Sta arrivando una nuova generazione di tennisti che non avevamo mai visto prima, intervista a Jakub Mensik

Il giocatore ceco ha vinto il suo primo Master 1000 a 19 anni, è considerato una delle più grandi promesse del circuito e ne è pienamente consapevole.
di Alfonso Fasano
01 Luglio 2025

Poche cose al mondo sono più insopportabili delle espressioni idiomatiche, delle frasi fatte. Solo che in alcuni casi è davvero impossibile non servirsene. Prendiamo Jakub Mensik, per esempio: è un tennista che ha iniziato col botto, che è partito in quarta, e non ci sono altri modi per raccontare la sua storia. In fondo, a pensarci bene, con quali parole si può descrivere il primo tennista nato dopo nel 2005 che è riuscito a vincere un torneo ATP 500 o superiore? E ancora: che termini usare per definire un giocatore che ha conquistato il suo primo titolo del circuito ATP al Masters 1000 di Miami? Giusto per dare un po’ di contesto: stiamo parlando del secondo torneo del “Sunshine Doubles” dopo quello di Indian Wells, di una manifestazione con un montepremi da nove milioni di dollari, che nelle ultime tre edizioni era stata vinta da Alcaraz, Medvedev e Sinner. Insomma, siamo appena sotto il livello degli Slam, anche per prestigio.

Quando parla della sua vittoria in Florida, Jakub Mensik lo fa senza manifestare un particolare trasporto. Eppure si è trattato di un trionfo incredibile, perché – l’abbiamo già visto – ha aggiornato diversi record e perché è arrivato in modo quasi surreale: alla vigilia del primo turno, lo ha raccontato lui stesso, Mensik aveva deciso di ritirarsi a causa di un problema al ginocchio. Aveva già compilato l’apposito modulo, doveva solo consegnarlo ai commissari di gara. Poi però un fisioterapista dell’ATP gli ha fatto un ultimissimo trattamento articolare, Jakub ha cambiato idea e pochi giorni dopo ha battuto Novak Djokovic in finale. È una storia da film, eppure bisogna farsene una ragione: Mensik non si smuove. O forse si smuove solo un po’: «No, non direi che sia stata una vittoria incredibile o strana», racconta a Undici. «Se proprio devo trovare un aggettivo, direi che è stata una vittoria speciale. Perché è arrivata in un Masters 1000, in un grandissimo torneo, Ma io in realtà sapevo che il mio percorso di crescita stava andando super-bene, a volte mi è sembrato persino troppo veloce. La verità è che io ho sempre avuto l’ambizione di giocare contro i migliori tennisti del mondo, di affrontarli nei tornei più importanti. È successo, sta succedendo. E io mi sto divertendo molto».

Come detto, Mensik ha vinto a Miami battendo Djokovic in finale. Al di là dell’inevitabile – e anche un po’ retorica – narrazione sul passaggio di consegne tra il veterano e la matricola, tra il maestro e l’allievo, il bello è che anche questa partita ha avuto una chiara connotazione cinematografica. Perché il fuoriclasse serbo ha dovuto rimandare la festa per quello che sarebbe stato il suo 100esimo titolo ATP, perché Jakub da bambino e da ragazzo stravedeva per Nole, e francamente è impossibile dargli torto, perché si trattava davvero di un allievo e di un maestro: qualche anno fa infatti, Mensik si è allenato con Djokovic nel suo club di Belgrado. Anche questi ricordi, però, non scalfiscono troppo il giovane tennista ceco: quando parla della finale contro Djokovic, non va oltre un sorriso bonario e dice che «in fondo è anche grazie a lui, a Nole, se ho iniziato a giocare a livello professionistico. Affrontarlo nella partita più importante della mia vita, sfidarlo quando lui sta per finire la sua carriera ma è ancora competitivo ai massimi livelli è stata un’esperienza indimenticabile. E poi sono anche riuscito a batterlo. Cosa posso dire: è stato come un sogno che diventa realtà». Sì, a volte è davvero impossibile non servirsi delle espressioni idiomatiche, delle frasi fatte.

Ecco, il passaggio sulla carriera di Djokovic che sta per finire è un passaggio-chiave. Perché dimostra che dentro Jakub Mensik, come dire, arde la fiamma alta della consapevolezza. Consapevolezza di sé, del proprio talento, ma anche del fatto che stiamo entrando in un’era tennistica molto diversa da quelle precedenti. A livello tecnico, naturalmente, ma anche guardando agli equilibri di forza tra i giocatori. Insomma, Mensik sa che sta arrivando il momento di Mensik e dei suoi coetanei. E lo dice in modo piuttosto chiaro, piuttosto convinto. A volte sembra anche eccessivamente sicuro di sé, come quando in un’intervista rilasciata all’ATP ha detto che «non mi sento sorpreso» di aver vinto a Miami. Lo conferma anche a Undici, e mentre lo dice non perde il suo aplomb, non altera il tono della voce, non vivacizza troppo le sue espressioni facciali: «All’orizzonte c’è una nuova generazione di tennisti, sta arrivando nuova linfa. Per tanti anni Roger, Rafa e Novak sono stati in cima alla classifica, è incredibile pensare a quanto tempo siano rimasti lì, quanto sia durata la loro lunghissima carriera. Ma ora ci sono dei giocatori diversi, che stanno portando qualcosa di nuovo nel tennis. Credo che succeda sempre così, ogni volta che c’è un ricambio generazionale: il gioco assume nuove forme, assorbe nuovi stili e nuove idee. Ma adesso sta arrivando qualcosa di diverso. Qualcosa che non si era mai visto prima».

