Al di là delle recriminazioni sparse sul format dei gironi, oppure sull’incrocio sfortunato con quella che – numeri alla mano – è stata la miglior rappresentativa mai vista nella storia delle qualificazioni UEFA ai Mondiali e/o agli Europei, bisogna cominciare a interrogarsi seriamente sulla consistenza della Nazionale italiana. O meglio: sulla Nazionale italiana intesa come squadra di calcio, prima ancora che come espressione di un movimento – qualsiasi cosa voglia dire il termine movimento. L’arrivo di Gattuso, un evento ormai vecchio di cinque mesi, non ha prodotto né modificato granché: l’Italia era e resta una piuma al vento, il progetto tattico è ondivago e diventa inefficace ogni qual volta si manifestano delle difficoltà, i giocatori in campo sembrano andare una, due, anche tre volte più lenti rispetto ai loro avversari, difendono male e attaccano in modo ripetitivo, senza fantasia, senza inventiva.
La partita contro la Norvegia, in questo senso, è e deve essere una spia rossa accesa nel cruscotto di Gattuso e della FIGC: l’Italia l’ha approcciata bene, l’ha anche giocata bene nei primi dieci-quindici minuti, e infatti è andata in vantaggio con Esposito; poi però la manovra offensiva ha perso di intensità e di mordente, e così il primo tempo è scivolato via senza ulteriori sussulti. Alla Norvegia, dopo l’intrvallo, è bastato riordinarsi e alzare i giri del motore per diventare padrona della partita, quella emotiva prima ancora che quella tattica: un tiro in porta dopo pochi secondi dall’inizio della ripresa e la squadra di Gattuso è come se si fosse liquefatta, da lì in poi l’unica risorsa offensiva è stata l’apertura in ampiezza verso Politano, poi movimento a rientrare sul sinistro e cross al centro. Dall’altra parte del campo, invece, i norvegesi sono arrivati sul pallone e l’hanno mosso in avanti con una rapidità e una qualità nettamente superiori a quelle dei loro avversari, la squadra di Solbakken avrebbe potuto anche segnare di più, e il punto è proprio questo: l’Italia vista nella ripresa, del tutto simile a quella scesa in campo a Chisinau contro la Moldavia, è una squadra monocorde e quindi prevedibile, contro cui è facilissimo difendere; in virtù di questa condizione, porta avanti molti uomini e finisce per scoprirsi, per difendere vulnerabile. Ed essere vulnerabile contro Nusa e Haaland, non contro gli attaccanti della Moldavia, fa tutta la differenza del mondo.
In questo momento, dunque, l’Italia di Gattuso non ha alcun pregio visibile. È scomparsa anche la squadra assurda ma volenterosa e divertente vista due mesi fa contro Israele. Certo, gli Azzurri pagano un gap fisico piuttosto ampio rispetto alla Norvegia, e quindi forse era giusto cercare di recuperare un minimo di equilibrio tattico passando dal 4-4-2 al 3-5-2. Questa trasformazione, però, ha determinato una ridondanza di soluzioni – e quindi una prevedibilità – che è stata fin troppo facile da arginare. A maggior ragione se il trio di centrocampo schierato dal primo minuto è composto da Locatelli, Barella e Frattesi, tre giocatori dinamici e di buona qualità, ma privi di quella scintilla che può cambiare l’inerzia di un’azione – e quindi, sul lungo, di una partita. Certo, in realtà andrebbe detto che Gattuso non ha a disposizione nessuna mezzala davvero creativa, nessun giocatore che possa muoversi o ragionare come rifinitore. E allora forse sarebbe stato cambiare sistema, puntare su uno schieramento diverso, inventarsiqualcosa che non fosse così semplice da leggere.
Come se non bastasse, poi, l’intensità difensiva della Nazionale di Gattuso ha un andamento sinusoidale, anche perché non ci sono dei riferimenti chiari – il baricentro è alto o basso? Il pressing è intenso o solo selettivo? – e gli automatismi tipici del calcio di club, come per esempio quelli dell’Inter di Chivu o della nuova Roma di Gasperini, sono impossibili da riprodurre. Quello che ne viene fuori è un ibrido sospeso tra semplicità e sofisitcatezza, in cui il valore assoluto dei giocatori – Esposito, Retegui e Politano non saranno all’altezza di Nusa e Haaland, d’accordo, ma Barella, Dimarco, Bastoni e Donnarumma sono più forti dei loro corrispettivi norvegesi – risulta più basso se non addirittura azzerato.
Insomma: in vista dei playoff di marzo, Gattuso ha l’obbligo di progettare un’Italia che abbia un’identità, un’anima tattica in grado di valorizzare il materiale umano a disposizione. Materiale che probabilmente non è di primissima qualità, va bene, ma di certo permette di assemblare qualcosa di meglio rispetto a quanto visto nelle ultime partite. La Nazionale azzurra può – anzi: a questo punto deve – andare oltre la retorica dell’unione e del gruppo, quella poteva bastare in passato quando il talento dei singoli riusciva a nascondere tutti gli altri scompensi – e spesso non è bastata. Ora serve che si lavori a a un progetto che non si sfaldi alle prime difficoltà, a una squadra che non sia una piuma al vento, che abbia una prospettiva al di là della singola partita. Sembra paradossale dirlo alla vigilia di un doppio playoff, di un dentro-fuori che vale il pass per il Mondiale, ma non c’è altra strada. Ne va della credibilità e quindi della sopravvivenza stessa del nostro movimento, qualsiasi cosa voglia dire il termine movimento.