Se il bilancio di Wembley è (quasi) positivo, il merito è soprattutto dei concerti, non del calcio

Uno degli stadi più belli e iconici del mondo fa ancora fatica a essere profittevole.

Costruirli fuori o dentro la città? Renderli spazi polifunzionali o a piena discrezione dei club? Creare delle grandi strutture o ridurre i posti in modo da riempirli sempre? Sono le classiche domande che ruotano intorno ai progetti per la costruzione di un nuovo stadio, soprattutto quando si parla di impianti per il calcio. Negli anni i club hanno fatto scelte diverse. Il Liverpool ha optato per ristrutturare Anfield, i cugini dell’Everton hanno detto addio a Goodison Park (che sarà utilizzato dalla squadra femminile) per trasferirsi vicino al porto; il Bayern ha eretto l’Allianz Arena a una quarantina di minuti di mezzo dal centro di Monaco; Inter e Milan, per il nuovo impianto, vorrebbero rimanere nella zona di San Siro. Non c’è una ricetta ideale, dipende un po’ dalla situazione.

La Federazione inglese, per esempio, ha fatto una scelta che una ventina d’anni fa sembrava davvero audace. Rimettere in piedi Wembley e utilizzarlo solo per le partite delle Nazionali e le finali di FA CUP e EFL, la lega che comprende Championship, League One e League Two, la seconda, terza e quarta divisione del calcio britannico. Certo, per un periodo ha ospitato il Tottenham, ma è stata solo una breve parentesi in attesa che il nuovo Tottenham Stadium venisse ultimato. Da quel settembre del 2007, quando Wembley è stato inaugurato con il match tra Inghilterra e Italia Under 21, finito 3-3 con tripletta di Pazzini, sono passati quasi 20 anni. E allora è lecito chiederselo: ma uno stadio Wembley è sostenibile? Genera ricavi?

La risposta è sì, ma solo da poco. E gran parte del merito non va al calcio, ma ai concerti. Come riportato da The Athletic, oggi la FA sostiene che Wembley sia finalmente sostenibile. Nel 2024, la WNSL (la holding che gestisce lo stadio, acronimo Wembley National Stadium Limited) ha registrato un utile operativo di oltre 35 milioni di euro, contribuendo a un profitto complessivo della FA di quasi 55 milioni. Merito anche della strategia “lay and play”, che prevede l’uso di tappeti erbosi ibridi precoltivati invece di far crescere l’erba sul posto: in soli quattro giorni, Wembley può passare da un concerto al calcio, moltiplicando gli eventi estivi. Il consiglio comunale di Brent ha autorizzato Wembley ad aumentare gli eventi “full bowl” (che prevedono oltre 60mila spettatori) da 46 a 54 all’anno. Quest’anno saranno 41, mentre nel 2025 si prevede di toccare quota 50, tra cui spiccano i concerti di Coldplay, Beyoncé e Taylor Swift, oltre a eventi sportivi come il Community Shield, i match NFL dei Jaguars, e le partite delle nazionali inglesi di calcio e rugby.

Ma c’è un però. I conti, a ben vedere, non sono ancora entusiasmanti. Se si escludono voci straordinarie, come la svalutazione di 46 milioni del 2023, poi annullata nel 2024, il bilancio netto degli ultimi due anni resta in perdita di 38 milioni. E questo senza considerare ammortamenti, stipendi FA e prestiti interni. Wembley è sostenibile, quindi, ma non (ancora?) profittevole. Il CEO della FA, Mark Bullingham, ha difeso le recenti performance, sottolineando le nuove fonti di entrata e il rinnovato interesse degli artisti per Wembley come punto di riferimento per le proprie date. Paul Smyth, general manager dello stadio, ha ribadito che «ogni evento conta, che sia una semifinale di FA Cup o un concerto sold-out» e che la nuova strategia ha portato a risultati migliori, anche grazie a tour più lunghi e maggiori tariffe per l’uso del sito.

Tuttavia, Wembley non è l’unico attore sulla scena. Il Tottenham Hotspur Stadium, con 62mila posti omologati, ha ormai superato tutti in termini di eventi extra-calcistici, ospitando concerti, incontri NFL e boxe. Smyth nega che sia una concorrenza diretta, ma ammette che la grandezza stessa di Wembley (90mila posti) rappresenta un limite: non tutti gli artisti, infatti, riescono a riempirlo. Molti promoter, infatti, preferiscono virare su stadi più “sicuri”, come Anfield, Etihad a Manchester e appunto il Tottenham Stadium, situato peraltro sempre nel nord di Londra, proprio come Wembley.

Sette anni fa, Shahid Khan, miliardario americano e proprietario del Fulham e dei Jacksonville Jaguars, ha cercato di fare ciò che nessun altro aveva mai osato neanche pensare: acquistare Wembley Stadium, il tempio del calcio inglese. La sua proposta è stata clamorosa: 600 milioni di sterline cash e altri 300 milioni in ricavi futuri, per un totale vicino al miliardo. L’obiettivo era di trasformare il simbolo del football britannico in un asset privato e redditizio, senza snaturarne l’identità sportiva. Khan non voleva abbattere Wembley, né trasformarlo in un’arena dedicata solo alla NFL: l’Inghilterra avrebbe continuato a giocarvi le sue partite, così come si sarebbero disputate le finali di coppa, gli spareggi promozione, il rugby, il pugilato e molto altro. La Football Association (FA) sarebbe semplicemente passata da proprietaria a inquilina.

E in effetti, nel 2018, la FA ci ha pensato. Il nuovo Wembley era costato quanto promesso, circa un miliardo, ma non era la macchina da soldi sognata in fase di progettazione. I conti della controllata WNSL erano in rosso da anni e si prospettava una spesa di oltre 70 milioni per la manutenzione ordinaria. Al tempo stesso, i campi di gioco in tutto il paese si deterioravano e la FA faticava a trovare fondi per il calcio dilettantistico. Vendere Wembley sembrava razionale, e anche il governo britannico e Sport England approvavano l’operazione. Poi ha prevalso la linea romantica. La proposta è diventata un caso nazionale, tra chi vedeva l’offerta come una salvezza finanziaria e chi la bollava come una provazione di un simbolo patriottico.  Alla fine, la resistenza è stata tale che Khan ha ritirato l’offerta, parlando di «mancanza di mandato chiaro». In effetti, il CEO della FA, Martin Glenn, si è dimesso poco dopo.

Molti, anche dentro la FA, si chiedono ancora se il rifiuto dell’offerta di Khan non sia stato un errore di valutazione. Un ex dirigente FA, interrogato dal New York Times, ha definito la mancata vendita «una follia», sostenendo che la gestione degli stadi richiede competenze che la FA non ha. Un altro ha parlato di Wembley come di «una distrazione operativa» che distoglie tempo, risorse e attenzione da ciò che una federazione dovrebbe fare: promuovere il gioco, formare arbitri, allenatori e rendere accessibile il calcio a tutti. La verità come sempre sta un po’ nel mezzo. Oggi Wembley è più efficiente, ma genera ancora pochi soldi. Con altri anni di crescita e di eventi, potrebbe arrivare a essere profittevole. Il fascino della lunga camminata fino all’arco non glielo toglierà nessuno, ma per continuare a essere il tempio del football il bilancio dovrà cominciare a riportare il segno positivo.

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