A Milano è tornato il freddo. Basta osservare l’ingresso della chiesa della Santissima Trinità, dove gruppetti di signore e famiglie salgono le scale arrotolati nei loro cappotti. Dall’altra parte del marciapiede il bar Liceo è già sveglio da qualche ora. Quando entriamo notiamo un ragazzo appoggiato al bancone. Matteo è arrivato da pochi minuti sfidando il freddo a suon di pedalate sulla sua bicicletta. Già questo basterebbe per rientrare nella filosofia No Limits. Si sfila i guanti di pelle, si sfrega le mani, poi beve un cappuccino. Sono appena passate le dieci di mattina, ma la sua testa continua a puntare un’ora precisa, come un magnete: le venti e quarantacinque. L’ora del derby. Mentre ci racconta il suo rapporto con l’Inter, la porta del bar si apre. È arrivata anche Michelle. Capelli raccolti in uno chignon, cappotto color cammello e una stampella: distorsione alla caviglia. Niente a che vedere con il suo sport, il jujitsu. Ci saluta e prende in giro Matteo per il suo outfit: «Sei troppo elegante per venire allo stadio!», dice ridendo. E quindi ecco che dalla tasca tira fuori una sciarpa. C’è lo stemma dell’Inter e la scritta Sector No Limits. Matteo la indossa, saluta il barista e lasciamo il bar.
È appena cominciato il cammino che ci porterà alla partita. Un percorso a tappe che ogni milanese, il giorno della partita, vive come un rito sospeso tra scaramanzia, svago e tradizione. Il termometro scivola sotto i quattro gradi, ma è una domenica mattina soleggiata. Matteo e Michelle decidono di alleggerire la pressione che precede la partita con una passeggiata. Certo, guardandolo meglio in effetti Matteo è piuttosto elegante: giubbotto di pelle con un bel colletto, jeans scuro e stivale. Non esattamente lo stile da stadio, quello da sciarpa in vita e birra in mano.
Qui però Matteo ci racconta la sua, di filosofia. Lo stadio diventa il palcoscenico per togliere dall’armadio il capo migliore, quello in cui si riflette in maniera limpida la personalità di una persona. È un nuovo modo di vivere un culto: serve la preparazione giusta. E quindi l’outfit giusto. Ognuno con uno stile o un accessorio, ognuno unito dalla stessa passione. Insomma, si tratta di andare oltre il limite, cercare nuovi linguaggi fuori dal campo. Anche se si è seduti sugli spalti. «Anzi, a proposito di spalti, io ho anche l’orologio dell’Inter», ribatte Matteo, riferendosi alla nuova collezione di Sector No Limits in collaborazione con il club nerazzurro. «Quando sono a San Siro, voglio tenere il tempo della partita. E se guardo l’orologio, mi sembra di sentirmi ancora più vicino alla squadra». Cinturino in metallo, quadrante nerazzurro e logo dell’Inter. È lo stesso che indossa anche Michelle, che poi dice: «Adoro che ci siano i colori dell’Inter, così porto lo spirito nerazzurro sempre con me, non solo quando vado allo stadio». Il primo punto in comune che hanno sullo stile.
Intanto l’Arco della Pace si fa largo tra i palazzi. In piazza Sempione c’è chi fa una passeggiata, chi si scatta un selfie con l’Arco e chi indossa una maglia dell’Inter, già in clima partita. Attraversiamo la piazza e ci fermiamo a mangiare un piatto di pasta. Michelle ci parla del suo percorso nello sport. In passato però ha indossato anche i colori dell’Inter: prima da calciatrice, poi un secondo capitolo da allenatrice. Ci racconta della passione tramandata dal padre, delle emozioni che ha provato nel vestire la maglia dell’Inter e del suo legame con la città di Milano. «Amo questa città, non vivrei da nessun’altra parte. Tutto è in continuo movimento, dinamico. Non si ferma mai». E in effetti è così: mancano cinque ore all’inizio della partita, eppure Milano vibra. Si prepara, con i suoi riti e i suoi simboli. Perché lo stadio non abbraccia soltanto i novanta minuti in cui i tifosi si riuniscono attorno al campo. La partita scrive il programma di un’intera giornata.
Visualizza questo post su Instagram
Così ci rendiamo conto che siamo già nel pomeriggio inoltrato. Ed è meglio uscire per non perdere il tram. Nel cammino che ci porta a San Siro la linea sedici è la classica firma sulla domenica calcistica. La Scala del calcio giganteggia nella foschia, si confonde con il fumo caldo delle caldarroste che si arrampica sopra i chioschi e dei paninari che si preparano per l’ondata della sera. Ci sono i primi tifosi che si ritrovano davanti agli ingressi, ultras che preparano striscioni. Matteo si stringe nel suo giubbotto di pelle, si infila i guanti. Poi guarda l’orologio. È il momento di entrare.
«Dalla prima volta a San Siro, mi sono innamorato dell’atmosfera, della passione dei tifosi. È un luogo di ritrovo, è la massima espressione di una fede che dura per sempre: si canta, si piange, ci abbracciamo». Nel parcheggio spira un vento gelido. San Siro sembra un villaggio che formicola prima di un grande evento. La partita si avvicina, l’adrenalina sale. Sono i momenti che rimangono di più. Quelli che neanche il tempo riesce a dimenticare.