Il calcio d’inizio del PSG è pura avanguardia (ma il Cholo Simeone si è già inventato il modo per disinnescarlo)

La ratio è semplice: buttare il pallone in fallo laterale per andare subito ad aggredire il possesso avversario.

Mosse e contromosse. È questo, alla fine, il calcio visto dalla prospettiva di un allenatore o di un match analyst. Figure il cui compito, di fatto, è quello di inventare nuovi meccanismi per rendere più efficaci le loro squadre. In questo aspetto, Luis Enrique è uno specialista. Perché è un grande creativo, perché le sue idee funzionano bene – magari non tutte, ma la maggior parte – da diversi anni, anche se si fanno sempre più visionarie. Come per esempio il calcio d’inizio ormai “classico” del suo PSG, che di fatto butta la palla fuori quando deve dare il via alla partita. Succede ormai da mesi, è successo contro l’Arsenal, all’Emirates Stadium lo scorso 5 maggio, quando la squadra parigina e l’Arsenal hanno giocato la semifinale di Champions League; è successo in finale di Champions, contro l’Inter. Ed è successo anche in occasione dell’esordio al Mondiale per Club, contro l’Atlético Madrid.

Ma in che senso il PSG “butta la palla”? Ed è davvero corretto dire così? Non proprio: perché stiamo parlando di un lancio lungo, preciso, diretto verso la bandierina avversaria. Una mossa che a prima vista può sembrare scellerata, quasi ridicola. Ma che in realtà è una trappola perfettamente congegnata. Il protagonista di questo schema è Vitinha: è proprio il centrocampista portoghese a lanciare sistematicamente il pallone in avanti, spedendolo in fallo laterale nella metà campo avversaria. Così facendo, il PSG “regala” volontariamente una rimessa agli avversari, ma lo fa con un obiettivo chiaro: spostarsi in massa nella metà campo avversaria e attivare fin da subito il pressing alto. Una mossa rischiosa, certo, ma che può cogliere impreparata la squadra avversaria, favorendo il recupero palla in zona offensiva e generando occasioni da rete fin dai primissimi secondi.

È una finezza tattica studiata ad hoc per sfruttare fino in fondo la vocazione al pressing dei francesi. Perché la rimessa laterale, a differenza di un passaggio in gioco, rallenta il ritmo: il pallone non può essere giocato con rapidità o su lunghe distanze. Inoltre, chi la esegue ha spazi e angoli di passaggio molto limitati. Questo rende la costruzione difficile e facilmente leggibile.

Se l’Inter, in finale di Champions, è stata colta completamente di sorpresa da questa trappola, l’Atletico Madrid ha reagito in modo più lucido. Evidentemente, come dire, Simeone si era preparato ad affrontare questo calcio d’inizio così strampalato, anche solo in apparenza. La squadra del Cholo, infatti, ha letto con intelligenza lo schema di Luis Enrique e, di fatto, è riuscita ad arginarlo. Come? Con la stessa arma, con la velocità: i giocatori dell’Atleti sono corsi a battere velocemente la rimessa, in pratica non hanno dato il tempo al PSG di salire in modo armonico, di occupare militarmente la loro metà campo. E così hanno potuto gestire un possesso – più o meno – comodo.

Al di là di questa contromossa ben riuscita, c’è stato ben poco da fare per l’Atletico. Il PSG è la squadra del momento, e non è un caso: i giovani campioni di Luis Enrique impressionano per la leggerezza con cui interpretano il gioco e per la sincronia collettiva che mostrano in ogni zona del campo. In fase di pressing, ma anche quando muovono il pallone in fase di possesso. Il nuovo metodo applicato ai calci d’inizio è solo la punta dell’iceberg di un sistema che ha funzionato – e continua a funzionare – alla perfezione. Il pressing alto, il recupero palla nella trequarti avversaria e la capacità di non offrire punti di riferimento hanno fatto sì che anche l’Atletico – come già successo a Brest, Liverpool, Aston Villa, Arsenal e Inter – finisse travolto. Il 4-0 rifilato a Simeone è stato, a tutti gli effetti, una lezione di calcio. Anche se è iniziata con un pallone buttato via.

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