In Grecia ho aperto la mente, ma Milano sarà per sempre casa mia: intervista a Davide Calabria

L'ex capitano rossonero ci ha aperto le finestre sul suo ultimo anno: dall'addio al Milan alla parentesi con il Bologna, fino alla ripartenza con il Panathinaikos di Rafa Benítez.
di Jacopo Morelli 15 Dicembre 2025 alle 12:11
davide calabria

Dalla Grecia è arrivato un messaggio in un pallone. A lanciarlo da una collina di Atene è stato un giocatore con la maglia verde e un trifoglio sul petto. Dentro ci sono due gol: palla spostata con il destro e mezzo collo all’angolino, poi un colpo di testa in anticipo sul difensore. Un segnale in Europa League, l’altro in campionato. Per il calcio di Davide Calabria è stato un anno movimentato: le lacrime agli occhi per il saluto al suo Milan, la Coppa Italia alzata tra le Torri di Bologna, mille dubbi. E un volo per l’estero. È ripartito all’ombra dell’Acropoli con il Panathinaikos, nella polis di Rafa Benítez. Nei commenti dei suoi post su Instagram però lo chiamano ancora capitano. Perché il passato non si dimentica.

Come vanno i primi mesi in Grecia? In Europa League è arrivato un gol alla Calabria.
Anche per me è stato un gol alla Calabria! Lo aspettavo, ero appena rientrato da un infortunio arrivato in un momento in cui mi sentivo molto bene. Mi ha dato spensieratezza, stare fermo non mi piace. Non è neanche facile quando sei lontano da casa. Ma sto bene, è un’esperienza nuova, molto diversa. Sinceramente è un po’ tutto diverso rispetto a quello a cui ero abituato. Parliamo di un campionato differente, di una squadra organizzata in maniera differente. Ma dipende da come la prendi: a volte sono molto positivo, altre volte faccio un po’ più di fatica però me lo aspettavo. È un’esperienza che ho scelto di fare e tutto sommato sono soddisfatto. Comunque andrà mi lascerà sicuramente qualcosa a livello personale. E poi mi auguro anche di portare a casa dei trofei.
Facciamo un passo indietro: a Bologna qualche mese fa ti è tornato il sorriso. Che esperienza è stata?
Non conosco tutte le squadre del mondo ma penso che Bologna fosse sicuramente una delle migliori nelle quali potessi capitare. E infatti mi è dispiaciuto non poterci restare. L’energia tra città, squadra e spogliatoio era bellissima, super piacevole. Sono stato molto
contento. Io non volevo andare via dal Milan, ma trovare una situazione come quella mi ha riportato a essere felice. Ho trovato una squadra dove sono stato bene. Bologna fai fatica a spiegarla, tutto l’ambiente è molto famigliare. Avevo il Milan come unico riferimento, ho trovato una dimensione nuova, con una vicinanza alla squadra incredibile. Mi hanno voluto bene sin da subito. Purtroppo quell’infortunio fortuito in Coppa Italia mi ha tolto qualche settimana dal campo ed ero dispiaciuto, in quel momento ero titolare e le stavo giocando tutte. Ma poi è arrivata la Coppa Italia, la ciliegina sulla torta di un percorso e della gioia che si sta respirando in quella città.
Italiano com’è?
È un allenatore forte, un fanatico di calcio. Ne parla ventiquattr’ore su ventiquattro con chiunque. Questa sua ossessione è anche il suo pregio, ha una grande preparazione e ha sempre fatto bene. Si sposa perfettamente con Bologna. Penso che stia migliorando sempre di più. Ormai conosce la città e i ragazzi. A volte è esuberante, ma sta smussando questo lato del suo carattere con il clima piacevole che c’è a Bologna. Mi sono trovato bene, anche se non voleva mai farmi giocare contro il Milan. Ero sicuro di scendere in campo, la prima volta mi chiamò in camera dicendomi che mi avrebbe fatto un favore a non schierarmi subito, che avrei provato troppe emozioni. E non mi ha fatto mai giocare nessuna partita da titolare contro il Milan per questo, sono entrato a partita in corso, ma è diverso.
Ho compreso il suo pensiero, anche se non l’ho condivisa questa scelta sinceramente… Ero sicuro di poter far bene e avrei tanto voluto provare quell’emozione, anche sfidare i miei ex amici e compagni, o salutare i miei vecchi tifosi, alla fine siamo dei professionisti, però il suo pensiero era per proteggermi e va bene così. Avrà un grande futuro davanti a sé.
E la Coppa Italia?
Una grande gioia. Ne siamo stati travolti quando abbiamo fatto il giro in pullman per le strade della città. Vincere una coppa per Bologna è stato un evento fuori dal normale. A Milano vincere era una cosa che doveva essere fatta, e io ero cresciuto con questa mentalità. Per i bolognesi e il Bologna invece è stata una novità. Stra meritata. Dopo le prime partite dentro di me ero sicuro sin da subito che avremmo vinto. Anche nello spogliatoio c’era la sensazione di poter vincere la Coppa Italia. Per caricarmi e caricare l’ambiente avevo appeso delle foto della coppa un po’ ovunque: nel mio armadietto, in spogliatoio, fuori dalla palestra e in fisio. Ma lo sentivo, lo dicevo spesso anche ai miei amici. Speravo solo di non incontrare il Milan in realtà…

