Tutti quelli che hanno seguito perbene il primo tempo di Chelsea-Betis Siviglia, la finale di Conference League, si sono accorti della partita sontuosa di Francisco Román Alarcón Suárez, noto come Isco, 33enne capitano della squadra andalusa ed ex del Real Madrid. Ecco appunto, “Real”: la prestazione di Isco è stata regale, ammaliante, con il suo passo cadenzato e le sue carezze al pallone – i tocchi fatti da Isco non si possono definire altrimenti – il centrocampista del Betis ha letteralmente dominato la prima frazione di gioco. Ha anche servito l’assist per il gol del vantaggio di Abde Ezzalzouli, ma potete fidarvi: quella è la cosa meno importante, per quanto decisiva, fatta da Isco.
Basta riguardare gli highlights personali di Isco per capire cosa intendiamo: il capitano del Betis ha giocato e dispensato qualità in tutte le zone del campo, non è andato veloce perché non gli è servito, ogni azione della sua squadra passava dalla sua mente e dai suoi piedi. In realtà anche nella ripresa è andata allo stesso modo, solo che le giocate determinanti sono diminuite, alcune sono state accecanti come nel primo tempo – per esempio un tocco di esterno che ha messo Jesus Rodríguez davanti alla porta – ma nel frattempo il Chelsea ha preso il sopravvento, ha spazzato via il Betis in pochi minuti, l’ha letteralmente travolto con la sua fisicità e la qualità dei suoi giocatori.
Prendetevi qualche minuto, ne vale la pena
Ecco, il punto è proprio questo: a un certo punto, il calcio poetico di Isco non è più bastato per tenere a bada il Chelsea. Ci sarebbero voluti almeno altri tre o quattro calciatori come lui, per cercare di pareggiare – attraverso il possesso palla, la qualità nello stretto, le intuizioni geniali in verticale – l’intensità della squadra di Maresca. Solo che altri tre o quattro calciatori come Isco, semplicemente, non esistono. O comunque non possono giocare tutti nel Betis.
Per quanto la Spagna continui a produrre centrocampisti di qualità sublime, minuti e iper-tecnici, abilissimi nel fare ciò che Isco fa da dieci anni (si pensi a Pedri, a Gavi, a Fabián Ruiz, a Mikel Merino), oggi come oggi serve una struttura che li supporti. A maggior ragione quando affrontano squadre pregne di qualità e fisicità come il Chelsea. Qualcuno potrebbe sollevare l’obiezione del Barcellona. Ma c’è una contro-obiezione: molto semplicemente, la presenza di Lamine Yamal e le idee radicali di Flick (la linea difensiva della squadra blaugrana staziona a 50 metri dalla propria porta) rendono il tutto più fattibile. Altra obiezione: la Spagna campione d’Europa. Nella squadra di De la Fuente la direzione dei lavori affidata a Rodri permette che le mezzali del 4-3-3 giochino come faceva Isco, come fa ancora Isco. E poi anche nella Roja c’è quel fenomeno di Yamal.
Il punto è questo: i tuttocampisti raffinatissimi e leggeri alla Isco sono stati un meraviglioso prodotto del calcio post-guardiolista, ma poi sono stati in qualche modo resi obsoleti dall’evoluzione del gioco. Un’evoluzione fisica nel senso di antropometrica, ma anche a livello di intensità estrema. Soprattutto a livelli medio-borghesi, come quelli del Betis, puntare tutto su quel tipo di caratteristiche a centrocampo (anche Fornals è della scuola-Isco, ovviamente è meno forte del suo capitano) ti costringe a giocare a mille. La squadra di Pellegrini ce l’ha fatta, ma solo per il primo tempo. Nella ripresa, il maggior atletismo di Enzo Fernández, Moises Caicedo e Cole Palmer è come se avesse eliso la qualità di Isco. Che è rimasta, è sempre stata percettibile, era chiaramente superiore a quella dei suoi avversari. Ma poi Palmer ha iniziato ad arare il campo in velocità, ha trovato prima Fernández e poi Jackson – perché Palmer non è solo fisico e intensità, ma anche grande tecnica – e ha indirizzato la finale.
I giocatori come Isco, per dirla brutalmente, appartengono a un altro tempo. A un altro calcio. Sono ancora splendidi da vedere, fanno ancora la differenza e possono ancora farla ai massimi livelli, l’abbiamo visto lungo questa Conference League e anche durante la finale. Ma poi, al verificarsi di certe condizioni, vengono messi sotto. Non a caso, viene da dire, nel Real Madrid non giocano più Isco e Asensio, ma Bellingham e Tchouaméni; lo stesso Asensio è stato giubilato anche dal PSG di Luis Enrique, in cui Fabián Ruiz si accompagna a Vitinha e João Neves; abbiamo detto del Barcellona, che rappresenta una particolare eccezione, ma poi a pensarci bene anche Flick non rinuncia quasi mai al dinamismo illuminato di De Jong. Insomma, il calcio sta andando in una direzione chiara, inequivocabile. Può piacere o meno, il punto non è questo, fatto sta che oggi è impossibile rinunciare a un certo tipo di fisicità. Soprattutto in mezzo al campo. Soprattutto nei top club. Il fatto che Isco giochi al Betis, in questo senso, è un segnale piuttosto chiaro. Che poi sia ancora bellissimo da veder giocare, beh, per fortuna è un’altra storia.