Il volo degli Hornets

A quasi 15 anni dall'ultima vittoria nei Playoffs, Charlotte è tornata a fare sul serio. Merito di un rebuilding efficace e di un Kemba Walker determinante.

Negli ultimi anni si è parlato molto del presunto squilibrio tra Eastern e Western Conference: lo scorso anno a Est i Nets strapparono l’ultimo posto ai Playoffs con 0.463, lo stesso record che a Ovest avevano realizzato i Jazz undicesimi. Quest’anno la situazione si è capovolta: senza tirare in ballo le corazzate ad Ovest, lo 0.500 con cui i Rockets hanno centrato i playoff vale il medesimo record dei Wizards, decimi a Est. Il riequilibrio tra le due conference è prevalentemente dovuto al buon rebuilding che stanno attuando franchigie come gli Indiana Pacers, rinati dopo il ritorno del loro leader, come i Boston Celtics e soprattutto come gli Charlotte Hornets, tra queste la franchigia che più ha mutato il proprio approccio al gioco grazie ad una serie di fattori che ha portato alla recente qualificazione ai Playoffs.

Cody Zeller esulta contro i Pacers, lo scorso marzo. (Streeter Lecka/Getty Images)
Cody Zeller esulta contro i Pacers, lo scorso marzo. (Streeter Lecka/Getty Images)

La mutazione degli Charlotte Hornets è nient’altro che un processo di profonda modernizzazione, inaugurato da Steve Clifford che, dopo un paio di stagione non esaltanti, ha espresso la necessità di costruire una squadra più veloce, che potesse allargare maggiormente il campo e che tirasse maggiormente da dietro l’arco. Rich Cho, sottostimato General manager degli Hornets, ha eseguito l’ordine egregiamente, portando in Carolina Nick Batum come pezzo forte, Jeremy Lin, Jeremy Lamb, Marvin Williams, Spencer Hawes insieme alla nona scelta del Draft 2015: Frank Kaminsky. L’intento di Clifford è stato assecondato ed i risultati sono arrivati: durante la scorsa stagione gli Hornets provavano 19.1 conclusioni da 3 punti a partita andando a segno 6.1 volte e mantenendo una percentuale di 31.8, mentre quest’anno i tentativi sono saliti a 29.3 dei quali 10.6 a segno per una percentuale pari a 36.2. Gli Charlotte Hornets sono la squadra che tenta più tiri da 3 a partita di tutta la Eastern Conference e nella lega sono secondi soltanto agli Houston Rockets e ai Golden State Warriors.

Il career high di Kemba Walker: 52 punti contro i Jazz a gennaio

La scelta di un approccio offensivo di questo genere è dovuta prevalentemente all’esigenza di Clifford di conformarsi agli standard odierni della NBA, ma si è rivelata col tempo anche una trasformazione naturale dovuta all’assenza del punto di riferimento offensivo: Al Jefferson. Dal punto di vista numerico è facile notare come questa sia la peggior stagione di “Big Al”: le partite disputate finora arrivano a 47 (mai così poche in 12 anni di NBA) e tra queste soltanto 18 volte Jefferson era in campo al momento della palla a due. I motivi sono protratti fastidi al menisco sinistro e la terza sospensione dovuta ad un vizietto piuttosto comune in NBA. Il problema principale, tuttavia, è che il gioco di Al Jefferson attualmente non è molto contemplato da Clifford proprio a causa dei motivi già elencati. I suoi sostituti sono invece tutti funzionali al gioco attualmente richiesto da Clifford: Cody Zeller sta trovando la sua migliore stagione, è cresciuto difensivamente ed ha perfezionato il suo tiro rivelandosi anche molto più mobile difensivamente, più abile nel pick ‘n roll sui due lati e permettendo di allargare meglio il campo in quanto discreto tiratore dal mid range. Kaminsky ed Hawes sono giocatori totalmente differenti da Jefferson in quanto in grado di allargarsi ed azzardare tiri da dietro l’arco. Al momento, più che un suo impiego stabile in quintetto base, è più facile immaginarlo come sesto d’uomo di lusso e portatore di punti caldi dalla panchina.

Non c’è dubbio che il giocatore più rappresentativo della squadra sia Kemba Walker: l’ex UCONN è l’ennesimo giocatore di questa squadra che sta vivendo la propria miglior stagione. Secondo Clifford, Walker molto semplicemente sta trovando questi risultati perché sta giocando con dei compagni di squadra migliori. Ma c’è dell’altro: quest’anno Kemba Walker ha modificato la sua routine di tiro spostando la palla leggermente più a destra e più lontana dal suo viso.

