La meravigliosa, indimenticabile sconfitta di Fabio Fognini

La sua ultima partita a Wimbledon è un manifesto del talento, dello stile, del tennis che ha sciorinato per vent'anni. Anche se alla fine ha vinto Alcaraz.
di Fabio Simonelli

La sua ultima partita a Wimbledon è stato una carezza alla storia del tennis italiano. Uno di quei match che onorano il gioco. C’era una macedonia di stati d’animo nel corpo di Fognini quando ha attraversato il tunnel del Centrale. Non ha neanche dovuto vederla quella scritta con la famosa frase di Kipling che invita a trattare la vittoria e la sconfitta come due impostori, due facce della stessa medaglia. Non c’era bisogno che se ne ricordasse, questo lungo tour di addio al tennis glielo sta insegnando fin troppo bene. Oggi è entrato in campo semplicemente per godersi ogni singolo scambio, per il piacere di giocare un punto in più sull’erba più famosa dello sport.

Ci sono stati diversi attimi in cui i 15mila del Centre Court hanno pensato di poter assistere a un evento storico. Un campione uscente eliminato al primo turno. Poi ad Alcaraz è tornato in mente che ha la striscia di vittorie di fila più lunga di tutti in stagione e che non perde un quinto set praticamente mai, così l’upset è stato evitato. Fognini, però, si è comportato come un maestro zen che sa di avere davanti un allievo più forte e potente, ma vuole rendergli omaggio andando oltre le sue possibilità attuali. A vederlo c’erano i figli e la moglie Flavia Pennetta, a cui è scesa una lacrimuccia sull’ultima magia del quinto game del quinto set. A loro ha voluto mostrare un teaser del suo talento spalmato su una carriera quasi ventennale, in modo che tra qualche anno possano dire con contezza: “Caspita, ma papà era davvero forte”.

Fognini ha gestito la partita alla perfezione. Un paio d’anni fa l’avrebbe sicuramente vinta. Ha capito subito che il caldo e il campo particolarmente secco avrebbero favorito i rimbalzi alti, controllati con accortezza e precisione. È sceso a rete quando serviva, mai una volta in più del necessario. Ha portato il gioco sul piano della tecnica e non dell’energia, anche perché ne aveva sicuramente meno del suo avversario. Ha smorzato, tagliato, giocato palle corte, veroniche, servizi incrociati e al corpo, ha risposto divinamente ai servizi di Alcaraz per almeno quattro set.

Nonostante il ritmo ondivago e i colpi da videogame, non è stata una partita simil esibizione, anzi: Fognini ha lottato su ogni singolo punto, alla fine sono stati 184 a 173 in favore di Alcaraz. Fognini è entrato nella testa del suo avversario in maniera lenta ma costante, come ci erano riusciti quest’anno solotantoMusetti e Sinner. Per larghi tratti dell’incontro, il fuoriclasse di Murcia è parso nervoso e incapace di contrastare un tennis quasi vecchia scuola. Percepiva di averne di più, ma non riusciva a scrollarsi di dosso Fognini.

Questo gli ha impedito di aspettare che la partita venisse a lui, cosa che prima o poi sarebbe successa dato che difficilmente Fognini avrebbe retto cinque ore di gioco. Eppure Alcaraz, quando non controlla lo scambio, quando non si viaggia ai suoi ritmi, quando gli si gioca alto sul corpo, si spazientisce e sbaglia. Il quarto set, da questo punto di vista, è stato un esempio significativo: Fognini lo ha letteralmente dominato, rifilando ad Alcaraz un 6-2 con doppio break e un parziale di cinque game in fila. Il punto di svolta è arrivato nel secondo game del quinto set. Fognini ha spiegato tennis anche dopo quattro ore: con una volèe in contropiede è volato sul 40-15 ma, come gli capiterà anche più tardi sul 4-0 Alcaraz, ha preso tre punti di fila e ha poi il game ai vantaggi. In realtà anche nell’ultimo set Fognini ha avuto diverse occasioni per rientrare, palle in cui forse non ha creduto neanche lui – magari per stanchezza fisica e mentale. L’interruzione dovuta alle operazione di soccorso a uno spettatore sentitosi male per via delle alte temperature ha definitivamente dissolto ogni possibilità di successo per l’italiano. Dalla pausa, Alcaraz è uscito come una furia, chiudendo il discorso in poco più di un quarto d’ora.

Fognini però si porta dietro l’ovazione del pubblico di Wimbledon, forse il finale in cui sperava per la sua carriera. È stato un epilogo molto romantico. Avesse vinto, non sarebbe andata nello stesso modo. Si sarebbe preso un applauso, lungo, ma avrebbe rischiato di congedarsi dall’All England Club dopo un k.o su un campo laterale al secondo turno. Anche se «a essere onesti non capisco perché sia il suo ultimo Wimbledon», ha detto Alcaraz a fine partitaChe poi ha aggiunto: «Può giocare ancora tre o quattro anni. Devo dargli tutto il credito, ha giocato un grande match. È un grande tennista, ha un talento pazzesco e lo ha dimostrato in tutta la carriera. Sono felice di aver condiviso il campo con lui», ha concluso lo spagnolo che qualche minuto prima aveva onorato Fognini con un sentito e profondo abbraccio, guidando gli applausi e suggerendogli di prendersi il centro del campo e godersi la standing ovation. Un momento che ha dimostrato che non conta solo come fai le cose, ma anche come le finisci. Gli ultimi istanti di una carriera intrisa passione sono quelli che rimangono, sono le polaroid dell’amore di una vita. Quella che si è regalato oggi Fognini, al di là del risultato, è una delle più dolci.

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