A questo punto è inevitabile parlare di tutte queste novità, del perché Mensik e gli altri grandi tennisti nati dopo il 2000 siano così distanti da chi li ha preceduti, anche soltanto di pochissimi anni. Jakub, descrivendo se stesso e le sue qualità, dice che «il servizio è sicuramente la mia arma migliore. Sono alto e potente, posso giocare colpi molto veloci da fondo, francamente mi sento un giocatore in grado di fare qualsiasi cosa. Al tempo stesso, però, sono preoccupato di tutto e devo curare tutto, nel senso che questa mia fisicità mi rende un tennista diverso rispetto ad altri, quelli che hanno soprattutto un buon tocco di palla, una grande sensibilità tecnica. Non sto dicendo che mi manchi tutto questo, sto dicendo che potrei migliorare ancora un po’ da certi punti di vista». Il fatto che compirà vent’anni il prossimo primo settembre, in questo senso, gli lascia un gran bel margine di sviluppo.

La realtà è che il talento ti porta fino a un certo punto. Oltre quel limite, la differenza la fanno la testa, la costanza, la tenuta psicologica. Mensik è consapevole anche di questo, ed è proprio attribuendogli certe virtù che parla di Janik Sinner come del miglior tennista al mondo: «Non ho dubbi su di lui, sul fatto che in questo momento sia il numero uno: è un giocatore strepitoso da ogni prospettiva, è alto, colpisce forte, è ancora giovane, fisicamente è eccezionale. Rispetto agli altri, però, ha qualcosa in più a livello di costanza, di testa: Sinner può avere giornate buone e meno buone, in questo è uguale a tutti gli altri tennisti e a tutte le persone del mondo. In campo, però, nessuno avverte quale sia la sua reale condizione, nessuno riesce a capire quale sia il suo umore reale, quale sia il suo stato d’animo. È sempre super-concentrato, e questo lo rende difficilissimo da affrontare e soprattutto da battere».

La sensazione di forza trasmessa da Mensik nasce da un gioco solido ma anche aggressivo, che sa diventare devastante quando Mensik mette la prima di servizio. Il suo è un tennis che si fonda essenzialmente sulla potenza e su un rovescio armonico, ma non disdegna grandi colpi a sorpresa, per esempio dritti incrociati e smorzate in back. Da questo punto di vista, nel suo stile c’è un’evidente influenza della scuola ceca, ovviamente declinata secondo canoni contemporanei. Era inevitabile che fosse così, in fondo i geni sportivi si trasmettono in maniera naturale, spontanea. È andata in questo modo dentro casa Mensik, perché suo padre giocava a hockey e sua madre era una sciatrice. Ma è avvenuto anche e soprattutto fuori dalla porta, a pochi passi di distanza: Jakub racconta che «a quattro anni abitavo a Prostejov, la città in cui sono nato, e davanti a casa mia c’erano due campi da tennis. Già allora guardavo i bambini e i ragazzi che giocavano. cercavo di imitarli, di riprodurre i loro movimenti. Mi è subito piaciuto quel tipo di gioco, lo spirito che ci mettevano, la concentrazione che esprimevano quando erano in campo». Un anno dopo avrebbe iniziato a giocare seriamente, dando così il via a una carriera che l’ha portato al terzo posto dei Campionati Europei e dei Mondiali Under 14, a disputare la fase finale della Coppa Davis Junior, a conquistare il titolo europeo Under 16, a giocare la finale dell’Australian Open e la semifinale di Wimbledon a livello juniores.

Poi è arrivata la crescita esponenziale nell’ultimo anno e mezzo: a febbraio 2024 ha battuto il suo primo Top 10 (Andrej Rublev) e ha raggiunto la finale al torneo 250 di Doha, poi si è qualificato ai Giochi Olimpici di Parigi 2024 ed è arrivato al terzo turno degli Australian Open. Infine, ecco la detonazione improvvisa e accecante che ha travolto Miami. Nel frattempo, cioè mentre studiava come aspirante fuoriclasse del tennis, Jakub Mensik è diventato una persona dal temperamento forte e piena di interessi. Che ha imparato a suonare la batteria, che per un po’ – soprattutto durante il lockdown imposto durante la pandemia – ha persino studiato qualche gioco di magia da fare con le carte. Cose tipiche di un teenager, viene da dire, e infatti è lui stesso a parlare di sé in questo modo: in merito al suo tempo libero, a ciò che fa fuori dal campo, racconta che «mi piace pensare di essere un ragazzo come tanti, a cui piace stare con la famiglia, con gli amici, con la fidanzata. Ora come ora sono sempre in giro, nei momenti di pausa mi fermo e cerco di ricaricarmi un po’, di trovare nuova energia. Anche la moda mi interessa molto, mi piace vestirmi con stile dentro e fuori dal campo. Insomma, sono un tennista professionista e ho degli obblighi, delle responsabilità, ne sono perfettamente consapevole. Allo stesso tempo, però, cerco di fare il possibile per godermi la vita». Pure questa in fondo è un’espressione idiomatica, una frase fatta, ma anche stavolta non c’erano parole migliori per dirlo.

Da Undici n° 62
Foto di Guido Gazzilli
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Tutti i look sono firmati Emporio Armani
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