Ecco, il Milan. Sei cresciuto a Milanello, hai vinto trofei e guidato la squadra dei tuoi sogni da capitano. Cosa si prova quando finisce tutto da un momento all’altro?
Nella vita tutto finisce, quindi prima o poi sarebbe successo. Certo, ho sempre sperato più poi che prima. Io sono super orgoglioso di aver fatto parte del Milan per così tanti anni, tra giovanili e prima squadra. È una cosa che in pochi possono dire d’aver fatto, soprattutto crescere nel settore giovanile, esordire, restare in prima squadra, diventarne capitano e vincere trofei. Son cambiati compagni, allenatori, dirigenti e società ma son rimasto a lungo e giocando spesso. Non ho nessun rimpianto. Ne vado fiero. Da tifoso giocare per il Milan era il mio sogno e ce l’ho fatta, non avrei mai immaginato di diventarne il capitano. Abbiamo alzato trofei, sono entrato in un Milan che non era ciò che il club era abituato ad essere e ho lasciato una squadra che lottava per scudetto e coppe, anche se penso mancasse un ultimo tassello per poter essere competitivi in Champions League. Ripeto: tutto finisce. Poi è finita com’è finita, è successo. Ci sono state delle cose che hanno fatto un po’ male a tutti, nate in una stagione brutta per determinati fattori. Penso di averci rimesso più io, forse ero troppo legato al Milan e certe cose faticavo a mandarle giù. Quei mesi sono stati pesanti. Finché poi il malessere coltivato è uscito ed è stata presa la decisione di separarci. Era diventata una situazione pesante, dovevamo fare qualcosa. Non era minimamente la mia intenzione lasciare il Milan. Quello che è successo lo sapete tutti anche se non lo dice nessuno.
Cioè?
Dopo anni e anni tra il Vismara e Milanello, persone conosciute alle quali voglio bene e dopo aver condiviso così tanto mi è dispiaciuto andar via per degli episodi spiacevoli. Quei momenti penso abbiano rovinato un pochino la mia immagine, non facendo nemmeno nulla di male…
Chi mi conosce davvero sa come sono, ho il mio carattere, ci ho messo e metto sempre la faccia e il cuore, ci tenevo particolarmente ovviamente, ero capitano, non sono uno che si illude che tutto possa andare sempre bene e fingere che non ci siano mai problemi. Tanti poi si sfogavano con me. Parlandone e avendo rispetto si migliora. Questa cosa magari mi è tornata contro in quel periodo. Sicuramente preferisco morire con le mie idee piuttosto che morire con le idee di altri. Ho dovuto accettarlo, onestamente non volevo più avere a che fare con certa gente. C’erano poche soluzioni sinceramente: magari finire fuori rosa o aver altri problemi. Oppure andar via. E se ti dico come si è creata l’opportunità di Bologna…
Si sono allineati i pianeti?
Sì. In quel momento non stavo giocando con il Milan. Il Bologna aveva chiesto informazioni. Ovviamente per me non se ne parlava neanche, volevo restare a Milano. Mi dissero che Sartori fece una battuta al mio ex agente: “Se dovesse mai discutere con il mister, sappiate che noi ci siamo”. Due giorni dopo successe quello che tutti abbiamo visto purtroppo… Mi è dispiaciuto tanto. È stato molto imbarazzante e fuori luogo per quel che mi riguarda, non sapevo spiegarmelo. La situazione era abbastanza delicata. E allora abbiamo colto l’occasione per andare a Bologna.
Cosa ti è passato per la testa quando hai lasciato Milano in lacrime?
È stato tutto veloce. Un momento un po’ surreale. Lasciavo Milanello per non entrarci più. E ho fatto molta fatica ad accettarlo dopo tanti anni. Pensavo che non avrei più visto tutte le persone che ci lavorano dentro, ai miei compagni, che mi dicevano di non andare. Secondo loro sarei dovuto rimanere, tutt’ora me lo ribadiscono. Ai tifosi, che penso siano i migliori del mondo. Al non indossare più la maglia della mia squadra del cuore. È stato un colpo veramente duro. Da un lato poi ho capito quanto ci tenevano e mi volevano bene tante persone, sia all’interno che all’esterno di Milanello, mi ha fatto molto piacere. Dall’altro ti chiedi quanto sia giusto lasciare squadra e ambiente nel momento in cui la tua volontà sarebbe quella di rimanere. Quando ho ricevuto l’ufficialità della partenza ho fatto il giro tra i campi di Milanello, ho pianto molto, ho salutato tutte le persone, increduli che stesse succedendo davvero, ho preso le mie cose e sono uscito sapendo che il giorno dopo non sarei più tornato dopo dodici anni. Non è stato facile, per nulla. Mi ha fatto male. Ma ho dovuto accettarlo per andare avanti.

