Un mucchio di primedonne. Steven Gerrard non usa giri di parole, descrivendo quel che lui e i suoi compagni hanno rappresentato per oltre un decennio in Nazionale. Forse l’Inghilterra più forte di sempre, potenzialmente devastante in ogni reparto: difesa granitica, il miglior Rooney in attacco. Soprattutto, l’imbarazzo della scelta a centrocampo: Lampard e Scholes su tutti, insieme all’ex bandiera del Liverpool. Eppure, direbbe Mourinho, zero titoli. Non solo: zero partecipazioni dalle semifinali in su tra Europei e Mondiali. Aspettative altissime e puntualissimo fiasco, torneo dopo torneo. Perché, si è interrogato a lungo il mondo del calcio? “Eravamo dei perdenti egoisti”, risponde oggi Gerrard, ospite del podcast di Rio Ferdinand. “Non eravamo amici, non eravamo connessi. Non eravamo una squadra. In nessun momento siamo andati vicini a diventare davvero un gruppo solido”.
È un’ammissione profonda, che va al di là dei proverbiali blocchi psicologici o scherzi del destino attorno alla Nazionale dei Tre leoni. Quei dettagli che magari hanno interrotto la corsa inglese proprio sul più bello in diverse occasioni importanti – Italia ’90, Euro ’96, 2020 e 2024 – ma che nulla hanno a che fare con la cosiddetta “Golden Generation”. Quella programmata per vincere tutto, imbattibile alla PlayStation. E che alla fine non ha vinto niente. “Perché non riuscivamo a costruire un’alchimia in spogliatoio?”, si domanda Gerrard. “Non riesco a pensare ad altro che all’immaturità o all’egoismo: ora vedo Carragher e Scholes in tv e sembrano migliori amici da sempre. Lo stesso vale per Gary Neville. E probabilmente mi sento più vicino a te”, dice, parlando con Rio, “di quanto lo fossi durante la nostra carriera. Perché non eravamo così quando avevamo 20, 21 o 23 anni? Era un problema di ego? Una questione di rivalità?”
Lo storico centrocampista, oggi 45enne, aggiunge di aver “odiato i ritiri con l’Inghilterra. Odiavo la mia stanza. Odiavo l’atmosfera. Certo, mi divertivo un mondo a giocare per la Nazionale. Ne ero fiero. E mi piacevano anche gli allenamenti: ma erano novanta minuti al giorno. Per il resto mi sentivo perso, che fossimo a Londra o in Romania cambiava poco. Sentivo di non far parte di alcuna squadra. Non avevo alcun tipo di rapporto coi miei compagni. Volevo soltanto giocare, allenarmi e poi essere da un’altra parte”. Secondo Ferdinand tra i giocatori c’era rancore diffuso, Gerrard specifica “anche un po’ di odio. Forse era un atteggiamento immaturo. Ma avrebbe anche dovuto esserci più enfasi da parte del nostro staff, per farci capire di metterci tutto alle spalle e di concentrarci insieme per l’obiettivo. Più attività condivise, più svago, più tempo insieme”. Per intenderci, tutto ciò che rese speciale l’Italia di Lippi nel 2006. Certi trionfi nascono così: partite a ping-pong, alla console, gli scherzi, le risate e i tuffi nel laghetto di Duisburg. Settimane che hanno forgiato la Nazionale campione del Mondo. Forse avrebbe potuto essere l’Inghilterra, ma va benissimo così. Non ce ne voglia Gerrard.