. In Pramac dal 2023, Borsoi è arrivato in MotoGP dopo una lunga gavetta tra Moto3, Moto2, MotoGP e MotoE nell’Aspar Team, durante la quale ha vinto sei titoli mondiali. È ritenuto oggi dagli addetti ai lavori tra i team manager più incisivi del Motomondiale.

Ⓤ: Borsoi, quali sono state le motivazioni dal punto di vista di Pramac nella scelta della partnership con Yamaha? Cosa vi ha convinto del progetto giapponese?

Beh, Yamaha è un’azienda importante, che nel corso degli anni ha vinto parecchi titoli. È uno dei marchi più vittoriosi del Circus, e quando un costruttore come Yamaha decide – come ha fatto in questo caso – di voler rientrare a tutti i costi, di voler tornare a essere uno dei punti di riferimento del mondiale, c’è sicuramente un progetto importante alle spalle. Dunque, perché non prendervi parte? Per noi è un onore far parte di questa grande famiglia. Siamo stati accolti come in una famiglia, e per come lavoriamo noi è una cosa importante. Contribuire a riportare Yamaha ai livelli degli anni d’oro è una sfida interessante e anche molto bella.

Ⓤ: Negli ultimi anni si è parlato spesso, soprattutto in MotoGP, di una sorta di “europeizzazione” dei team giapponesi come metodo di lavoro, per renderli un po’ più agili, un po’ più al passo con i tempi. La vostra collaborazione con Yamaha, unita ad altre mosse della casa giapponese (come la scelta di Pavesio in qualità di Managing Director), è uno dei motivi cardini di questa collaborazione? Siete stati scelti anche per questo?

Ⓤ: Sì, in effetti avere una sede in Europa è sicuramente molto più vantaggioso. In Formula Uno sono praticamente quasi tutti in Inghilterra, perché le tecnologie sono lì. Per quanto riguarda il Motomondiale, direi che la zona tra Italia e Centro Europa è quella dove si sviluppano la maggior parte delle tecnologie. Purtroppo io credo che ormai, soprattutto per i giapponesi, continuare a produrre la tecnologia da MotoGP in Giappone diventa più costoso e anche più complicato a livello di tempistiche. Quindi, centralizzare gran parte della tecnologia in Europa è sicuramente un qualcosa che ti può dare un vantaggio. Immagino che noi siamo stati scelti da Yamaha anche per il background che il nostro team si è creato negli anni, nei quali ha dimostrato di essere competitivo, affidabile e che ha all’interno della sua struttura delle persone che sono in grado di dare dei punti di vista e una visione che a Yamaha può interessare molto.

Ⓤ: Primo bilancio di questa avventura. Cosa avete trovato di nuovo? Dove ci sono margini di miglioramento importanti e dove invece c’è già un buon livello?

Come si può immaginare ci sono molte cose su cui lavorare. A partire dalla moto: certo, è sempre una moto con due ruote un motore, ovviamente… [ride, nda] ma è interessante come l’approach delle aziende, pur sempre lavorando su una moto con due ruote e un motore appunto, sia completamente differente. Se guardi il modo di costruire una moto di una Honda, una Yamaha o una Ducati, non c’entrano niente l’una con l’altra. Le visioni sono diverse, il modo di creare tecnologia è differente. Ed è interessante scoprire che ci sono anche strade più o meno vantaggiose, più o meno performanti. Comunque, anche se sembrano facili da costruire, nello specifico le moto sono davvero differenti. Da lì probabilmente emergono anche le differenze di prestazione in alcuni casi. Devo dire che in questo momento Yamaha, con un motore in linea – un po’ controcorrente rispetto al motore V4 che hanno le avversarie – ha dimostrato, con exploit come quelli di Quartararo (due pole position e un secondo posto nelle prime sei gare, nda) che c’è comunque ancora strada da percorrere su questa tecnologia, strada che immagino per il regolamento del 2027 dovrà poi essere abbandonata per certe caratteristiche che ha il motore in linea (soprattutto le dimensioni). Certo è che questo motore in linea non è ancora morto; noi tra l’altro nei test di Jerez abbiamo provato una versione del motore nuovo, migliorativa rispetto a quello che avevamo. In generale, tutto quello che ha portato in pista Yamaha fino a ora ha portato degli upgrade e sta dando dei risultati. Vuol dire che la strada è quella giusta, che il lavoro che stiamo facendo insieme è corretto e che questo progetto procede velocemente verso dei risultati speriamo simili a quelli che abbiamo visto con Quartararo. Ma non solo: speriamo tra un po’ di aggiungere dei risultati da parte del nostro team.

