Sinner è un’emozione incredibile, ma vorrei abbracciare Alcaraz dopo i suoi punti più belli: intervista a Paolo Bertolucci

L'ex giocatore italiano, ora apprezzata seconda voce del tennis su Sky, parla del suo lavoro, del tennis di ieri e di oggi, della Coppa Davis.
di Margherita Sciaulino 28 Novembre 2025 alle 19:16

Il successo del tennis italiano non è merito solo di chi lo gioca ma anche di chi lo racconta e di chi lo commenta. Paolo Bertolucci è stato il numero 12 della classifica mondiale, ha portato l’Italia del tennis sul tetto del mondo nel 1976, battendo il Cile insieme ad Adriano Panatta e a tutti gli altri componenti di un’indimenticabile squadra di Coppa Davis. Ma senza saperlo, proprio nell’anno più importante della sua carriera da tennista, stava mettendo le basi per proseguire con un altro tipo di carriera: quella del telecronista. In un panorama sportivo dove tutto va sempre più veloce — il ritmo degli scambi, l’intensità fisica e l’attenzione del pubblico, oltre che mediatica — la sua voce è diventata un punto fermo per gli appassionati di tennis, una certezza. Quasi sempre in coppia con Elena Pero, Bertolucci ha commentato le grandi finali di Jannik Sinner e ci ha fatti emozionare, con quel trasporto di chi il tennis lo ama e basta: «Tante volte vorrei alzarmi in piedi e urlare!», racconta Bertolucci a Undici.

Il successo dei commenti di Bertolucci deriva dalla curiosità verso il futuro, senza perder tempo a parlare di quello che ormai è finito: «A me piace molto prevedere il futuro piuttosto che parlare di quello che è già successo». Spontaneo e ironico, Bertolucci è un libro aperto senza filtri con una grande nostalgia di Roger Federer, una profonda stima per Jannik Sinner e tanta voglia di continuare a stupirsi di fronte ai colpi di Carlos Alcaraz. E anche se la Coppa Davis di quest’anno ormai è andata, ed è andata bene, siamo arrivati giusto in tempo per fargli fare le ultime considerazioni dell’anno: Flavio Cobolli non è lontano dalla top 10 e questa Davis tanto criticata, è ancora emozionante, ma va cambiata.

Com’è iniziata la tua carriera da telecronista?
Ho iniziato tanti anni fa, proprio in quel famoso ‘76, prima della finale di Coppa Davis. Ero giù in Sudamerica e il responsabile Rai di allora, Giobbe, mi chiese se tutte le sere potevo mandare un pezzo da un minuto e mezzo su quello che era il clima in Sudamerica. Quindi iniziai questa collaborazione nel ‘76. ma nel frattempo continuai a fare il giocatore. Quando smisi di giocare, un amico mi chiese di accompagnarlo al torneo di calcio di Viareggio per una serata dove premiavano i giornalisti e i commentatori. Io non volevo andare, ma alla fine lo accompagnai. Ero al tavolo con Dawrin Pastorin, direttore della neonata televisione a pagamento Stream. Durante quella cena mi chiese di fare un provino per commentare le partite con loro. Quando andai a Roma a fare il provino credo che durò sui 30 secondi (ride). E da lì, iniziò tutto.
La tua voce ormai è un punto di riferimento nelle partite importanti. Trovi che sia più difficile commentare il tennis di oggi in cui tutto va sempre così veloce, rispetto al tennis di una volta?
È ovvio che, come in tutti gli sport, oggi c’è una componente di forza, fisica e mentale, superiore a prima. È tutto più rapido e più veloce. C’è meno tempo per pensare ed è difficile capire, per chi osserva, dal punto di vista tattico cos’è accaduto o cosa accadrà. A me piace molto prevedere il futuro piuttosto che parlare di quello che è già successo. Mi piace capire cosa suggerire, sperando che il mio giocatore faccia certe cose. Infatti anche quando devo scrivere sulla Gazzetta, non voglio commentare la partita il giorno dopo, preferisco farlo il giorno prima o il giorno stesso.

Qual è il collega o la collega con cui ti trovi meglio a fare le telecronache?
Oggi come oggi con Elena Pero. Ma ho avuto la fortuna di iniziare a fare le telecronache con Mangiante a Roma e poi con Marianella a Milano: loro due in particolare mi hanno aiutato moltissimo a dettare i tempi. Poi ho lavorato tanto a Sky e ho avuto il grande piacere di fare alcune telecronache con Tommasi. Poi a un certo punto hanno smesso si affiancarmi ad altri professionisti e mi hanno lasciato andare a ruota libera, senza più aver timore che potessi sbagliare.
Di Sinner hai già commentato tante partite, ma soprattutto finali. Qual è stata la più emozionante fino ad ora e perché?
Sicuramente Wimbledon quest’anno. Per mille motivi, ma soprattutto perché per la prima volta nella storia un italiano aveva vinto il torneo più prestigioso di tutti. È stata una cosa incredibilmente emozionante.
C’è stato un altro tennista che ti è piaciuto guardare e commentare in maniera particolare?
Senz’altro Roger Federer. Per me lui resterà sempre il tennis. Più su di lì non si può andare, mi dispiace. Però sai, le sue partite le commentavo in maniera più distaccata. Oggi con l’avvento di Sinner e degli altri italiani c’è un coinvolgimento diverso, tante volte vorrei alzarmi in piedi e urlare. Il trasporto è così forte che spesso mi devo mordere la lingua.