Matteo Gabbia ci ha detto che sei il suo mentore. Vuol dire che nonostante tutto hai lasciato un buon ricordo, no?
Questa non l’avevo letta, mi fa piacere. So che Matteo mi stima ed è una cosa reciproca, ci tengo molto. Lui è uno di quelli che più ha provato a convincermi a restare a prescindere dalla situazione… Tante cose non escono, non sono una persona che parla molto tra social, interviste e giornali, se non mi viene chiesto. Ma se qualcuno dovesse chiedere di me a Milanello penso che parlerebbero tutti bene, ho lavorato, rispettato e voluto bene a ognuno, ho sempre fatto del mio meglio per aiutare chiunque, ho rapporti con tutti lì dentro, ancora oggi. Mi hanno visto crescere, si è creato un bel legame con molti. E con Matteo è successo lo stesso. È uno di quelli che sento di più e con cui vado più d’accordo. Finalmente si sta iniziando a parlare di lui ed in maniera super positiva, senza sottovalutarlo senza motivo. Sta dimostrando tante cose e sono davvero orgoglioso e contento di quello che sta facendo, è un giocatore importante ed intelligente, che sa di calcio.
Chi era il tuo mentore al Milan?
Forse è una cosa che mi è un po’ mancata. Sono entrato in prima squadra in un momento di confusione, i giocatori cambiavano ogni sei mesi, non c’era una base solida, nei primi quattro anni sono passate tre società diverse. Non c’è stata la possibilità di avere un mentore, anche se l’avrei voluto tanto avere. Una cosa che si sottovaluta, che ha detto anche Kjaer ultimamente e che condivido, è quella di avere persone che sappiano comunicare, persone sulle quali puoi contare, che abbiano esperienza e leadership, soprattutto silenziosa, quella che nel momento del bisogno ti aiuta ad emergere e riuscire a mantenere un gruppo solido per anni. Si tratta di un aspetto che i dati che vanno di moda oggi non possono vedere.  Se si cambia di continuo non è detto che si trovi la direzione giusta. Bisogna capire anche le relazione in un gruppo, i legami che si creano e che ti fanno crescere, forse ancor prima del talento. Ecco, se dovessi scegliere che figura essere direi Simon Kjaer. È stato uno di quelli con cui mi sono trovato meglio negli ultimi anni: non è sulla bocca di tutti, non è mai sulle prime pagine, ma nello spogliatoio è uno di quelli che parla alla squadra, e nella maniera giusta, con calma ed intelligenza. Non gli interessava niente della parte pubblica, è sempre stato uno concreto. Così è come piace a me e come voglio essere.

