Go East

La storia singolare e controversa del RB Lipsia, acquistato nel 2009 da Red Bull e appena promossa in Bundesliga. Riportando in alto il calcio dell'ex Ddr.

Markranstädt è una cittadina della Sassonia a venti minuti di macchina da Lipsia: tante Kneipe quante chiese, 15.000 abitanti e una storia non particolarmente memorabile. Proprio come il curriculum della squadra di calcio locale, l’SSV Markranstädt: una vita passata a fare avanti e indietro tra Landesliga (l’equivalente della nostra Promozione) e Oberliga (la nostra Eccellenza), finché un giorno del 2009 a Markranstädt non si presentano alcuni uomini d’affari con una proposta. Vogliono acquistare la licenza della SSV per la stagione successiva di Oberliga e spostarla a Lipsia, con l’assicurazione che, una volta promossi nella categoria superiore, “restituiranno” agli abitanti di Markranstädt la loro squadra, trasformandola in un satellite del nuovo club. Il quale, dicono, si chiamerà RB Leipzig. RB come RasenBallsport Leipzig, il nome ufficiale della società per esteso (Rasenballsport significa “sport della palla su prato”: è l’escamotage migliore trovato da Red Bull per aggirare una normativa tedesca che vieta la comparsa di uno sponsor direttamente nel nome di un club sportivo), ma soprattutto RB come Red Bull, l’azienda austriaca di energy drink da 5 miliardi di fatturato che manda quegli uomini.

lipsia1

È così che, nell’anonimato della provincia sassone, è cominciata una delle vicende non solo più discusse e controverse della storia recente del calcio tedesco, ma anche una che potrebbe cambiarne per sempre i connotati. Grazie ai fondi pressoché illimitati dell’azienda con i tori rossi nel logo, da quel giorno di sei anni fa le cose per il neonato RB Leipzig sono infatti prevedibilmente cambiate. In meglio secondo i loro tifosi, in peggio secondo quasi tutti gli altri osservatori interessati. Prima è arrivato lo spostamento dal piccolo impianto di Markranstädt ai 44.000 posti a sedere del Zentralstadion di Lipsia, costruito per il Mondiale 2006, sottoutilizzato da allora e oggi rinominato Red Bull Arena. Poi sono arrivate le promozioni, una in fila all’altra, dalla Oberliga su fino alla Bundesliga. Un’ascesa costante che è solo la prima fase di un progetto che, nelle parole di Dietrich Mateschitz, fondatore di Red Bull, porterà il club «a una presenza costante e da protagonista in Champions League». Per raggiungere questi obiettivi, Mateschitz non ha badato e non bada a spese. In cinque anni ha costruito un nuovo centro sportivo, acquistato alcune delle migliori promesse del calcio giovanile tedesco e assunto una serie di manager rampanti, in particolare i quarantenni Oliver Mintzlaff, prima podista di discreto successo e poi direttore marketing di Puma, e Ulrich Wolter, organizzatore del Mondiali di calcio femminile di Germania 2011 e già membro del comitato sostenitore della candidatura di Lipsia a ospitare le Olimpiadi 2012. Ma soprattutto, nel ruolo di direttore sportivo, quel Ralf Rangnick che, da allenatore, nel 2011 aveva guidato lo Schalke 04 a una storica semifinale di Champions League contro il Manchester United, eliminando ai quarti l’Inter campione in carica con un roboante 2-5 a San Siro. Rangnick è anche il gestore di un “tesoretto” da 100 milioni di euro da investire nelle prossime stagioni.

Rangnick inseguito da Davie Selke
Rangnick inseguito da Davie Selke

La scelta di Lipsia, una ex metropoli che solo di recente sta terminando la sua convalescenza dal secondo ‘900 (nel corso del quale è passata dagli 800.000 abitanti di prima della seconda guerra mondiale ai 500.000 attuali), peraltro non è casuale. La città ha una lunga e solida tradizione in fatto di Fußball – nel 1900 ha infatti ospitato i natali della DFB, la lega calcio tedesca, e vantato alcune delle migliori squadre del defunto campionato Ddr, come la Lokomotive finalista della Coppa Uefa ’87 contro l’Ajax di Van Basten – ma il gap economico con l’Ovest l’aveva progressivamente spinta ai margini dell’irrilevanza calcistica. In un così malinconico contesto – è dal 2009 che l’ex Germania Est non può contare su un singolo club tra i 18 della Bundesliga – una nuova società con l’aspirazione di entrare nel gotha del calcio europeo non poteva che incontrare un terreno vergine di entusiasmi e riscuotere un ampio seguito, colorato anche con qualche sfumatura di revanscismo socio-economico. E così è stato infatti, perlomeno a Lipsia e dintorni. Altrove però le cose sono guardate con molto più scetticismo e non c’è trasferta in cui i Bullen della Sassonia non incontrino contestazioni e critiche, che si concentrano in particolare sull’artificiosa genesi del club e sulla sua struttura societaria, secondo molti in flagrante violazione di uno dei più sacri principi del calcio tedesco, quello del “50+1”.

