Il potere occulto del calcio croato

I 13 anni di Zdravko Mamić da burattinaio della Dinamo Zagabria e del pallone in Croazia.

«Terroristi dello sport». All’indomani della partita contro la Repubblica Ceca, il commissario tecnico Ante Čačić non usa mezzi termini per riferirsi alla frangia più estrema della tifoseria croata, rea di aver dato vita nei minuti finali a un fitto lancio di petardi e fumogeni. Un comportamento che rischia tra l’altro di portare all’esclusione di Srna e compagni dall’Europeo. La condanna, dura e inequivocabile, è accompagnata da una sinistra ammissione: «Si temeva che qualcosa di simile potesse avvenire», aggiunge il ct, «e puntualmente è avvenuto». Con il passare del tempo, a torneo terminato, la nebbia che avvolge questa e altre intempereranze dei supporter dei Vatreni inizia lentamente a diradarsi e si chiariscono i contorni di quella che oggi possiamo definire con certezza una strategia messa a punto per sabotare la Federazione. E Federazione in Croazia fa rima con Zdravko Mamić.

Tredici anni alla guida della Dinamo Zagabria, conditi da undici campionati vinti consecutivamente e plusvalenze da far invidia a Sabatini. Ma anche una gestione economica a dir poco opaca, modi non proprio teneri nei confronti di avversari e giornalisti e un dominio totale sulla Federcalcio. Dal 2003 a oggi Mamić ha trasformato la Dinamo nel collettore del meglio (e del peggio) del fudbal a scacchi, fagocitando le rivali e utilizzando la Lokomotiva Zagabria non solo come squadra-satellite in cui far crescere i propri giovani ma anche come bottino di punti. Ogni stagione infatti – mormorano i maligni – la Dinamo parte con un vantaggio di 12 punti su tutte le concorrenti: sono quelli che, in un campionato a 10 squadre con un doppio turno di andata e ritorno, le frutta la presenza della consorella in prima divisione. E in effetti l’elenco degli incroci parla di un solo pareggio (ininfluente ai fini della classifica), per il resto solo vittorie della Dinamo. Un’anomalia nel panorama del calcio europeo. Una delle tante.

Il momento più alto della gestione Mamić: 2–1 all’Arsenal nella prima partita nei gironi della scorsa Champions League

Il campionato croato è il meno combattuto tra quelli sorti dalle ceneri della Prva Liga jugoslava: la Dinamo si è aggiudicata 18 delle 25 edizioni fin qui disputate. Nemmeno il Partizan in Serbia (15 campionati vinti su 24) è riuscito a fare di meglio. Merito in quel caso della recente rinascita dei rivali cittadini della Stella Rossa che nel 2014, dopo sei anni di dominio bianconero, sono riusciti a riportare una parvenza di equilibrio nell’albo d’oro. In Croazia invece l’altra “grande” storica, l’Hajduk Spalato, ha ormai da tempo issato bandiera bianca. Dal 2006/07 i Plavi si sono aggiudicati tutti i campionati con un distacco medio di 15 punti sulla seconda. Piazza d’onore occupata sempre più spesso negli ultimi anni dall’Hnk Rijeka. Fino al momentaneo sorpasso, quest’anno: a 15 giornate dalla fine, i fiumani conducono con un margine di 6 punti sulla Dinamo e possono contare anche sugli scontri diretti a favore.

Cos’è successo nel frattempo? Esattamente un anno fa Mamić, indagato per appropriazione indebita ed evasione fiscale, è stato costretto a dimettersi da direttore esecutivo del club. Dimissioni di facciata, però: al timone del club, nel ruolo di consigliere, c’è sempre lui, anche se negli ultimi mesi la sua immagine è stata ulteriormente oscurata dalle vicende riguardanti la Nazionale. Perché in questi anni la sua longa manus non si è limitata al campionato: nell’estate del 2012 il deus ex machina del calcio croato si è ritagliato un posto speciale nella Federazione. “Primo vicepresidente”, una formula inusuale come inusuale sarebbe stata di lì in poi la gestione dei posti chiave in Federcalcio, commissari tecnici in primis. Il presidente è Davor Šuker, indimenticato trascinatore della Croazia ai Mondiali di Francia nel ’98 e, smessi i panni del calciatore, uomo di fiducia di Zdravko.