Ⓤ: Con Miller si era visto qualcosa di buono nelle prime gare, soprattutto ad Austin…

Jack è stato un po’ pilota di inizio stagione di Yamaha, dove ha fatto dei risultati allo stesso livello di Quartararo, e da lì ha dato delle indicazioni da cui, lavorando insieme a Yamaha, abbiamo tratto degli spunti su certe idee. Poi certo, Quartararo è Quartararo, è indubbio che sia un fenomeno e adesso si sta riportando al livello che tutti conosciamo e sta guidando la moto in modo impeccabile.

Ⓤ: A proposito di Miller: la scelta di lui e Miguel Oliveira come prima coppia del nuovo corso Pramac è dovuta alla lunga esperienza dei due in MotoGP e al fatto che entrambi hanno guidato moto di diverse case in classe regina, per avere piloti più abituati allo sviluppo?

Assolutamente sì. Sono piloti con molta esperienza in MotoGP e hanno visto moto differenti, con tecnologie differenti e sono stati in team differenti. Tutto questo bagaglio di esperienza aiuta noi a capire più velocemente di cosa c’è bisogno per migliorare su questa moto. Considera che Quartararo in MotoGP è nato su una Yamaha, non ha visto altre moto, quindi non può avere una visione esterna o feedback esterni come per esempio può averli Miller di una Ducati o una KTM e Oliveira di una Aprilia e una KTM. Tutto questo background non te lo può dare nessuno se non hai avuto questo tipo di collaborazioni, quindi ben venga per il progetto avere questi punti di vista che aiuteranno il team e Yamaha a prendere la direzione corretta.

Ⓤ: Spesso si dice che Pramac ha segnato un prima e dopo nella concezione dei team satellite. In cosa voi ritenete di essere particolarmente innovativi e quali sono i vostri punti di forza del know-how aziendale? 

In effetti abbiamo creato un prima e un dopo, vincendo in primo luogo il Mondiale Team – non dimentichiamoci che a volte forse è più difficile di un Mondiale Piloti, perché un Mondiale Team vuol dire far andare forte tutti e due, il che non è scontato – e poi il Mondiale Piloti. Quindi sì, in due anni siamo riusciti a fare qualcosa di incredibile, qualcosa che fino ad ora una squadra satellite non era mai riuscita a fare. Questo è stato possibile in primis ovviamente grazie ai piloti e al team che ha fatto un lavoro impeccabile. Qualsiasi persona all’interno del team è stata fondamentale: dal reparto comunicazione a chi organizza i viaggi, passando per i meccanici, il settore marketing, insomma tutti abbiamo lavorato davvero come un orologio svizzero per far sì che i risultati arrivassero. Ovviamente senza Ducati non avremmo potuto raggiungere questi risultati che ci ha sempre aiutato, dandoci materiale sin dall’inizio: bisogna ricordare il gran fair play che ha avuto Ducati nei nostri confronti.

Come squadra – almeno penso, questo magari sarebbe da chiedere a persone esterne che hanno una visione forse più corretta – siamo un gruppo in cui la gente lavora bene, serena e contenta. Siamo molto legati tra di noi. Poi è chiaro che c’è sempre qualcosa che ogni tanto non funziona, ma in linea di massima, io (che vengo anche da altre esperienze) vedo che in generale questa è una squadra molto unita. Ecco, probabilmente questa unione che abbiamo, questo ambiente speciale che si è formato all’interno della squadra, ha fatto sì che questi due mondiali fossero possibili».

Ⓤ: A inizio 2025 avete inaugurato una partnership con Alpine. In cosa consiste? Quali sono i termini di questo rapporto?

Sicuramente è uno sponsor importantissimo, un partner di primo livello. Non ci dimentichiamo che loro stanno creando tecnologia molto innovativa per quanto riguarda le macchine stradali e non solo, anche in Formula 1. Un interscambio di idee e di opinioni in futuro, per cercare di capire anche noi come progredire a livello tecnologico, sicuramente sarà parte della nostra collaborazione. Di certo è un’unione che ci lega con un marchio di livello, che ha prestigio. Per noi è un onore avere un partner come Alpine, così come è un onore avere Prima nella nostra struttura, anche perché loro sono stati i primi a credere in noi e ci hanno dato la possibilità di avere supporto economico, che ci ha aiutato negli anni a diventare la miglior squadra della MotoGP. Direi, quindi, che tutti gli sponsor che sono e fanno parte di questo grande progetto sono stati anche loro fondamentali a far sì che questa squadra prima vincesse titoli e ora stia diventando uno dei punti di riferimento di Yamaha che porta avanti il progetto. 

Ⓤ: Ritiene che oggi i team satellite partecipino in egual misura allo sviluppo della moto rispetto alle case madri?