lipsia2

Con “50+1” si intende una regola scritta nello statuto della lega calcio tedesca, per cui la maggioranza (il 50+1, appunto) delle quote di un club deve essere detenuta dall’azionariato diffuso dei suoi associati. I quali pagano una quota annuale piuttosto ridotta per, tra l’altro, avere diritto di voto nell’elezione delle più alte cariche societarie. Anche prima della nascita dell’RB Leipzig, a dire il vero esistevano alcune eccezioni eclatanti a questa regola; su tutte il Bayer Leverkusen di proprietà dell’omonima casa farmaceutica e il VfL Wolfsburg di proprietà della Volkswagen. Ma si tratta di situazioni eccezionali (nel caso del Leverkusen la Bayer co-fondò il club nel 1904 insieme ad alcuni suoi lavoratori, mentre per quanto riguarda il Wolfsburg… beh, l’intera città fu costruita quasi dal nulla per la produzione del famoso Maggiolino nel 1938), e, in ogni caso, se un’azienda finanzia una società per più di venti anni consecutivi, lo statuto della Lega prevede che a quel punto possa anche detenerne il pacchetto di maggioranza. Come ha ricordato di recente Christian Seifert, presidente della Deutscher Fußball Bund, per ottenere una deroga alla “50+1 Regel” un investitore deve «dimostrare ai tifosi e alla Lega di prendere il proprio impegno seriamente e non come un giocattolo promozionale usa-e-getta o un’iniezione di soldi part-time che può venire meno da un giorno all’altro».

FBL-GER-2ND-BUNDESLIGA-LEIPZIG-KARLSRUHE-fbl

Va da sé che, secondo i più convinti oppositori del progetto, “giocattolo promozionale” è esattamente il modo migliore per descrivere ciò che sta avvenendo a Lipsia, dove la società è  salda nelle mani del suo primo investitore, che finora ha accolto poco più di una dozzina di membri, tutti in qualche modo affiliati al management Red Bull (per fare un paragone: il Bayern Monaco ha più di 200.000 iscritti). Anche perché, se comparata a quella di qualunque altro club, la quota di iscrizione non è esattamente “popolare”: 800 euro annuali (per continuare con l’esempio, diventare “azionisti” del Bayern costa 60 euro all’anno). Come ha scritto Philip Koster, co-fondatore della prestigiosa rivista 11 Freunde, in un lungo reportage da Lipsia duramente intitolato “Il grande bluff Red Bull”, date queste cifre «non sorprende che dal 2009 a oggi non ci sia stata una singola richiesta di adesione».

La realtà però è che la regola del “50+1”, tanto ammirata fuori dalla Germania, in patria non è mai stata fragile come in questi anni. È storia ormai già vecchia il caso dell’Hoffenheim, la squadra di una città di 3000 abitanti che attualmente si gioca un posto in Europa League per la semplice ragione che, dal 1999, il suo principale investitore è il fondatore della multinazionale del software SAP (14 miliardi di fatturato) che vi militò in gioventù. È storia più recente la ricca sponsorizzazione dello Schalke 04 da parte di Gazprom, con voci di forti ingerenze nella conduzione del club (leggenda vuole che, nel 2011, Putin chiamò personalmente il direttore sportivo per fermare la cessione di Manuel Neuer al Bayern). È storia di questi ultimi mesi l’esternazione di Martin Kind, presidente dell’Hannover 96, che ha dichiarato come il suo club frequenterebbe parti più nobili della classifica se potesse attrarre investitori offrendogli fette più abbondanti della torta azionaria. E non è il solo a pensarla così.

