Frank De Boer è una persona diretta. Il severo sguardo batavo, apparentemente ermetico e altezzoso, è in realtà una maschera dietro la quale pulsano sentimenti e passioni che il nostro non ha paura a mostrare. Valga come esempio una dichiarazione rilasciata al settimanale Voetbal International qualche giorno dopo la conquista del suo terzo titolo consecutivo con l’Ajax. «Talvolta mi emoziono fino a commuovermi nel sentir cantare una ragazzina in un talent show». Molti avrebbero tenuto quel pensiero per sé, specialmente in un ambiente come quello del calcio in cui sergenti di ferro e uomini forti spopolano e generano consensi. De Boer invece ama spiegare, raccontare, esporsi. In questo è all’opposto del suo maestro Louis van Gaal, dal quale ha ereditato tante cose a livello tattico e gestionale, non però l’approccio con i media.
Alla terza domanda critica Van Gaal diventa sospettoso, si chiude, scatena il sarcasmo; De Boer per contro incassa e prosegue a esporre le sue ragioni, senza alzare muri né toni. «La persona più sicura di sé e meno arrogante che abbia mai conosciuto», lo ha definito il giornalista olandese Auke Kok. Un personaggio contemporaneamente semplice e articolato, che sfugge da etichette, piedistalli e luoghi comuni, in primis quella del guru olandese votato a un calcio spettacolare e iper-offensivo. Un allenatore di calcio moderno, con pregi, limiti e tutti gli interrogativi che questa professione comporta nel mondo pallonaro odierno, specialmente quando si decide di lasciare la propria comfort zone – Amsterdam, nel suo caso – per un’esperienza all’estero.
Frank de Boer durante un allenamento ai tempi dell’Ajax (Koen van Weel/AFP/Getty Images)
Frank De Boer ha guidato l’Ajax cinque stagioni e mezzo, vincendo quattro titoli consecutivi in Eredivisie, impresa mai riuscita nemmeno a icone della panchina quali Rinus Michels, Johan Cruijff e Van Gaal. Il primo campionato, stagione 2010-11, ha posto fine a un digiuno di sette anni, un’eternità per la squadra più titolata del calcio oranje. Questi dati nudi e crudi fotografano però solo una realtà parziale. L’esperienza di De Boer all’Ajax è stata complessa, contraddittoria, indubbiamente feconda ma anche ricca di zone d’ombra, piena di statistiche in totale contrasto tra di loro. Ha vinto quattro campionati rimanendo sempre al di sotto dei punti mediamente necessari (79.5) per conquistare la Eredivisie, perdendo invece nella stagione in cui ha stabilito il proprio primato di punti. È stato criticato per il cinismo e la scarsa spettacolarità del suo Ajax, chiudendo per cinque volte il campionato con il minor numero di reti incassate in Eredivisie, eppure il primato di impenetrabilità stagionale dall’anno 2000 in avanti è rimasto quello (20 gol subiti) totalizzato dal predecessore Martin Jol. Ha utilizzato 34 giocatori diversi nel tridente offensivo dell’Ajax, cercando soprattutto una prima punta da 20 gol a stagione, e quando è riuscita a trovarla con Arek Milik (dal 2014 al 2016), l’Ajax non ha più vinto un trofeo.
Frank de Boer sceglie la partita migliore del suo Ajax, la vittoria casalinga contro il Psv per 3 a 1
Numeri poco lineari, come non lo è stata la nomina dello stesso De Boer nel dicembre 2010 quale sostituto dell’esonerato Jol. L’Ajax si trovava nel pieno della rivoluzione voluta da Cruijff in opposizione allo storico nemico Van Gaal, già raccontata da Undici qualche mese fa. De Boer, cresciuto con entrambi (nel vivaio ajacide si formò e crebbe secondo gli insegnamenti del Numero 14, poi andò a vincere la Champions League sotto la guida di Van Gaal) rappresentava il candidato perfetto per i dettami della filosofia cruijffiana, che prevedeva ex giocatori nei ruoli tecnici chiave della squadra (allenatore, settore giovanile, direttore tecnico), nonostante tatticamente fosse molto più vicino alle idee di Van Gaal. All’epoca però il paradosso era impossibile da individuare, dal momento che De Boer vantava esperienza unicamente nel settore giovanile dell’Ajax (più una collaborazione con Bert van Marwijck da vice ct dell’Olanda), dove schemi e metodologie sono rigorosamente definiti.