Credits: Jeremy Brevard, USA TODAY Sports
Credits: Jeremy Brevard, USA TODAY Sports

Bruce Kreutzer, shooting coach degli Hornets, pare abbia notato tale errore nel meccanismo di tiro del numero 15 e si sia impegnato durante l’estate per correggerlo. Modificare la meccanica di tiro per un giocatore a 25 anni è quanto di più difficile si possa provare a fare: lo stesso Walker ha asserito come abbia avuto grandissime difficoltà nel perfezionare il suo tiro ma, notando dei miglioramenti durante la preseason, ha insistito. Effettivamente le sue percentuali sono migliorate: dal 30.4% ai tiri da 3 della scorsa stagione il playmaker del Bronx è passato addirittura a 37.1% (è la sua miglior stagione per PPG e % FG). Il lavoro di Walker non si è esaurito alla meccanica di tiro: durante l’estate ha lavorato anche sul pick ‘n roll, altro punto-cardine nel gioco di Steve Clifford. Quest’anno Kemba Walker ha giocato 789 in pick ‘n roll, prima di lui ci sono soltanto Damian Lillard e Reggie Jackson; se si considerano i punti per ogni singolo possesso così utilizzato, Walker diviene settimo nella lega con 0.89 punti. Gli stessi Hornets in questa classifica sono sesti e il 19.8% dei loro possessi viene impiegato per un pick ‘n roll o per un pick ‘n pop. A scanso di questi ottimi numeri, Kemba Walker fatica ancora a staccarsi di dosso l’etichetta di giocatore egoista: se si tiene conto di stats avanzate per quanto riguarda gli assist, si nota come Walker non solo non sia tra i primi playmaker della lega, ma sia dopo un suo compagno che teoricamente neanche sarebbe una guardia: Nicolas Batum. Tuttavia, questo non è necessariamente un male: Kemba Walker è uno dei giocatori più chiamati in causa dalla sua squadra nei momenti clutch della partita, tanto da valergli il soprannome di “Cardiac Kemba”.

Un ulteriore punto di forza degli Hornets risiede proprio nell’equilibrio: la squadra di Clifford non presenta una forte discrepanza tra titolari e panchinari. Jeremy Lin è stato credibile candidato al titolo di sesto uomo dell’anno ed il merito dei risultati che sta ottenendo è anche della dimensione adatta che Clifford gli ha trovato in questa stagione. Proprio Lin è stato protagonista della prestigiosa vittoria in rimonta sui San Antonio Spurs.

Linsanity contro gli Spurs

I giocatori degli Hornets sono armonici nella manovra e si trovano molto bene tra di loro, anche chi non ha un minutaggio alto e la testimonianza di ciò è anche data dal fatto che sono la squadra con meno palle perse di tutta la lega. Charlotte è una delle squadre i cui lunghi di riserva tirano di più e meglio da 3 dell’intera lega: 37.4% nella speciale classifica, con soltanto quattro squadre che hanno numeri migliori. Spencer Hawes, anche lui reduce da un’esperienza deludente, ha ammesso come Lin sia ossigeno per il suo gioco: «Il modo in cui Lin attacca il ferro e mette pressione alla difesa mi permette di trovare spazio durante la penetrazione per tirare». Allo stesso modo, Frank Kaminsky sviluppa il suo gioco perfettamente grazie a Lin e Lamb e pare abbia trovato tutte le condizioni per svolgere il suo anno da rookie in totale serenità: pare che l’ex Wisconsin si riferisca a Kemba Walker come “dad” e stimi molto l’ambiente creatosi in squadra. Steve Clifford è anche abile nel gestire i malumori della sua squadra negli ultimi due anni: l’head coach ha provato in ogni modo a sanare le lamentele di Lance Stephenson mostrandogli ogni volta perché non fosse impiegato grazie ai video che mostra ai propri giocatori durante ogni allenamento. I miglioramenti nella metà campo offensiva degli Hornets sono dovuti anche all’aggiunta di Nicolas Batum: il francese, oltre che essere estremamente duttile in attacco, permette anche di vicariare al ruolo di playmaker, sollevando da molte responsabilità sia Walker che Lin ed arrivando ad essere il miglior assist-man della squadra.

I 24 punti e i 9 assist di Nick Batum contro Denver

Rispetto all’anno passato, gli Hornets sono leggermente peggiorati dal punto di vista difensivo: il true shooting avversario è salito da 104.2% a 106.2% e le percentuali avversarie sono aumentate sia per quanto riguarda i tiri da 3 che per quelli dal mid range e dal post. I peggioramenti sono dovuti alla mancanza per tutta la stagione di Michael Kidd-Gilchrist, miglior difensore di tutta la squadra. Nonostante tutto, Charlotte è quinta nella lega per punti avversari a partita nel pitturato.

L’ottima stagione degli Hornets è un piccolo capolavoro all’interno della NBA: conferisce finalmente un senso alle tanto chiacchierate rebuilding ed è uno dei pochi esempi nel quale la società interviene assecondando il proprio Head Coach. Non soltanto: la serie contro i Miami Heat – stesso avversario di due anni fa anche se con roster decisamente meno equilibrati – fa covare buone speranze di ottenere una vittoria in una partita di Playoffs, che manca addirittura da quasi 15 anni. Anche se l’esordio non è stato ottimale, con la sconfitta per 123-91 in gara 1. I problemi evidenziati dagli Hornets sono stati prettamente difensivi: contenere Whiteside (21+11 in soli 26 minuti) è stato quasi impossibile, evidenziando il problema di avere dei lunghi così duttili offensivamente ma un po’ carenti in difesa, e con un Kidd-Gilchrist sul parquet il march avrebbe avuto probabilmente un epilogo differente. Ma la serie rimane equilibrata: un successo sarebbe un’altra piccola vittoria per Michael Jordan, che finalmente sta mettendo a tacere molte delle critiche che gli sono state mosse.

 

Nell’immagine in evidenza, Kemba Walker sul parquet di casa, alla Time Warner Cable Arena. (Streeter Lecka/Getty Images)