Il Bologna ha conquistato la prima finale di Supercoppa italiana della sua storia ancora prima di giocarsi davvero la semifinale contro l’Inter. Ok, è una frase che si dice spesso, ma per capire come hanno fatto i rossoblù a resistere agli assalti della capolista della Serie A, soprattutto nel secondo tempo, dobbiamo fare un piccolo flashback, a qualche minuto dall’ingresso in campo. Orsolini raduna tutti in cerchio e parla alla squadra. Non è un discorso alla Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica, non ce n’è bisogno. Ricorda semplicemente il perché quel gruppo si è meritato la convocazione a Riyhad, ribadisce ai compagni che sanno come si interpretano le partite secche, lo hanno dimostrato a maggio prendendosi la Coppa Italia in una notte che a Roma e a Bologna è durata per giorni. Conclude con un lapidario «voglio vincere, voglio vincere c***0» per caricare e caricarsi, anche per «finire un percorso cominciato qualche mese fa».
Non si sente un rumore, per un attimo in quel cerchio il tempo va a 0.5x, il frastuono dello stadio Re Fahd diventa un sibilo lontano, quasi ovattato. Orsolini non viene sentito, viene ascoltato. A Bologna è così, chiunque parli viene considerato, che sia il capocannoniere della squadra, come in questo caso, o l’ultimo della panca. Vige una democrazia ateniese, poi tanto decide sempre Italiano. L’allenatore siciliano ha costruito una squadra che sa perfettamente quanto vale. Prende uno schiaffo dopo 76 secondi, una palla persa di Orsolini (guarda un po’ la sorte) con le due linee di difesa e centrocampo molto alte. Le marcature uomo contro uomo saltano, facile per Bastoni trovare un corridoio centrale e servire Thuram in area con un cross al millimetro. Il francese, sfilato dietro a Lucumì, in allungo fa 1-0 per l’Inter.
Niente paura, per Italiano è un gol che si può concedere, fa parte del rischio di affrontare così l’avversario. Con tutta la calma del mondo, come se non fosse una squadra esordiente in questa competizione, il Bologna viene fuori, spingendo sulla destra, prima con gli uno contro uno di Orsolini, poi con i tagli di Holm. Lavoro per catene e riaggressione feroce, ormai i giocatori in maglia rossoblù potrebbero recitare a memoria i principi di gioco di Italiano. E proprio un tentativo di recupero alto di Holm, su rilancio sbagliato di Luis Henrique, mette pressione alla difesa dell’Inter, Bisseck fa il consueto pasticcio sui palloni che rimbalzano in area e tocca con un braccio. Chiffi non lo vede, la sala VAR sì e lo richiama all’on field review. Risultato? Calcio di rigore, battuto dalla “sentenza” Orsolini che riconsegna i compagni alla partita.
Nella ripresa ci si aspetta un’Inter sorpresa e ruggente, e infatti la squadra nerazzurra ricomincia la gara con un bel piglio. Ravaglia è super su Luis Henrique e Lautaro Martínez, più fortunato quando soffia per mandare sul fondo il turbo sinistro di Dimarco. Ecco, fermiamoci un momento su Ravaglia. Un local boy che suda in rossoblù, che ha fatto qualche giro tra Bolzano (Sudtirol) Gubbio e Frosinone ma che il club ha sempre tenuto d’occhio perché sapeva di poter contare su qualcosa di più di un secondo. Trentasei partite per un vice non sono mica poche, specie se si pensa che 17 sono solo in campionato negli ultimi due anni. Certo, Skorupski ha avuto qualche problema fisico di troppo, ma spesso è rimasto in panchina anche per scelta tecnica. Ravaglia, infatti, è un portiere un po’ vintage, di quelli solidi, senza pose plastiche, che percepisci quando conta e che aggiunge anche un buona tecnica di base. Quando vede l’Inter, poi, si trasforma nell’ispettore Gadget. Aveva già parato un rigore a Lautaro nel 2023/24 negli ottavi di Coppa Italia a San Siro, contribuendo a far fuori i nerazzurri. In Supercoppa ha estratto il “braccio” in più fermando Bonny e Bastoni nella serie decisiva dopo l’1-1 dei tempi regolamentari. «Siamo qui per fare la storia del Bologna, affronteremo la finale con la massima voglia di portare a casa la coppa» ha detto a Sportmediaset l’MVP della sfida. Chi meglio di lui sa cosa vuole Bologna e il Bologna?
Il penalty spedito nella stratosfera da Barella ha fatto il resto, spalancando agli emiliani le porte della finale di lunedì contro il Napoli. Il passaggio all’ultimo atto è stato sigillato dal rigore perfetto di Immobile, inserito proprio per la lotteria finale. Una mossa che non funziona quasi mai, a meno che non la provi il Bologna di questo periodo. «Siamo una squadra da grandi eventi», ha confessato Italiano in conferenza stampa. «Quando siamo andati sotto potevamo sparire dalla gara e subire l’Inter, invece i ragazzi hanno dimostrato di essere dei giocatori di alto livello. Stiamo facendo un passo in avanti, abbiamo sofferto ma siamo stati bravi a rimanere con la testa dentro la partita». Parole che vanno molto al di là della circostanza. Fino a qualche mese la maggior parte delle critiche alle squadre di Italiano era quella di prendere gol alla prima chance concessa agli avversari, smarrendosi poi quasi subito. Problema che ormai è evidentemente risolto. Il Bologna, se non è ancora una grande, ha tutte le credenziali per esserlo. Lo dimostra da due stagioni e mezzo, toccando vette sempre più alte. Lo ha dimostrato contro l’Inter, una partita in cui ha sofferto, certo, ma l’ha fatto nel modo giusto, come fanno le squadre mature, quelle abituate a giocare le partite che contano. Quelle da grandi eventi.