Risposta secca: il Milan di Allegri è da Scudetto?
Sì, assolutamente. La squadra è forte, hanno trovato finalmente una figura in grado di creare un gruppo coeso e proteggerlo, capace poi di dare delle basi difensive solide, secondo me fondamentali per vincere. Allegri è un vincente, ha già vinto tanto in Italia e sa come farlo. Ha esperienza ed in più giocano una volta a settimana: hanno il tempo di recuperare le energie e lavorare sulle sue idee. Sarei stato curioso di essere allenato da lui, me ne parlano tutti bene e sono tutti contenti di lui. E poi a me fa impazzire come comunica, è il migliore su questo e spesso fa morire dal ridere.
Ti è dispiaciuto per come è finita l’esperienza di Pioli a Firenze?
Molto. Ho un bellissimo rapporto con il mister, per me è stato importante. Ci è dispiaciuto infinitamente quando ha lasciato il Milan e si è visto quanto gli abbiamo voluto bene tra giocatori e pubblico. Ha preso un club in un momenti di crisi e lo ha riportato dove merita di stare. Immagino sapesse anche lui che Firenze sarebbe stata una sfida difficile, penso che si siano incastrate male delle dinamiche, ma che dall’esterno non puoi mai sapere. Il calcio però è strano e le cose crollano in un attimo e viceversa. L’ho sentito sì, ultimamente mi ha scritto dopo il gol e io gli avevo scritto quando è stato mandato via da Firenze. Era molto dispiaciuto perché aveva ambizioni e speranze diverse. Spero possa ripartire, se lo merita.