GNK Dinamo Zagreb v HNK Hajduk Split - Croatian Prva HNL

Cresciuto nel settore giovanile dei Blues senza riuscire a sfondare (al contrario del fratello minore Zoran, riserva nella squadra del mondiale francese e poi allenatore della Dinamo dal 2013 al 2016), Mamić si arricchisce durante il conflitto degli anni Novanta prendendo parte al processo di privatizzazione della Česma, un’azienda di legname della sua città natale, Bjelovar. Un’operazione tutt’altro che limpida: le indagini condotte a partire dal 2000 hanno svelato un danno allo Stato per parecchi milioni di kune. Ma il nome di Zdravko inizia a circolare negli ambienti del club zagabrese che dopo l’indipendenza ha cambiato denominazione: il nome “Dinamo” è troppo compromesso con l’eredità comunista, meglio il più nazionalista “Croatia”. Ed è attorno a questa ambiguità lessicale che Mamić costruisce la propria sfavillante carriera di dirigente.

Estate 2000: conclusa la breve stagione della “Croatia”, si torna all’antico. Dietro al rebranding però si nasconde un’operazione che mira a risanare i conti disastrati della società: quella vecchia fungerà da bad company, accollandosi tutti i debiti, mentre la Dinamo, finalmente priva di zavorre, potrà tornare a vincere. Insieme all’allenatore e ai giocatori, allo stadio e agli impianti di allenamento, alla nuova squadra rimangono anche tutti i titoli in bacheca. Non solo: in barba al regolamento che prevede agevolazioni fiscali solo per le associazioni civiche ad azionariato diffuso, Mamić avvia dal 2003 la privatizzazione del club senza per questo rischiare di perdere una sola kuna di finanziamento pubblico. Dulcis in fundo non può mancare il più calcistico dei conflitti d’interessi: ecco che il figlio Mario fonda l’Asa International, un’agenzia di gestione calciatori da negli anni passeranno in molti. Quasi tutti.

NK Dinamo Zagreb v HNK Cibalia - Croatian Prva HNL

In breve tempo il suo diventa il nome più odiato da tutte le curve del Paese. In prima fila ci sono paradossalmente – o forse no – i Bad Blue Boys, gli ultras più organizzati della Dinamo che gli contestano una «gestione dittatoriale del club». Sono loro a guidare la “rivolta” che prende di mira la Nazionale. Perché la Nazionale? Perché assicura la massima visibilità internazionale. Sabotare le partite della squadra di Kovač prima e Čačić poi per attirare l’attenzione della Uefa e della Fifa è il folle piano degli ultras croati. I disordini di San Siro all’andata e la svastica sul terreno di gioco di Spalato al ritorno i due episodi di questa “guerra del tifo” che da italiani ci hanno toccato più da vicino. Alla fine, almeno sulla carta, l’hanno avuta vinta i tifosi: dopo un primo arresto nel luglio 2015 per malversazione ed evasione fiscale, le dimissioni di Mamić (tuttora indagato) hanno provocato un moto di gioia tra i supporter della Dinamo, tornati in blocco al Maksimir dopo anni d’assenza.

Eppure, a ben vedere, il suo potere sul club e sulla Federazione è stato solo scalfito: il ridimensionamento del suo ruolo nell’organigramma societario è sembrato a molti poco più che una formalità, mentre a capo della HNS è ancora salda la posizione di Šuker. Lo stesso Čačić deve a Mamić il suo posto sulla panchina della Nazionale: esonerato nel novembre 2012 dopo un solo anno alla guida della Dinamo, nel gennaio 2015 è stato chiamato a guidare la Croazia dallo stesso uomo che ne aveva chiesto lo scalpo appena due anni prima. «Non è adatto ad allenare la Dinamo ma è in grado di allenare la Nazionale?», si chiesero in molti all’epoca della sostituzione di Kovač. L’operato di Čačić non si è nemmeno rivelato così disastroso ma la questione sollevata allora e che resta, nonostante tutto, ancora aperta è: riuscirà mai il calcio croato a liberarsi di Mamić? Una domanda a cui – siamo certi – l’interessato risponderebbe sollevando un altro cinico interrogativo: «Cosa sarebbe il calcio croato senza di me?».

