Micheal Jordan è sempre stato un uomo che sposta. Naturalmente nel basket, dove è universalmente riconosciuto come il GOAT, il Greatest of all time, il migliore di tutti i tempi, ma anche negli affari, basti pensare alla sua collezione di prodotti Nike, divenuta in quarant’anni una multinazionale a sé stante. Tra i suoi investimenti sportivi, oltre alla proprietà degli Charlotte Hornets, la franchigia NBA del North Carolina, suo stato d’origine, ceduta nel 2023, Jordan si è buttato nel mondo della NASCAR, la competizione motoristica più amata dagli americani. Anche qui, ovviamente, è entrato facendo molto rumore, anzi cambiando per sempre i meccanismi di una delle storiche passioni sportive made in USA.
Come analizzato da The Athletic, infatti, per nove giorni consecutivi, Michael Jordan ha seguito da vicino il processo antitrust intentato dalla sua scuderia, la 23XI Racing, insieme alla Front Row Motorsports, contro la NASCAR. Al centro della causa l’accusa di condotta monopolistica nella gestione dei charter, le licenze che consentono ai team di partecipare stabilmente al campionato. Jordan, co-proprietario della 23XI insieme a Denny Hamlin, ha assistito ogni giorno alle udienze in un tribunale federale di Charlotte. Un segnale chiaro del peso personale e finanziario che l’ex leggenda NBA ha voluto dare a una battaglia legale senza precedenti nella storia della NASCAR.
Nonostante il coinvolgimento di altri attori rilevanti, il processo è stato percepito fin dall’inizio come uno scontro diretto tra Jordan e la NASCAR. Senza le sue risorse economiche, la sua determinazione e la disponibilità a sfidare apertamente la famiglia France – fondatrice e storica guida della NASCAR – la causa difficilmente sarebbe mai arrivata in aula. Giovedì è arrivata la svolta: un accordo che introduce charter permanenti per tutti i team della Cup Series, equiparabili alle franchigie degli altri grandi campionati sportivi professionistici statunitensi. Un cambiamento strutturale che segna un punto di non ritorno per la NASCAR.
In precedenza, i team erano costretti ad acquistare charter per decine di milioni di dollari, con la garanzia di partecipazione a tutte le gare e introiti annuali stimati intorno ai 12,5 milioni di dollari. Tuttavia, tali licenze avevano una scadenza e potevano essere rinnovate solo accettando nuovi termini imposti dalla NASCAR, definita dal giudice del caso come un monopolio di fatto. Nel settembre 2024, 13 dei 15 team con charter hanno accettato un nuovo accordo, ritenuto da molti proprietari una scelta obbligata per evitare il fallimento. Le testimonianze in tribunale hanno descritto un clima di forte pressione, con investimenti familiari pluridecennali a rischio.
23XI Racing e Front Row Motorsports sono state le uniche a rifiutare l’intesa, scegliendo la via legale. Il processo ha portato alla luce comunicazioni interne compromettenti, dettagli finanziari riservati della famiglia France e ha contribuito a destabilizzare la leadership della NASCAR. L’accordo finale non favorisce solo i due team ricorrenti. Tutte le scuderie della Cup Series beneficeranno ora di charter permanenti, aumentando in modo significativo il valore delle squadre e rendendole più appetibili per nuovi investitori. Secondo le stime del settore, il valore dei charter potrebbe raddoppiare nei prossimi anni.
Jordan avrebbe potuto spingersi oltre. Con il procedimento in corso, la NASCAR rischiava conseguenze ancora più gravi, fino a una possibile ristrutturazione forzata del campionato. Ma l’obiettivo dell’ex campione NBA non è mai stato quello di distruggere il sistema. Durante la sua testimonianza, Jordan ha più volte ribadito la volontà di costruire una “vera partnership” tra NASCAR e team. «Se si riesce a trovare un compromesso sulle cose che contano, il valore del business cresce», ha dichiarato in aula.
Jordan, tifoso di lunga data della NASCAR, ha messo piede nel mondo delle corse nel 2021 nonostante prospettive economiche inizialmente modeste, con profitti stimati in circa 900.000 dollari annui. Il suo coinvolgimento non è mai stato motivato principalmente dal ritorno finanziario, ma da una passione autentica per questo sport. Eppure adesso potrebbe guadagnare milioni di dollari. Con la chiusura della causa, si apre infatti ora una nuova fase. La NASCAR ha l’opportunità di riallacciare i rapporti con una delle figure sportive più influenti di sempre e di sfruttarne l’immagine per rafforzare e modernizzare il campionato. Giovedì, all’uscita dal tribunale, Jordan e il presidente e CEO della NASCAR Jim France sono apparsi fianco a fianco davanti ai media. Un’immagine simbolica di una pace appena siglata e di un futuro che, dopo questa sentenza, non potrà che essere diverso all’insegna del business.