È stato un abbaglio europeo. Un altro: il 5-4 tra Spagna e Francia come – perfino più pirotecnico, meno emozionante – il 4-3 di Inter-Barcellona. E invece i campioni di Nations League arrivano dall’altra semifinale. Sempre a forte trazione parigina: festeggia l’inossidabile Cristiano Ronaldo, spiccano i reduci del trionfo in Champions. Vitinha, Nuno Mendes (indiscusso Man of the match della fionale), Gonçalo Ramos, João Neves. Insieme a loro, un gruppo partito in sordina. E chi li riteneva soltanto dei buoni giocatori impreziositi da qualche individualità di spicco, si è dovuto ricredere nell’avvincente notte di Monaco. Ancora una volta foriera di verdetti.
Ben inteso: se la finale dei club aveva messo in scena un confronto impietoso, quella fra nazionali si è svolta all’insegna dell’equilibrio (e non solo per l’esito deciso ai rigori). Certo la Spagna era e resta la squadra da battere, da due anni a questa parte. Ma mai in questo periodo – forse soltanto agli Europei contro la Germania, anche per il fattore ambientale – era finita così alle corde. Perfino sorpresa, dopo la scorpacciata contro la Francia che aveva dato a Yamal e compagni la sensazione di uno strapotere illimitato. Ecco: mai come al cospetto del Portogallo, l’imprendibile Yamal si è ritrovato così asfittico. Senza nemmeno un’inquadratura negli Highlights. Se invece la Roja se l’è giocata fino alla fine, a lunghi tratti con l’inerzia a favore, lo deve alle profonde risorse del suo straordinario collettivo. Non al lampo dei singoli – di un singolo? – che tanto spesso avevano fatto la differenza.
Specularmente, è uno straordinario collettivo pure quello lusitano. E questo, tutto sommato, ci era sfuggito. Anche per un’inclinazione storica al potenziale incompiuto, a un serbatoio di talento non sempre trasmesso sul campo: soltanto un anno fa, il cammino europeo di CR7 e soci si era fermato ai quarti, dopo un doppio 0-0 nella fase a eliminazione diretta. Nel frattempo però la nuova leva del Portogallo è cresciuta. E dodici mesi nel calcio sono tanti, talvolta scatenanti: chiedete a Barcola, a Doué, allo stesso Yamal.
Di colpo, nella due-giorni tedesca, l’Europa scopre così che tra Porto e Lisbona si sta sviluppando una squadra capace di rivincere ben oltre i fasti del passato recente (Euro 2016, Nations League 2019). Ha stupito senz’altro un Cristiano Ronaldo in versione chioccia – quattro dei suoi attuali compagni non erano ancora nati, quando lui debuttava in Nazionale – ma giammai in campo per eterna riconoscenza: altrimenti due gol alle final four non si segnano, nemmeno in area piccola, a porta sguarnita. E non basta il deserto dell’Arabia a deturparne la grandezza. Ma stupiscono ancora di più tutti gli altri: Diogo Costa ai rigori fa sempre la differenza, Nuno Mendes è un esterno devastante, il centrocampo sarà a posto per un altro decennio – Bernardo Silva e Bruno Fernandes compiranno presto 30 anni? Nessun problema: palla a Neves e Vitinha – e davanti c’è un’abbondanza perfino irridente-
L’equivoco si ripresenta pure esaminando le conoscenze del nostro campionato. Anche senza infortuni, il laziale Tavares – inarrestabile in Serie A – qui farebbe fatica a vedere il campo. Non basterebbe il miglior Leão per fargli trovare una maglia da titolare. Ed è quasi un paradosso che invece a trovarla – a onorarla: eurogol contro la Germania – sia invece Francisco Conceição, oggetto misterioso di una Juve che evidentemente non l’ha ancora capito. Dalla panchina dirige l’orchestra Roberto Martínez, che alla guida del Belgio aveva già ampiamente dimostrato come valorizzare una generazione d’oro – non esistono soltanto i titoli, e comunque l’odierno trionfo in Nations League è un buon viatico per spazzar via le critiche.
L’unica incognita, adesso? Di sicuro, profilo basso e poca pressione addosso, questo Portogallo ha beneficiato del clima che l’ha accompagnato in Germania. Ma ora non potrà più nascondersi: la vittoria di domenica lo proietta tra le principali candidate – magari non da favorita, ma tant’è – per conquistare i Mondiali dell’anno prossimo. Un trofeo finora mai conquistato, nemmeno da Eusébio, Rui Costa, dallo stesso Ronaldo. La prova del nove, per una rosa di 26 anni di media, sarà nella tenuta mentale che si traduce in lucidità sul campo – decisiva, ieri, per imbrigliare la Spagna. Quella del sette (CR), è presto detta: «Per me non è importante partecipare al Mondiale per Club, conta solo la Nazionale. E per questo devo godermi ogni momento”» Tempi supplementari e rigori annessi, calciati con gli occhi quando i piedi non bastano più.
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