Jannik Sinner in Italia ha fatto avvicinare tantissima gente al tennis. Alcuni di questi nuovi tifosi però sono forse un po’ ignoranti in materia e se la prendono con chi fa la telecronaca. Per esempio, ho letto che Elena Pero è stata insultata perché pensavano che tifasse per Alcaraz. Cosa ne pensi?
Trovo che sia assurdo, io la vedo sempre Elena, siamo seduti uno di fianco all’altra e vi posso assicurare che soffre più di me ogni volta che Sinner riceve una palla. Quindi è totalmente ingiusto. Quando giocatori come Alcaraz ti abbagliano dalla bellezza dei loro colpi, non posso non farlo notare. Se quel giorno Alcaraz gioca meglio o fa delle cose fantastiche, non posso non dirlo. Noi facciamo questo lavoro perché amiamo il tennis e chi fa delle cose fenomenali rientra in questo amore. Dopo certi punti io, Alcaraz, lo abbraccerei. Sono troppo belli.
A te è mai capitato che qualcuno ti insultasse per la tua telecronaca?
Accidenti, sì! Su Twitter mi hanno detto che ce l’ho a morte con Sinner, che sono salito sul carro Sinner all’ultimo momento. Oppure, una delle frasi che non potrò mai dimenticare è stata: “Dovresti baciare i piedi a Sinner, non eri nessuno e sei diventato famoso grazie a lui”. Mah, diciamo che stavo benino anche prima (ride).

C’eravamo sentiti qualche settimana fa per parlare della Coppa Davis e anche senza Sinner, non hanno deluso le aspettative. Ti ha emozionato questa Italia? Come l’hai vissuta?
Mi ha emozionato molto la partita di Cobolli, quelle partite lì ti rimangono dentro. E poi mi ha emozionato perché, come avevamo detto, c’erano tantissime possibilità. Ma ci tengo molto a fare due considerazioni: prima di tutto, è gravissimo per tutte le altre nazioni del mondo che le due nazioni con i due giocatori più forti assenti, siano arrivate in finale. Forse gli altri Paesi dovrebbero farsi delle domande, significa che non hanno davvero nessuno in squadra. La seconda considerazione è che noi non abbiamo incontrato nessun giocatore tra i primi 35 del mondo, ed è grave per la Coppa Davis. I dirigenti non capiscono che non l’hanno solo sminuita: l’hanno completamente decapitata. A noi italiani è andata bene, eravamo in casa e abbiamo vinto. Ma prendi il Brasile o l’Argentina: non sanno neanche che abbiamo giocato o cos’è successo. Devono assolutamente riprendere in mano la situazione e farla diventare un torneo almeno biennale. Vedrete che in quel caso i giocatori più forti concederanno tre o quattro settimane ogni due anni alla Davis. Questo è diventato un campionato del mondo indoor, non si gioca su altre superfici e, in quella settimana lì, senza i migliori del mondo, non ha senso. Noi siamo stati fantastici ma, obiettivamente, tutta ‘sta sorpresa non c’è stata.
Se dovessi scegliere uno degli altri italiani, chi potrebbe essere il prossimo a varcare la soglia dei top 10?
Forse Flavio Cobolli, perché è senz’altro quello più vicino in classifica e ha delle qualità non comuni dal punto di vista fisico ma anche di cuore. Un giocatore di ottimo livello. Poi sai, se Rune non gioca e De Minaur non fa il salto di qualità, di spazio per entrare ce n’è. Non è più come una volta, quando entrare nei primi 10 del mondo era un’impresa, lì lo spazio non te lo lasciavano.

Qualche mese fa avevi detto riguardo ad Alcaraz: “Se lo spagnolo matura, diventerà imbattibile per anni”. E nella seconda metà del 2025, Alcaraz ha dimostrato di esser maturato. Chi vedi davanti tra lui e Sinner nel 2026?
Si sono spinti a migliorare l’uno con l’altro tutto l’anno. Sinner sta cercando un tennis un po’ più vario rispetto a quello di prima e Alcaraz sta lavorando, probabilmente anche con qualcuno fuori dal campo, per ottenere una continuità di rendimento e di nervi saldi che lo vedono ancora indietro a Sinner. Questa loro salita continua è un dramma per quelli dietro, ma non so chi vedrei davanti tra i due in questo momento. Certo è che, le sconfitte di Alcaraz, per esempio con uno come Norrie, a Sinner non capitano mai.
Un’ultima curiosità: con tutta l’esperienza che hai, dopo gli anni passati con la Federazione, non hai mai pensato di fare l’allenatore o di entrare in un team per una collaborazione?
No e non so come faccia uno come Darren Cahill ad avere ancora quella voglia. Ha girato il mondo per 30 anni ma ancora vuole riprendere la valigia e fare colazione, pranzo, cena con un ragazzo di vent’anni, la sua famiglia, il manager eccetera. No, io non potrei mai.   

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