Non posso parlare per le altre case costruttrici, in questo momento posso parlare solo di Yamaha. Nel nostro caso la risposta è affermativa: sì, partecipiamo attivamente, anzi devo dire che Yamaha parla molto con noi, ci chiede spesso cosa ne pensiamo e quali sono le cose che ci piacerebbe modificare o migliorare. L’interscambio di informazioni e collaborazione è estremamente importante e positivo con Yamaha; quindi, nel nostro caso, direi di sì.

Come ponte di unione tra le due conversazioni con Borsoi e De Angelis, il primo ci parla del progetto BLU CRU, una particolare iniziativa di risorse umane intrapresa da Yamaha che fa da title sponsor alla squadra di Moto2: «È un progetto che nasce per creare i talenti del domani. Ha un carattere strategico all’interno dell’universo Yamaha. Il mondo BLU CRU è piuttosto affascinante. Al suo interno ci sono parecchi piloti che vengono da tutto il mondo. Speriamo possa essere la porta d’entrata per tutti i piloti che dimostreranno in futuro che possono essere veloci e capaci di passare prima nella nostra squadra Moto2 e poi in MotoGP».

Con Alex De Angelis il discorso riprende proprio dal sistema BLU CRU. Il quale, come ci spiega, fungerà da serbatoio per il futuro di Pramac. «Il sistema BLU CRU è stupendo. Io stesso ho un team nel campionato italiano, con tre piloti che corrono nella Yamaha R7 Cup. Tutti i giovani nel progetto che dimostreranno di essere validi avranno una corsia preferenziale e un aiuto importante da BLU CRU, perché, come si sa bene, è uno sport bellissimo ma costoso. Avere una casa madre che ti supporta per arrivare nel Motomondiale è qualcosa di spettacolare: noi qui nel circus siamo la punta dell’iceberg del progetto».

Ⓤ: De Angelis, entriamo nel dettaglio del progetto di Moto2 di questa stagione. Le faccio la stessa domanda fatta a Borsoi per i suoi piloti: quali sono state le ragioni per la scelta di Tony Arbolino e Izan Guevara? Si è ragionato più a breve-medio termine per la vittoria del mondiale Moto2 o anche in ottica di un lancio in MotoGP? La squadra di Moto2 avrà la principale funzione di “vivaio” per la classe regina?

Io sono arrivato dopo che le scelte sui piloti erano state fatte e per questa stagione mi sto occupando della loro gestione a 360°. Ti posso comunque dire che, per quanto riguarda Tony Arbolino, la scelta è stata molto oculata. Lui è uno dei piloti italiani più forti in Moto2 (è stato due volte 2° nel campionato del mondo) e sta aiutando a costruire la squadra nel minor tempo possibile con la sua esperienza. Benché sia il primo anno che lavoriamo insieme, noi abbiamo tutti un curriculum molto importante, quindi stiamo cercando di trasferire a lui tutto il nostro know-how. È fuori discussione che l’obiettivo sia portare questi piloti in MotoGP nel minor tempo possibile. Questa cosa qui verrà fatta ancora di più, ma con più tempo e con più calma, con tutti gli anni necessari, per Guevara, che come sappiamo ha vinto tre anni fa il mondiale in Moto3. Lui è uno di quei giovani super-promettenti al quale dobbiamo davvero dare tutto il nostro supporto per poter diventare uno di quelli che poi potrà andare in MotoGP in futuro.

Ⓤ: Quanto dialogo c’è tra le strutture di MotoGP e Moto2 nel quotidiano? A livello di metodo di lavoro, di scambio dati, ci sono delle influenze reciproche?

Scambio dati in senso stretto no: sono moto diverse, con gomme diverse e regolamenti diversi, quindi noi non possiamo guardare i dati della MotoGP per apprendere qualcosa in più e viceversa. Chiaro che il Team Pramac alla fine è un team unitario: ogni volta che siamo a pranzo in hospitality, oppure ogni qualvolta che io o che i nostri tecnici e i nostri telemetristi hanno una domanda che vogliono rivolgere ai tecnici, agli ingegneri del team MotoGP, vedo che ci aspettano sempre a braccia aperte, sono sempre molto lieti di provare ad aiutarci se appunto tra i loro dati, tra le loro conoscenze, c’è quella risposta che a noi serve per un progetto che è nettamente diverso da loro, ma che comunque ha lo stesso obiettivo: andare forte.

Ⓤ: Ci potrebbe raccontare la settimana tipo di un team manager? Sia in race-week che in non-race week.