Ti sei fatto aiutare nei momenti difficili?
Assolutamente. Da giovane non ero preparato. Ma ora ho una psicologa che mi aiuta da un po’ di tempo. È come se parlassi con un’amica diciamo, non solo nei periodi difficili. Anche se tutto è nato da lì, durante l’ultimo anno e mezzo a Milano ho vissuto un momento personale molto, molto complicato fuori dal campo. Ho avuto grosse difficoltà, nessuno sapeva niente. Forse qualche mio compagno più stretto poteva immaginare, pochi amici e genitori, ma nessuno sapeva, non volevo che si sapesse per essere totalmente concentrato sul campo o anche perché sono uno molto privato. Il calcio era la mia ancora, l’occasione per poter staccare la testa, o almeno provarci. Ma in realtà faticavo a trovare stimoli positivi in quel momento, ero davvero giù, è difficile da raccontare. È brutto perché pubblicamente non si sa niente, però poi ci sono le prestazioni e tutto il resto. Dovevo bilanciare le cose, separare vita personale e lavoro. Ero arrivato a un punto in cui l’unica cosa che mi interessava era uscire dal momento buio. Dovevo fare qualcosa. Avrei voluto dare ancor di più a livello di leadership in un momento non semplice della squadra, ma qualche volta non ce la facevo ad aiutare come avrei voluto, faticavo ad aiutare me stesso in primis, era tosta. Farsi aiutare è fondamentale, ed è un mondo, la psicologia, che mi sta piacendo tanto. Si sta sdoganando adesso, mi auguro che in futuro tutte le società, anche a livello nazionale, facciano qualcosa da questo punto di vista, per sensibilizzare e dare una mano a chiunque. Il Milan forse è stata una delle prime società a muoversi, già nel settore giovanile c’era qualcuno, ma era un po’ troppo superficiale ancora. Tornassi indietro approfondirei prima questo mondo. Per un periodo ho avuto anche un mental coach, anche se è diverso dallo psicologo. Con lui parlavamo o facevo degli esercizi specifici sulla prestazione calcistica o sulla gestione consapevole delle pressioni varie, sono stati altrettanto interessanti e mi han fatto capire meglio certe cose. Si tratta veramente di un aspetto essenziale: se stai bene con la testa, rendi. L’importante è trovare la psicologa giusta. Come gli allenatori: con uno ti trovi benissimo, con un altro meno. È un aspetto molto soggettivo che cambia a seconda della persona. C’è anche un’altra questione.
Quale?
Non basta dire alla psicologa “ok, ho capito”, voltarsi e dimenticare tutto. Non serve avere fretta, è necessario lavorare sui concetti, assimilare. Si tratta di un percorso lungo.
Come ci si isola dalle critiche in un momento duro?
Dipende dal carattere di una persona e tante altre cose. Ho letto di Araujo che ha chiesto al Barcellona di fermarsi. Io non volevo fermarmi perché non era una questione di critiche, ma non volevo giocare male in un periodo buio personale, magari avrei dovuto, non lo so, non lo puoi sapere… A un certo punto decisi di aprirmi con i dottori del Milan per capire cosa poter fare per farmi aiutare e risolvere la situazione, insieme alla mia psicologa. Ripeto, della critica non me ne importava niente né me ne importerà mai. Anzi, in quel periodo ancora meno in realtà, era una questione tra me stesso e basta. Anche se a volte servirebbe avere più tatto nelle cose. Sono stato abituato da subito a essere esposto mediaticamente. Un ragazzo cresciuto in una realtà diversa dal Milan magari sarebbe crollato. Dipende davvero dal carattere e dall’esperienza che ognuno si ritrova, poi ci sono vari fattori e pensieri, quindi dipende. È personale.

E quindi chi è oggi Davide Calabria?
Un uomo soddisfatto, ma in continua crescita e con ancora tante ambizioni e sfide davanti a sé. Sono molto contento d’aver vissuto momenti così brutti. È troppo facile vivere solo quelli belli, non ti aiutano molto. Passare attraverso esperienze dure, in cui magari non vorresti fare niente per giorni ma devi, ti forma a livello personale. Ho ventinove anni e sono contento del punto in cui sono arrivato. Credo sia più rilevante essere una brava persona, prima ancora che un buon calciatore. Saper stare al mondo, star bene con se stessi e nella società, sapersi relazionare con le persone. Poi tutti hanno pregi e difetti ovvio. Oggi sono felice.
Che valore hanno i social nel calcio?
Mah non saprei, per me poco, ma bisogna saper bilanciare tutto anche qui. C’è una storia che mi ha fatto capire una cosa: non dare peso a ciò che viene scritto sui social. Da ragazzino, avevo quattordici anni, pubblicai un post contro Abbiati dopo una partita di Champions League se non sbaglio. A diciotto anni mi ritrovai in prima squadra. E il senatore dello spogliatoio era proprio lui, l’unico rimasto della vecchia guardia… Avevo appena esordito, stavo giocando bene le mie prime partite. Quindi andarono tutti a spulciare i miei social. E ovviamente trovarono il post in cui me la rifacevo con Abbiati. Non gli dissi nulla, credo che lo vide ma fece finta di niente. D’altronde era il veterano che leggeva il tweet, o quel che era, di un ragazzino che all’epoca aveva fatto mezza partita. A quell’età non ci pensi neanche, a quattordici anni non c’è nessuno che ti educa su questo. Ecco mi sono talmente tanto vergognato di me stesso che ho capito poi quanto fossero superficiali e inutili le critiche o i vari commenti social. Non l’avrei mai fatto dal vivo, i miei genitori mi hanno insegnato a rispettare sempre tutto e tutti, eppure lì succede che vale qualsiasi cosa, non credo sia giusto. Per questo motivo penso servirebbe un’educazione social nelle scuole per i ragazzi. Perché ormai sono una parte della nostra quotidianità, ma andrebbero gestiti e sfruttati meglio.

