Il nuovo David Silva

Perché David Silva è il giocatore più importante del nuovo Manchester City: come la posizione ibrida dello spagnolo può fare le fortune di Guardiola.

Quando, nel gennaio scorso, si stava cominciando a parlare dell’approdo di Guardiola a Manchester sponda City, Espn si interrogava sul futuro di tre giocatori che, per primi, avrebbero pagato il necessario tributo al “guardiolismo”: Yaya Touré, Samir Nasri e David Silva sembravano i maggiori indiziati al sacrificio sull’altare del nuovo corso voluto da Beguiristain, tanto più dopo gli arrivi estivi di Ilkay Gundogan e Leroy Sané. A distanza di sette mesi e dopo la vittoria per 3-1 contro il West Ham, però, Espn ha operato una vistosa marcia indietro, soprattutto in relazione a David Silva.

Cosa è accaduto nel frattempo? Semplice: Guardiola si è ritrovato in casa quello che a Barcellona erano Xavi e Iniesta e che, solo saltuariamente, a Monaco di Baviera sono stati Thiago Alcantara, Toni Kroos e Mario Gotze. Perché, oltre al pivote davanti alla difesa (una sottile linea rossa che unisce giocatori diversi tra loro come Busquets, Lahm e adesso Fernandinho), una delle chiavi del sistema del tecnico spagnolo è costituita dall’uomo del “pre-assist”: ovvero la figura deputata alla prima costruzione in verticale per favorire l’inserimento e il successivo passaggio vincente dell’uomo dal lato debole. Un teorema messo in pratica nell’azione che, nella partita contro il West Ham, ha portato all’1-0 di Sterling. Sei secondi, o poco più, che sono la sintesi migliore del perché Silva sarà il prossimo centro di gravità permanente dei Citizens: scambio rapido con De Bruyne per favorire il taglio da sinistra verso il centro, venti metri di percussione palla al piede e passaggio nel corridoio alle spalle del diretto avversario di Nolito, il quale non ha difficoltà ad offrire a Sterling il più classico dei “basta spingere”.

 

Si tratta della scena madre della partita mostruosa giocata dal centrocampista spagnolo: 89 tocchi, 84.1% di pass accuracy, 3/5 nel lancio lungo, poco meno di un terzo delle occasioni da gol (5 su 18) frutto delle sue intuizioni. In piena continuità con quanto mostrato in quest’inizio di Premier League: 243 minuti giocati sui 270 totali, un assist e 7 key passes in tre partite di Premier con l’87% di precisione nei passaggi, oltre la metà dei quali (56.3%) in verticale e a tagliar fuori la prima linea di pressing della squadra avversaria. Tuttavia non ci sarebbe molto di cui stupirsi: si sta parlando di uno che, dal 2012/2013, ha totalizzato 35 assist e 305 passaggi chiave, per un totale di 340 potenziali azioni da rete in quattro campionati e con una accuracy mai al di sotto dell’85% (con punte dell’88).

E allora come mai proprio con lui è apparsa ancor più marcata e netta la cesura con il recente passato dell’ultimo Pellegrini? Ancora una volta bisogna guardare alla gara contro gli Hammers.

Silva West Ham

Come si può osservare, il giocatore ha praticamente coperto ogni zona di campo, con una lieve predilezione per l’amato centro-sinistra, senza per questo esserne ancorato. Qui sta il punto: nelle precedenti versioni del City, Silva era un giocatore tecnicamente indiscutibile ma limitato ad agire in una singola porzione di campo, precludendosi alla lunga l’imprevediblità e la rapidità di ogni singola giocata e vincolato ad un sistema troppo dipendente dalla strapotenza fisica di Yaya Touré. Dettaglio intuibile dalla lettura di un dato significativo: delle 66 occasioni da rete (11 assist, 55 key passes) da lui create nel corso della scorsa stagione, oltre il 62% è arrivato dalla trequarti centrale, il 30.3% dalla sinistra, appena il 7.5% dalla destra. Di fatto, quindi, c’era una porzione del terreno di gioco che Silva si vedeva preclusa a prescindere e non certo perché non fosse in grado di agirvi, anzi: uno dei gol più belli della Spagna agli ultimi Europei, quello di Morata nella sconfitta contro la Croazia nella fase a gironi, nasce proprio da un’intuizione del #21 che, partendo da destra, legge a meraviglia l’inserimento di Fabregas alle spalle della linea difensiva croata. Di fatto, un’anticipazione (dalla parte opposta) della rete di Sterling contro il West Ham.

 

È come se Pellegrini avesse commesso un errore di tipo concettuale, credendo di avere ancora a che fare con l’imberbe talentino che, nel Valencia versione 2006/2010, veniva utilizzato unicamente come appoggio (trequartista, ala sinistra, talvolta anche seconda punta) per David Villa, unico terminale offensivo. Negli anni, invece, il giocatore è riuscito ad andare oltre la monodimensionalità del suo prime, intuendo che la massimizzazione delle sue qualità tecniche dovesse necessariamente passare da un parziale arretramento del suo raggio d’azione. In questo, l’alternarsi negli anni con Fabregas nel ruolo di primo cambio degli intoccabili Xavi/Iniesta/Busquets in Nazionale gli ha permesso di capire come rendere al meglio in un sistema di gioco (quel 4-3-3 ibrido che costituì il punto di partenza dell’epopea blaugrana di Guardiola) senza ruoli fissi, in cui centrocampisti interscambiabili tra loro devono imparare a gestire il pallone in ogni singola zona di campo, in funzione di imprevedibilità e rapidità della manovra.

