Se David Beckham avesse giocato un decennio o due più tardi, nella lunga epoca di Cristiano Ronaldo, forse oggi il portoghese non sarebbe l’unico calciatore miliardario al mondo. Perché è difficile immaginare uno status symbol degli anni Novanta più capace di capitalizzare la propria affermazione commerciale e sportiva meglio di quanto stia facendo lo storico centrocampista del Manchester United. Ormai Sir, filantropo, imprenditore. Alla London School of Economics studiano il suo nome come esemplare caso di successo. E di versatilità aziendale: il marchio Beckham trasforma in oro qualunque cosa tocchi. Tra proprietà immobiliari e calcistiche – l’Inter Miami in primis –, una vasta gamma di sponsorizzazioni a vita – Adidas, Pepsi, Gillette, Armani –, diritti d’immagine, licenze e produzioni di contenuti. Secondo il Financial Times, il conglomerato mediatico dell’ex centrocampista paga oltre 80 milioni di dollari in dividendi. Un affarone, per chi ci aveva investito in tempi non sospetti.
La crescita economica dell’impero Beckham è stata infatti costante e progressiva. Basti pensare che Forbes un decennio fa valutava il suo brand circa 50 milioni di dollari: oggi quella cifra è decuplicata. Perché il suo artefice l’ha fatta fruttare. Certo, la solida base dell’ascesa è legata alla sua sfavillante carriera sul terreno di gioco: oltre 700 milioni complessivi, tra United, Real, Milan, PSG e Los Angeles Galaxy – il vero, visionario colpaccio di David, sottolinea Marca, che all’epoca della firma coi californiani chiese e ottenne l’opzione di acquisto di una franchigia di MLS per la modica cifra di 25 milioni di dollari. Un diritto di esclusiva valido per cinque anni, utili a studiare con cura il mercato per poi scegliere la piazza giusta. Da quella base, Beckham avrebbe fondato nel 2018 l’Inter Miami. Che ormai – a proposito di calciatori-azienda: arruolare Messi sposta tifosi e capitali – vale oltre un miliardo di dollari.
Un capolavoro in continua espansione, visto che Beckham, oltre all’avveniristico stadio in costruzione a Miami, ha di recente aumentato la sua partecipazione al 10% nel Saltford City. Una squadra di League Two inglese da monitorare con attenzione, visto come si sviluppano i progetti di un suo certo azionario di minoranza. Al contempo Beckham si è dimostrato abile investitore ben oltre la dimensione calcistica: nel suo ampio portafoglio figurano un marchio di whisky scozzese, un azienda di cannabinoidi light, poi altre di e-sports, integratori alimentari, snack per bambini e restauro di auto d’epoca. Una diversificazione capillare e ragionata, che al contempo riflette la prontezza di vendere quando è il momento di farlo: è il caso di Authentic Brands – la proprietaria di Reebok, per intenderci –, ceduta nel 2022 per 250 milioni di dollari. E altra linfa in saccoccia. DRJB Holdings, che gestisce tutte le controllate di Beckham, ha chiuso il bilancio del 2024 con un fatturato da 80 milioni e un utile da 38,5. Roba da S&P 500.
E tornando al traguardo economico appena tagliato da CR7. Sir David e Lady Victoria non ci vanno lontani: il loro patrimonio combinato sfiora il miliardo di dollari complessivi. E continua a crescere, anche per l’immagine che i Beckham riescono a trasmettere di sé. In un mondo imprenditoriale alterato da fenomeni di green, black o sportwashing, la signorilità del 50enne di Londra passa per pulita, genuina. E lo è, donazioni alla mano: gli svariati milioni devoluti nel corso degli anni all’Unicef, di cui David è ambasciatore di lunga data, l’hanno reso tra i filantropi più influenti al mondo. Oltre alle nobili intenzioni, anche questo è un volano per quegli affari che non hanno alcuna intenzione di girare storto. Un mattoncino alla volta, sempre di più.