Voliamo in Grecia, al Panathinaikos. Cosa ti ha stupito di più del calcio greco e della Grecia?
Prima di arrivare qua ho rifiutato delle proposte, anche importanti, sempre all’estero più che altro. Io onestamente volevo rimanere in Italia, speravo di restare a Bologna. Poi ho ricevuto delle offerte che non mi hanno convinto. Ho capito che c’era la possibilità di andare all’estero e volevo approfittarne per vivere una nuova esperienza, ma che coincidesse con le mie esigenze di vita. La Grecia si avvicinava un po’ più alle mie idee. Ero curioso di provare una bella città come Atene e migliorare il mio inglese. Poi c’è la possibilità di vincere coppe entrando in un progetto interessante, in crescita, che gioca in Europa League. Qui in Grecia le quattro big sono attrezzate bene, c’è organizzazione ed ambizione di crescere in fretta, hanno un bel potenziale. Sono contento, ho visto cose nuove ed è un’esperienza personale che mi aiuterà a priori nella vita.
Com’è stato l’approccio con Benitez?
Sono felice sia qui con noi. Il mister ha grande esperienza, si vede che ha allenato tante tra le migliori squadre del mondo e che ha vinto molto. È attento, sensibile, comunica bene e parla molto con tutti. Non lascia niente al caso ed è sempre disponibile, ha ancora la voglia e l’ambizione di fare qualcosa di bello ed importante. Ci rispettiamo molto e stiamo creando un bel rapporto, sincero e onesto. Mi ritengo fortunato ad averlo come riferimento ora.
Milano, Bologna o Atene?
Tutte bellissime a modo loro, si vive davvero bene in tutte, per una cosa o per l’altra. Questa era una mia priorità, poter vivere in una città bella. Io personalmente scelgo Milano sempre. Ma forse sono di parte essendo casa mia… Anche se quello che ti offre Milano forse te lo offre solo Madrid. Londra, magari. Tra l’altro…
Cosa?
Mesi fa mi avevano cercato anche dalla Premier League. Ma io in quel momento non volevo andare all’estero, non mi sentivo pronto magari e l’Inghilterra non mi convinceva come posto in cui vivere. Probabilmente se tornassi indietro farei tante cose diversamente. Le dinamiche cambiano col tempo: in passato non pensavo all’estero. Oggi mi piacerebbe vivere anche un’esperienza in Spagna, o magari si anche in Inghilterra. Certo, ti manca la famiglia e senti la lontananza. Ma una volta che ti sblocchi è più facile. L’apertura mentale che ho adesso è estremamente cambiata: vedi strutture nuove, stadi, tifosi. Sono opportunità che ti formano come uomo, poi ci sono tanti altri fattori.
Di italiani in Grecia ce ne sono parecchi. Chi ti ha dato dei consigli per girare Atene?
O non italiani come Jovic o Kyriakopoulos! Diciamo che soprattutto nel primo periodo ho fatto qualche cena con gli italiani che sono qui: Pirola, Strefezza, Brignoli, Macheda. Ho chiesto qualche dritta a tutti, ora con le coppe abbiamo poco tempo per vederci…
Posto preferito di Atene?
Ci sono tantissimi bei posti: il centro città, l’Acropoli, ma se devo sceglierne solo uno l’hotel Four Seasons qui è incredibile. Il mare è cristallino, non l’avrei mai detto: acqua bellissima, sabbia stupenda, il cibo e il servizio fantastico, posto meraviglioso.
E Brignoli ti ha ricordato quel gol in Benevento-Milan?
È successo… Gli ho detto: ‘Che cosa hai combinato?’. Non lo sa nemmeno lui, fa parte del gioco. È successo non so quanti anni fa eppure se ne parla ancora. Questo ti fa capire la risonanza ed importanza che ha una squadra come il Milan.
Ti incontreremo di nuovo in Italia?
Vediamo…

 

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