Da sempre, nel mondo del calcio, esiste il concetto di coaching tree – solo che prima non aveva un nome ben definito, né tantomeno anglofono. Stiamo parlando della trasmissione della conoscenza tra un grande allenatore e i suoi giocatori, che poi a loro volta si ritirano e diventano allenatori, e lo stesso discorso vale anche per i membri dello staff tecnico. Nell’era moderna, per dire, il caso più citato è quello relativo a Pep Guardiola, che di fatto ha formato una nuova generazione di tecnici: Arteta, Xavi, Xabi Alondo, Maresca, Ten Hag e Kompany, ma ne dimentichiamo certamente molti altri, hanno lavorato a stretto contatto con lui; per quanto riguarda l’Italia, si potrebbero citare i casi di Ancelotti (tantissimi giocatori passati dal suo Milan sono diventati allenatori) e di Gasperini. Ora, però, c’è anche un altro allenatore che sta iniziando a veder gemmare il suo alberello: Diego Pablo Simeone, per tutti il Cholo.
Simeone allena da quasi vent’anni, il suo primo incarico risale al 2006 con il Racing di Avellaneda, e quindi anche come tempi ci siamo. Per “ufficializzare” la nascita di un coaching tree, però, serve che un ex giocatore di un determinato tecnico faccia dei grandi risultati. Nel caso specifico, questo tecnico è senza dubbio Filipe Luis: nominato dal Flamengo nel 2024, a meno di un anno dal suo ritiro e dopo una gavetta fulminante nelle giovanili del club carioca, l’ex terzino dell’Atlético Madrid ha già messo insieme tre trofei nella sua nuova carriera (Coppa del Brasile, Supercoppa del Brasile e campionato statale); al momento è in testa al Brasilerão, iniziato da cinque turni, e ha uno score eloquente: 24 vittorie, dieci pareggi e solo due sconfitte in 36 partite in panchina. Insomma, stiamo parlando di una sorta di predestinato. Che, a sua volta, parla utilizzando spessissimo le parole del suo vecchio tecnico: di recente, dopo un netto 4-0 rifilato al Corinthians, ha detto che «l’attacco ti fa vincere le partite, ma la concentrazione e la difesa fanno vincere i campionati». Difficile pensare a una frase più cholista.
Come detto, non c’è solo Filipe Luis: basta rileggere gli almanacchi per scoprire che molte altre persone sono diventate allenatori dopo aver incrociato Simeone. A cominciare dal suo storico vice, Germán Burgos, che dopo nove anni – dal 2011 al 2020 – come secondo dell’Atlético Madrid ha accettato l’offerta del Newell’s Old Boys e poi ha tentato l’esperienza in Grecia con l’Aris Salonicco. Sempre guardando all’Atleti, scopriamo che anche Arda Turan sta facendo piuttosto bene come tecnico dell’Eyüpspor, club di prima divisione turca; si potrebbero citare poi Fernando Torres (alla guida dell’Atlético B), l’ex capitano Gabi (appena assunto dal Real Saragozza) ed Emre Belozoglu, che in Spagna ha giocato una sola stagione ma nel frattempo ha già allenato Basaksehir, Ankaragucu e adesso è sulla panchina dell’Antalyaspor.
Prima della lunghissima avventura all’Atlético, come detto, Simeone ha guidato anche altre squadre: il già citato Racing, il River Plate, il Catania, il San Lorenzo. Anche in questi passaggi ha formato alcuni allenatori, magari non ancora affermati: Federico Higuaín, per esempio, guida la seconda squadra dei Columbus Crew dopo aver lavorato con l’Inter Miami; Sebastián Abreu è il tecnico dei Dorados de Sinaloa, in Messico; se guardiamo al Catania 2010/11, scopriamo che Ezequiel Carboni, Adrián Ricchiuti, Giuseppe Mascara e Giovanni Marchese hanno avuto tutti delle esperienze da allenatori in prima. Insomma, si può parlare tranquillamente di un coaching tree cholista. Forse non è ancora rigoglioso come quello guardiolista, ma in fondo Simeone ha soltanto 55 anni. Quindi ha ancora tempo per allevare una seconda e forse anche una terza generazione di allenatori.
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