E’ inutile che allarghi, che tiri, che estendi. Questa è una storia tra Barcellona e Juventus. Non c’entrano la Spagna e l’Italia, la Liga e la Serie A, non c’entrano i sistemi di uno o di un altro Paese. La Champions da anni insegna che il singolo club conta per se stesso molto più di quanto gli sta attorno. Significa che questa finale non ha un senso più ampio, allargato, collettivo, non è quindi la possibile rinascita del calcio italiano, come molti hanno detto e scritto in questi giorni. Seguendo questa logica l’Inghilterra sarebbe in crisi irreversibile: non ha portato una sola squadra nelle prime otto di Champions ed Europa League. Di contro la Spagna ha avuto tre semifinaliste (due in Champions, una in Europa League), come l’Italia (con proporzioni invertite), ma seguendo il ragionamento, il calcio inglese sarebbe in down anche rispetto a Francia, Portogallo e Ucraina.
La tesi non regge da qualunque prospettiva la si voglia vedere: la PremierLeague, dicono i numeri, è nettamente il prodotto calcistico nazionale più ricco. Ha, oggi, la media migliore di calciatori di grande livello, ha club ricchi, ha stadi pieni, ha diritti televisivi più cari del pianeta. Non portare squadre tra le prime otto d’Europa per uno, due, tre anni conta poco. Non è indice di crisi o di degrado tecnico-economico di una Lega. Perché ciò che avviene nei campionati ha valore zero, in senso positivo o in senso negativo. Sempre restando all’Inghilterra, per anni ha avuto una sola squadra competitiva davvero a livelli europei: il Manchester United. E ciò mentre la Premier stava già diventando ciò che è diventata.
In Europa valgono i modelli dei singoli club. La retorica del sistema Paese vincente o del sistema Paese perdente è vuota, inutile, insignificante. Si vede dai risultati: il Porto che arriva ai quarti è il Porto, non c’entra con il sistema del calcio portoghese. Così anche per la Spagna. Barcellona e Real Madrid non fanno il sistema del calcio spagnolo. Sono state competitive in Europa anche in momenti in cui la Liga era un campionato i terza fascia. E i loro successi hanno inciso niente sul destino del movimento spagnolo. Nel senso che l’Atletico Madrid e il Siviglia non hanno avuto benefici dall’andamento delle due rivali spagnole. Si sono costruite modelli loro, autonomi, indipendenti, solidi per poter arrivare in Champions o in Europa League più in fondo possibile. Essere spagnole è un dettaglio.
La finale della Juve non c’entra con l’Italia, intesa come sistema-calcio. E’ un risultato della Juventus, solo della Juventus. Non è né il volano per la rinascita del nostro pallone, né la conseguenza di scelte collettive che hanno beneficiato un club. Vincere o meno cambierà il destino, la storia, l’umore del club e dei suoi tifosi. Non del Paese. Il che è per paradosso una fortuna. Perché non ci illuderemo che senza riformarsi, senza cambiare, senza entrare in una nuova dimensione il calcio italiano possa tornare tutto competitivo. Si possono imitare modelli o crearne di nuovi. Non esiste ancora il calcio vissuto e vinto per osmosi. Il successo del vicino non mi aiuta se io non mi aiuto da solo. Però continueremo a sentire associare i destini di un solo club a quelli di un intera Lega. E’ troppo invitante. E’ anche troppo facile. E’, soprattutto, molto comodo.