Altro giro altra corsa. È il destino calcistico di Adrien “Cavallo Pazzo” Rabiot. Puntualmente scostante, imprevedibile, provocatorio. Anche nel finale di questa sua breve avventura al Marsiglia, costellata di gol (dieci in 29 partite, media da attaccante) e ogni domenica sotto i riflettori (per il semplice fatto di esistere, fosse solo per aver giurato amore eterno al PSG salvo poi approdare anni dopo agli acerrimi rivali). Eppure, al contempo, il centrocampista ormai 30enne si è sempre dimostrato costantemente duttile e utile alla causa. Jolly d’interdizione, rifinitore, all’occorrenza realizzatore. E tutto il calcio che oggi lo critica, forse un giorno lo rimpiangerà.
I contorni della telenovela Rabiot (perché oltre al talento sul campo c’è pure l’aura da drama al di fuori, a partire dallo spogliatoio) hanno sempre le stesse caratteristiche. E personaggi da copertina: soprattutto Veronique, l’ingombrante mamma-agente che ci ha messo un attimo a prendere atto della rottura con il Marsiglia, fulmine a ciel quasi sereno, per rimettere il figlio all’attenzione del miglior offerente (si profila un ritorno in Serie A? Chissà). Fatto sta che anche stavolta Adrien l’ha combinata grossa, arrivando alle mani con un compagno di squadra (Jonathan Rowe, pure lui in dato partenza dall’OM) dopo la sconfitta alla prima di campionato in casa del Rennes. Entrambi sono subito finiti fuori rosa, con il benestare di De Zerbi, dopo che l’ex Juve aveva accusato l’inglese di scarso impegno sul campo. Morale della favola: il calo di rendimento è stato invece imputato dal club a Rabiot al termine di questa preparazione estiva. Sipario.
E così, appunto, alla fine di agosto Adrien deve trovarsi una nuova sistemazione. Chi accetterà la sfida, accogliendolo in rosa, farà bene a tenere a mente l’imprevedibilità del suo temperamento e le frequenti ingerenze tecnico-economiche del fuoriclasse (e di madame Veronique). Ma l’altro piatto della bilancia continuerà a fare gola. Perché Rabiot, ovunque abbia giocato, ha saputo lasciare il segno anche più di quanto dicano i numeri. È stato così al PSG (12 trofei in sei anni), è stato così a Torino (altri quattro, tra cui l’ultimo scudetto bianconero) e in buona parte anche con la Nazionale di Deschamps (argento mondiale in Qatar e una Nations League in bacheca), fino a riportare il Marsiglia in Champions. Una lussuosa risorsa per tutti. Avrebbe potuto fare di più, con atteggiamenti diversi e senza la tremenda pressione addosso del predestinato, sin da quand’era un ragazzino all’Academy parigina? Probabile. Ma ciascun campione va preso così com’è, prendere o lasciare. E Rabiot, zazzera al vento e lampi di pura irriverenza calcistica, ha scelto una sola legge. La sua.