Qui, per esempio, in una gara della Nazionale, Silva segna dopo un’azione di 41 passaggi

Tradotto: velocità di movimento, di tocco e di pensiero, potendo disporre di una capacità di lettura a 360 gradi di tutte le soluzioni offensive. Tutte qualità che “Merlino” (uno dei suoi tanti soprannomi) ha sempre avuto e che, però, erano state limitate dai diktat pellegriniani che lo volevano relegato sul centro-sinistra degli esordi, demandando ad altri il compito di dettare ritmi e tempi delle giocate. In sintesi, il gioco del City passava anche da Silva quando, al contrario, sarebbe dovuto passare prima da Silva.

A Guardiola, invece, non è quasi parso vero di ritrovarsi già in rosa un giocatore così pronto per la sua idea di calcio e, in queste prime uscite stagionali, gli ha dato ampia libertà d’azione, oltre che la fascia da capitano nell’esordio di campionato contro il Sunderland: partendo nominalmente da mezzala sinistra in un altrettanto nominale 4-3-3 (che diventa un 4-1-4-1 in fase passiva e un 2-3-4-1 in quella attiva, con i due terzini che si alzano sulla linea dei centrocampisti e il pivote che scala a ridosso dei centrali di difesa), il nostro diventa il regista a tutto campo della squadra, in quello che gli inglesi hanno ribattezzato come “free 8 role”. Una condizione che gli apre infinite linee di passaggio sfruttando la corsa dei taglianti alle spalle di Aguero. I benefici per squadra e singolo sono stati da subito evidenti, con De Bruyne, che di Silva è l’omologo sul lato destro, che ha dichiarato: «È un ruolo totalmente diverso da quello che mi aspettavo ma mi sto trovando molto bene. L’allenatore ha le sue idee e mi sta spingendo a giocare non come un fantasista classico ma come un numero 8 dalle possibilità di movimento illimitate. Mi piace molto e, per ora, sta andando tutto per il verso giusto».

Il gol nei preliminari di Champions contro la Steaua

Senza contare la possibilità di poter risultare maggiormente incisivo anche in fase realizzativa. Al momento, complice anche il vedersi saltuariamente schierato da trequartista/ala (retaggio dei già menzionati trascorsi valenciani) nel 4-2-3-1 di Pellegrini, lo score del Silva citizen racconta di 44 gol in 244 presenze, ma anche di una shot accuracy precipitata dal 60% del 2014/2015 al 22% della stagione successiva (appena 4 reti all’attivo e nessuna in campionato). Guardiola gli ha aperto nuove prospettive anche da questo punto di vista, tanto come ultimo terminale delle (rare) azioni che non partono da lui, quanto attaccando l’ultimo terzo di campo come vertice del triangolo formato da lui, Nolito/Sterling e il terzino di riferimento.

Per giocare a questi livelli, per questo allenatore, con questa fusione tra estetica ed efficacia, serve qualcuno che abbia una capacità di read and react fuori dall’ordinario. E ci sono momenti della singola partita in cui David Silva sembra sempre due-tre passaggi avanti agli altri 21 sul terreno di gioco, proprio come Xavi e Iniesta prima di lui. E non solo in fase di possesso: il riuscire a vedere anticipatamente i flussi di gioco, gli consente di essere efficace anche come recuperatore di palloni sui generis, supplendo al naturale scarso dinamismo con la lettura preventiva delle linee di passaggio avversarie nelle quali inserirsi. Una sorta di roaming difensivo che sta già pagando parecchi dividendi: siamo sulle due azioni in ripiegamento di media a partita, con il 42.9% di intercetti, altrettanti salvataggi decisivi e il 14.6% di conclusioni respinte. Dati pressoché impensabili fino a qualche mese fa e che ne fanno tra i migliori della Premier (e, forse, d’Europa) nell’interpretazione dei singoli 90 minuti su entrambi i lati del campo. Tanto più che, anche sotto l’aspetto atletico, sia la squadra che il suo elemento chiave (lo scorso anno limitato dai postumi di un fastidioso infortunio alla caviglia), sembrano godere di ottima salute.

La sensazione è che si tratti solo della punta dell’iceberg. E a confermarlo è proprio il diretto interessato: «La squadra sta crescendo partita dopo partita, creiamo un sacco di occasioni da gol e sentiamo di poter migliorare ancora. Abbiamo tanti giocatori cui piace giocare il pallone e altrettanti che sanno andare negli spazi in velocità. Per me, come per altri, è diventato tutto molto più facile. Siamo diventati come il primo Barcellona di Guardiola? Non lo so, non credo: noi abbiamo il nostro stile e penso che possiamo fare ancora di più e meglio». Parole di un uomo e un giocatore rinato che ha trovato, ricambiato, l’amore tecnico della sua vita. Perché al di là di tutti i discorsi tattici, dati e statistiche, uno come Silva in una squadra di Guardiola giocherà sempre. È una questione legata alla concezione e alla visione antropologica dello sport: stiamo parlando di due che detestano un calcio legato a schemi e ruoli fissi e privilegiano l’intuito, l’immediatezza e il talento come facilitatore (e non ostacolo) di un’organizzazione di squadra funzionale alle caratteristiche di chi è in campo. A 30 anni, David Silva è alle prese con i primi passi del percorso che lo porterà alla sua versione 3.0. La più completa. La più decisiva. Probabilmente la migliore.

 

Nell’immagine in evidenza, David Silva durante la partita di Champions contro il Psg dello scorso aprile (Paul Ellis/AFP/Getty Images)