Essere in uno dei club migliori al mondo, se non nel numero uno in assoluto, significa accettare condizioni che altrove sarebbero piuttosto frustranti. Per esempio giocare meno. O non giocare affatto (in Champions League). Con la pressione addosso di avere poche occasioni concrete per lasciare il segno e far cambiare idea al proprio allenatore: è partendo da questi presupposti che Federico Chiesa sta pazientemente cercando di ritagliarsi un ruolo importante nel Liverpool. Dopo tante difficoltà e infortuni. Dopo uno smarrimento fisico, tecnico e mentale che ha frenato la crescita del miglior talento offensivo del calcio italiano. Ma che a 28 anni da compiere è ancora nel pieno di una grande carriera. Potrebbe diventare grandissima.
“Sono sempre contento di giocare a Anfield e per il Liverpool”, ha sorriso Chiesa dopo i due assist decisivi realizzati in EFL Cup contro il Southampton, dove è stato premiato Player of the match. “Posso lasciare il segno in questa competizione, ma voglio dimostrare al mio allenatore che posso giocare di più anche in Premier League”. Con vista Champions, dove l’ex Juve è stato inizialmente escluso dalla lista compilata da Arne Slot. “Il mister mi ha dato diverse chance in questo avvio di stagione e gli ho fatto vedere che posso essere d’aiuto alla squadra. Lui mi ha spiegato il suo pensiero, il perché delle sue scelte. Ovviamente mi dispiace non prendere parte alla massima competizione europea. Ma gli ho risposto che non è un problema: continuerò a lavorare duro ritagliandomi il mio spazio in Inghilterra. Sono un professionista, sono un giocatore del Liverpool ed è fantastico esserlo”.
Per Federico è un momento che sa di nuovo inizio. Subito in gol contro il Bournemouth, alla seconda giornata di campionato. Poi l’exploit in coppa, nella sua prima partita da titolare di questa stagione. La concorrenza è tanta, sempre di più: i Reds là davanti hanno appena acquistato Isak, Wirtz, Ekitike. Farsi largo tra i migliori sul mercato – e altrettanto cari, strapagati dal club – non sarà impresa facile. Ma se tornerà davvero il fuoriclasse che in Inghilterra aveva trascinato l’Italia sul tetto d’Europa, quattro estati fa, Chiesa non deve temere nessuno. Al centro del villaggio come al centro di Anfield. Un obiettivo affascinante, al tempo stesso un reset. Perché le ultime stagioni, per una ragione o per l’altra, non sono state all’altezza del suo talento e lui è il primo a saperlo. Anche per questo accetta di buon grado decisioni tecniche che indispettirebbero i più. Sa anche che questo è il momento di avere pazienza. E di giocare da Chiesa, quando viene chiamato in causa.
Il rapporto con la piazza d’altronde è ottimo. Anzi, dice lui, “dall’anno scorso sento il bisogno di dover dare qualcosa indietro a questi tifosi: qualcosa ho cominciato a fare, voglio continuare così. Il supporto che mi danno durante ogni match è fantastico. E mi piace il coro che mi hanno dedicato, non c’è nulla di sbagliato in questo”. Un ritornello che fa pressapoco così: li sento piangere a Torino, Federico è qui per vincere, due parole con Arne Slot e lui ha detto “Ciao, fuck off Juve, ora sono un Kopite” – al netto degli sfottò è un chiaro segnale di appartenenza, la canzone d’amore di Anfield, nel linguaggio di Anfield, per Federico.
Insomma, i presupposti per tornare protagonista ci sono di nuovo tutti. Ed è una buona notizia anche per la Nazionale: soprattutto in questi tempi bui e avari di talento, Chiesa in piena forma è ancora il migliore nel suo ruolo a disposizione di Gattuso. L’unico in grado di saltare l’uomo, inventarsi dal nulla una giocata salvifica e farsi carico della pressione necessaria per essere il punto di riferimento dell’Italia. Con il Mondiale alle porte e la qualificazione in bilico, sarà bene per tutti che Federico macini a buon ritmo gol e minuti con la maglia del Liverpool. Che quella azzurra ha ancora urgente bisogno di lui. Oggi come a Wembley, palla al 14 e preghiera.