Sotto la sua guida quello della Dinamo è diventato il miglior settore giovanile dei Balcani, scalzando negli ultimi anni il decennale primato del Partizan Belgrado. L’arma in più per i Plavi è stata ed è la possibilità di utilizzare una squadra di prima divisione, la Lokomotiva appunto, come “magazzino” di giovani promettenti, potenzialmente adatti a giocare in prima squadra ma che alla Dinamo troverebbero poco spazio. Non è un caso che molti dei migliori talenti cresciuti all’ombra di Mamić nell’ultimo decennio (Badelj, Vrsaljko, Brozović e Pjaca, giusto per citare gli “italiani”) abbiano disputato almeno un campionato con la maglia dei Lokosi. Anche grazie al controllo sulla Lokomotiva, il potenziale del sistema-Dinamo è esploso: il 2016 è stato il quinto anno consecutivo in cui il club di Zagabria ha messo a segno plusvalenze superiori ai 10 milioni. Un’enormità considerando il contesto di un calcio balcanico sull’orlo del fallimento, un successo incredibile se si pensa che stiamo parlando di uno dei pochissimi club in Europa a riuscire nell’impresa di sostentarsi solo con il proprio settore giovanile.

GNK Dinamo Zagreb v HNK Hajduk Split - Croatian Prva HNL

Quest’anno però qualcosa sembra essersi incrinato. Non solo non è avvenuto il tanto sospirato salto di qualità in Champions (sei sconfitte, zero goal fatti e 15 subiti nelle sei partite contro Juve, Siviglia e Lione: peggior bottino di sempre nella fase a gironi) ma ora la Dinamo rischia seriamente di vedersi spodestata in quello che sembrava esser diventato il suo feudo inespugnabile, il campionato. Il Rijeka, erede di quell’Unione Sportiva Fiumana che fino al 1945 rappresentava la comunità italofona della città, è rimasta una delle pochissime squadre europee di prima divisione ancora imbattute in campionato: a far compagnia al club di proprietà dell’imprenditore ligure Gabriele Volpi (più volte in passato accostato alla Sampdoria), sono rimasti solo Celtic Glasgow, Shakhtar Donetsk, Copenhagen e Kukësi. Non male per una squadra che in Croazia è addirittura terza per valore totale della rosa: appena 20 milioni, dietro anche all’Hajduk Spalato. Il trascinatore dei fiumani è il 25enne trequartista Franko Andrijašević, capocannoniere a quota 10 reti arrivato in estate – ironia della sorte – proprio dalla corte di Mamić.

Una corte che, dopo la cessione a peso d’oro di Marko Pjaca (plusvalenza netta di 22 milioni, record della gestione Mamić), potrebbe tra qualche mese incontrare parecchie difficoltà a piazzare colpi degni di quelli cui ci ha ormai abituati. Il profilo più indicato a essere sacrificato sull’altare del pareggio di bilancio è quello del trequartista Ante Ćorić, 20 anni ad aprile, prelevato appena sedicenne dalle giovanili del Red Bull Salisburgo, cercato già in estate dal Milan e il cui valore di mercato si aggira attualmente intorno ai 10 milioni di euro. Lontano quindi dai fasti delle ultime sessioni di mercato. La concreta possibilità di non disputare la prossima Champions League, poi, sarebbe un’ulteriore grana difficile da digerire per il padre-padrone del calcio croato: senza la massima vetrina mondiale a disposizione, Mamić – la cui immagine in Europa si è irrimediabilmente macchiata dopo i fatti francesi – perderebbe la chance di esibire i propri gioielli davanti alle big del continente. Mettendo in pratica quello che – gli contestano i tifosi – è in realtà il suo vero obiettivo stagionale nelle coppe europee. Braccato dalla legge, rinnegato dalla Uefa e contestato dai suoi stessi tifosi, Zdravko sembra aver perso il suo tocco magico. Ma non (ancora) il potere.