È un’evoluzione continua. Bisogna distinguere: se parliamo delle settimane invernali, noi, essendo alla fine una squadra completamente nuova, abbiamo fatto un lavoro disumano. Quando sono arrivato c’erano quattro muri bianchi di un capannone da allestire, non avevamo veramente nulla, nemmeno un cacciavite. Noi tecnici abbiamo passato tutto l’inverno a strutturarci, fare le richieste giuste per capire di cosa c’era bisogno. Quindi preventivi, mail, fatture, andare a vedere il materiale, sceglierlo e fare le riunioni, videocall (anche perché siamo tutti comunque in posti diversi dell’Italia e anche della Spagna) per cercare di scegliere insieme il materiale migliore, scelta dei test eccetera. D’inverno è stato un lavoro più da remoto ma un lavoro davvero abnorme. Ti posso assicurare che abbiamo avuto la bella soddisfazione di presentarci in pista alla prima gara, anzi direi al primo test, con tutto: non ci mancava assolutamente niente. Passami il termine, siamo anche belli da vedere, la squadra è stupenda si è presentata in maniera top e questo è stato molto importante sia per noi che per i piloti. Perché poi loro, diciamocela tutta, hanno bisogno di questo supporto anche visivo, chiamiamolo così, oltre che tecnico.

Dopodiché pian piano ovviamente il lavoro è cambiato, perché poi si scende in pista e lì c’è un lavoro nettamente diverso. Io da team manager che sono più o meno comunque il direttore dell’orchestra, ergo devo cercare di capire innanzitutto quali sono tutte le cose buone, tutte le varie problematiche da gestire, i malumori, le cose belle, cercare di fissare le buone e far sparire subito le piccole incogruenze che magari possono succedere in un ambito completamente nuovo. Abbiamo avuto per esempio quest’inverno per i piloti un po’ di problemi con il famoso chattering, di cui i piloti si lamentavano molto, e l’abbiamo risolto. Ribadisco: noi abbiamo tutti un curriculum importante ma è la prima volta che lavoriamo tutti insieme.

È stato bello cercare di creare non solo un buon gruppo di lavoro, ma un gruppo di amici, una famiglia, sia per noi che per i piloti. Adesso procediamo con tutto quello che è anche il lavoro di magazzino: c’è una persona che si occupa di gestire i ricambi. Per fare un altro esempio, dobbiamo decidere quali test fare: per esempio, dopo Le Mans, molti team di Moto2 si sono fermati a fare i test il martedì, noi abbiamo preferito non fare i test. Anche lì ci sono riunioni e videocall, perché comunque non si prende una decisione così importante improvvisando, visto che abbiamo i test contingentati e se giriamo in una pista non possiamo farlo in un’altra. Bisogna stare attenti a scegliere, mai ci vuole sempre anche fortuna nel meteo, perché quando scegli una pista e la giornata non saprai mai che meteo troverai. Noi abbiamo scelto di fare due giorni a Brno, anche perché ora si torna lì dopo 5 anni quindi i piloti non ci girano da molto. Anzi, Guevara in Moto3 non ci ha mai girato. Ci hanno fatto anche l’asfalto nuovo quindi abbiamo fatto questa scelta di andar lì a girare due giorni. Questo è tutto il lavoro che si fa a casa, più ovviamente interviste (come in questo caso), gestione del magazzino, dei meccanici, organizzazione viaggi (ognuno di noi parte praticamente da un aeroporto diverso e ci dobbiamo trovare il mercoledì mattina tutti insieme in circuito».

Ⓤ: Il Team Pramac ha attualmente una sede operativa designata? 

Al momento la sede è praticamente è in giro per il mondo, nei circuiti. Ora come ora il camion non torna più nemmeno a casa. Per esempio, dopo Le Mans il camionista è andato direttamente a Silverstone (per la gara successiva in programma due settimane dopo, nda) e con un aereo tornerà a casa qualche giorno. Dopodichè, riprenderà l’aereo e tornerà a Silverstone; da Silverstone andrà direttamente alla gara successiva. Dopo aver fatto arrivare tutto il materiale in Italia per caricarlo nel camion, assemblarlo, gestirlo e capire le varie problematiche (chi ha spedito materiale in ritardo, chi ha spedito materiale sbagliato…). Ovviamente, quando nasce un nuovo team ci sono tantissime cose da fare, da ordinare, da chiarire, da sistemare. Non è stato semplice. Siamo riusciti proprio a caricare l’ultimo pezzo in tempo per andare ai test di Jerez a febbraio. Da quel momento lì, il camion non è più tornato a casa.

Ⓤ: Come vi state trovando con le moto Boscoscuro?

Come dicevo abbiamo avuto, specie all’inizio, qualche problemino di chattering, che poi abbiamo risolto. Ora sta andando meglio. Devo ammettere che in questo istante Kalex è migliorata un po’, quindi noi siamo leggermente in affanno. Lo dicono i tempi, ma questi sono cicli: ogni situazione può far cambiare tutto, anche perché a Austin e Termas ha vinto una Boscoscuro. Il venerdì mattina, nelle prove libere, vedi già se sarà un circuito amico – quindi un weekend sulla carta positivo – oppure più di rincorsa. In generale però è tutto in divenire: non penso ci sia in questo momento una moto sicura di vincere il mondiale.

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