E se all’improvviso la tendenza a ringiovanire stesse sfuggendo di mano? La domanda sembra perfino stonata parlando del Chelsea, fresco di un double inedito nella storia del calcio – Conference League più Mondiale per Club – che a portato i Blues a diventare l’unica formazione di sempre a vincere tutte le competizioni esistenti targate FIFA e UEFA. Eppure, nuova stagione alla mano, il tema sussiste. Dopo un buon avvio in Premier League, Palmer e compagni hanno perso tre delle ultime quattro partite tra campionato e Champions – rimediando un’importante lezione di maturità dal Bayern, dal Brighton e perfino dal malconcio Manchester United. “In termini di esperienza c’era un gap enorme fra le due squadre”, ha ammesso anche Enzo Maresca dopo la trasferta bavarese. E di nuovo, dopo la sofferta vittoria in EFL Cup in casa del Lincoln: “James Gittens non aveva mai giocato contro una squadra di League One. Lo stesso vale per Jorrel Hato. Abbiamo un gran bisogno di questo tipo di esperienze. Un gran bisogno”.
Perché il Chelsea, pur dall’alto del suo faraonico valore di mercato – rosa da oltre un miliardo di euro, stando alle stime di Transfermarkt –, sta iniziando a pagare l’inevitabile dazio di una strategia aziendale fin troppo chiara. E cioè la linea verde, detonatrice di enormi plusvalenze reali e di ricchezza autentica creata in casa. In termini manageriali, incassi alla mano, non fa una piega: soltanto la vendita dei giocatori cresciuti nell’Academy dei Blues ha portato in dote quasi mezzo milione di euro nell’ultimo triennio. Ma come sembra dire Maresca, “non si nasce imparati”. Anche nel caso dei talenti più cristallini. Basti pensare, come sottolinea The Athletic, che l’età media dei calciatori del Chelsea è crollata dai 27,7 anni del 2021/22 ai 23,9 odierni. Mentre il tasso di ricambio interno – cioè la percentuale di giocatori che non erano presenti in rosa nella stagione precedente – ha superato il 60% nel 2024.
Una rivoluzione che in termini tecnici finora ha perfino coinciso con una nuova spinta verso l’alto: prima di Maresca i Blues versavano in acque brutte e deludenti. Ma pensare che i successi degli ultimi mesi abbiano sancito l’identikit della squadra da battere, all’interno del panorama calcistico mondiale, rischia di essere fuorviante. Il divario tecnico basta e avanza per vincere la Conference. La freschezza, la tenuta del collettivo possono perfino dare l’illusione di surclassare in partita secca – si è pur sempre trattato di un trofeo estivo – lo strapotere assoluto esibito fino a quel momento dal PSG. Quest’anno però il Chelsea si appresta ad affrontare la prova del nove: nessuno sottovaluterà più i ragazzi di Maresca. Né in Premier, né in Champions League. E quando il giocatore più esperto e talentuoso del gruppo – Cole Palmer, già un gol in finale agli Europei nel cv – ha soltanto 23 anni, l’allenatore è il primo a non farsi illusioni. O ad alimentarle.
Sarebbe un problema per il Chelsea? Non necessariamente – anzi, in termini finanziari niente affatto. Certo è che rimanere competitivi sui due fronti più competitivi del calcio europeo oggi, con questa rosa, resta una sfida complicata. Aggiungere nuovi trofei in bacheca sarebbe una sorpresa, dare battaglia fino in fondo rappresenterebbe già un buon risultato. Perché il problema per questo Chelsea è l’oggi. Ma domani, nelle prossime annate, nessuna squadra europea è stata meglio pianificata e costruita dei Blues. Di mezzo ci sono tante partite e gli imprevisti del gioco. Cioè quel che Maresca ripete come un mantra: esperienza, esperienza.