Dietrich Mateschitz sugli spalti, a Lipsia
Dietrich Mateschitz sugli spalti, a Lipsia

Se, come pare, il fronte dei presidenti insofferenti alla regola del 50+1 dovesse continuare a montare, è probabile che troverà proprio in Dietrich Mateschitz il campione ideale per portare la regola all’attenzione della Corte di Giustizia Europea. La quale, altrettanto probabilmente, la giudicherà incompatibile con i principi economici dell’Unione. È anche per questa ragione che, in un tentativo di evitare un’escalation e salvare capre e cavoli, quando si è trattato di concedere al RB Leipzig la licenza per giocare in seconda divisione (rispetto ai livelli inferiori del calcio tedesco, Bundesliga e Zweite Liga fanno parte di un “universo” giuridico a sé, con standard più rigidi per l’ammissione delle squadre) la lega calcio tedesca ha chiuso più di un occhio, specie per quanto riguarda l’utilizzo del logo e dei colori di Red Bull nello stemma e nella divisa del club. Un’ulteriore palese violazione dello statuto della Lega che ha esacerbato l’ostilità delle tifoserie avversarie (in un match dello RB Leipzig in casa dell’Union Berlin, i tifosi berlinesi si sono presentati allo stadio vestiti di nero e hanno onorato un silenzio di 15 minuti per la “morte del calcio”) e di parte della stampa, tra cui, appunto, la rivista 11 Freunde.

lipsia3

Tuttavia è stato proprio in occasione dell’attacco portato da 11 Freunde (il già citato numero 148, “Il grande bluff Red Bull”) che è emerso l’altro lato della medaglia della vicenda. L’articolo in questione ha infatti scatenato una serie di repliche e contro-repliche che si sono propagate su blog e riviste per le successive settimane. Ovviamente molte testimonianze provenivano da tifosi residenti a Lipsia e raccontavano come, prima dell’arrivo di Red Bull, oltre a non avere la minima ambizione, le poche squadre sopravvissute in città fossero terreno fertile per le frange di tifo neo-nazi che proliferano in tutta l’ex Ddr. Mentre, a loro dire, l’RB Leipzig, oltre ad avere ridato orgoglio calcistico alla città, ha creato un’esperienza di tifo sanitizzata e accessibile a tutti. Si è aperto così un lungo e inconciliabile dibattito su cosa si deve intendere oggi quando si parla di Fußballkultur. Da una parte, come sempre e come dovunque, i sostenitori di un modello basato sull’oggettività dello spettacolo e del business e pazienza se si perdono delle tradizioni per strada. Dall’altra quelli che “la partita si vede allo stadio” e pazienza se lo stadio non è sempre esattamente un salotto.

FBL-GER-BUNDESLIGA-LEIPZIG-KARLSRUHE

Dal canto suo, per ora Red Bull si è limitata a fare spallucce e proseguire con la sua strategia abituale: intervenire nel mondo dello sport in prima persona e non come semplice sponsor (con un investimento annuale di mezzo miliardo di euro nel marketing sportivo ambito sportivo, Red Bull è seconda soltanto a Coca Cola, Adidas e Nike). Che si tratti di allestire un team di Formula 1, lanciare uno skydiver dalla stratosfera o comprare squadre di calcio a New York, Salisburgo o in Ghana, l’idea di fondo resta la stessa: coniugare sport e business per creare una narrazione di marketing. In tal senso e al netto di tutte le polemiche, va ripetuto che, guardandole dal punto di vista di Red Bull, la scelta di Lipsia e la gestione prettamente sportiva della squadra finora sembrano particolarmente azzeccate. Lipsia infatti non è solo la sua storia, la sua ricca cultura – da Bach a Nietzsche, da Wagner a Leibniz – e la sua tradizione calcistica, è anche una città circondata da un crescente interesse socio-economico. Una delle città tedesche da cui ci si attende la maggiore crescita in proporzione nei prossimi anni. Una città che ha tutto l’interesse a raccontarsi come il centro della ripresa della Germania orientale. Aver creato un piccolo club da queste parti con l’ambizione di portarlo fino alla Champions League, non è stato solo politicamente più semplice ed economicamente più conveniente di acquistare un club della Bundesliga, è stato anche strategicamente molto lungimirante. Invece di acquistare giocatori da categorie superiori, magari non proprio all’apice della carriera, la strategia del Lipsia finora è stata di focalizzarsi su giovani prospetti acquistati dalle migliori accademie nazionali, così da farli crescere e, talvolta, rivendere per bilanciare i conti, come nel caso di Joshua Kimmich, oggi al Bayern Monaco. Il materiale narrativo qui a disposizione è di prima categoria: la novità dall’est contro le potenze dell’ovest, la rinascita di una città, la scoperta di talenti ancora sconosciuti, la scalata alla gloria dal basso. Chi non ha mai cominciato una partita di Football Manager con delle premesse del genere?

 

Tratto dal numero 4 di Undici. Foto di Natalie Toczek (© Undici) e Robert Michael/Afp/Getty Images