Fin dai suoi primi passi sulla panchina della prima squadra, le radici di De Boer sono emerse in maniera chiara. A livello sistemico, l’universalismo di Van Gaal è nettamente predominante rispetto all’individualismo di Cruijff. Quello di De Boer è un calcio di posizione, organico, caratterizzato da consegne tattiche flessibili ma precise, e in cui gli spiriti anarchici sono banditi. Più volte a microfoni spenti De Boer aveva sottolineato come l’Ajax del suo predecessore Jol fosse troppo dipendente dalle giocate di Luis Suarez e Mounir El Hamdaoui. Una variabile incontrollata che lui voleva eliminare attraverso un impianto di gioco strutturato, dove le qualità dei singoli venivano messe al servizio del collettivo e non viceversa. Non a caso i giocatori con i quali De Boer si è scontrato duramente sono stati elementi piuttosto allergici agli schemi quali il citato El Hamdaoui, Nicolas Lodeiro e Ricardo Kishna.
Il calcio di De Boer parte dal possesso in fase difensiva e dalla minimizzazione dei rischi nel reparto arretrato e in mediana. C’è molto Van Gaal nell’attenzione rivolta ai movimenti difensivi, perché non va dimenticato che l’olandese vinse la sua ultima Eredivisie con l’Az Alkmaar schierando una difesa a cinque e chiudendo con il minor numero di reti incassate in campionato. Con De Boer la palla circola molto sulle vie laterali, c’è parecchio movimento in orizzontale e si rischia qualcosa solamente a ridosso dell’area avversaria. Un sistema nel quale la creatività viene sacrificata sull’altare del pragmatismo, e che per quattro stagioni consecutive è stato alla base dei successi degli ajacidi. Due le mosse vincenti, ma anche indicative della mentalità del tecnico: Siem de Jong falso nove e Lasse Schone (un centrocampista offensivo centrale) all’ala destra.
Se il 3-1 sul Twente che ha regalato all’Ajax il primo scudetto dell’era De Boer è stato uno dei momenti più spettacolari dell’esperienza del neo allenatore dell’Inter, e non a caso è arrivato nella fase di studio e adattamento di Frank alla nuova realtà, progressivamente le prestazioni del club di Amsterdam sono diventate sempre più ciniche e speculative. Nell’ultima stagione la macchina-Ajax di De Boer ha stabilito il proprio primato per punti totalizzati e minor numero di reti incassate, ma ha anche chiuso numerosi primi tempi in vantaggio per 1-0 sotto i fischi del popolo amico dell’Amsterdam Arena. Della filosofia di Cruijff in campo se ne è vista sempre meno, tanto che nel settembre 2015 il sito Catenaccio.nl ha analizzato e valutato secondo nove principi del calcio cruijffiano le seguenti squadre: l’Ajax di De Boer, il Feyenoord di Giovanni van Bronckhorst, il Psv Eindhoven di Philip Cocu, l’Olanda di Danny Blind e il Vitesse di Peter Bosz. Il punteggio maggiore lo hanno totalizzato da questi ultimi. Oggi l’Ajax, alla ricerca della discontinuità rispetto al recente passato, è allenato da Bosz.
Frank De Boer assiste ad un allenamento su una golf cart a causa della rottura del tendine d’Achille (Olaf Kraak/Afp/Getty Images)
De Boer è un allenatore che porta con sé una serie di interrogativi. Gli aspetti positivi della sua avventura ajacide sono stati i trofei vinti (gli olandesi non sono abituati a vincere giocando male, e dopo Van Gaal ci voleva un altro allenatore capace di ricordare loro come si fa); la capacità di muoversi bene in un ambiente simile a una polveriera, specialmente nei primi anni della sua panchina; la coerenza e la linearità tattica che hanno restituito un’identità chiara (che poi piaccia o meno, e che sia in linea con il passato societario, è un altro discorso) ad un Ajax un po’ smarrito, infondendo certezze e sicurezza nei giocatori; l’abilità nel mantenere competitiva, quantomeno in patria, una squadra costretta ogni anno a privarsi dei propri migliori giocatori per esigenze di bilancio; infine, lo sfruttamento del vivaio.
De Boer ha fatto debuttare in prima squadra 22 giocatori, che hanno raccolto complessivamente 805 presenze in maglia biancorossa. Quando De Boer ha fiducia in un giovane, questa è incondizionata. Con lui sono sbocciati Christian Eriksen (ignorato da Jol), Daley Blind (trasformato da nemico pubblico numero uno a beniamino del tifo Ajax), Toby Alderwiereld, Siem de Jong, fino ai recenti Davy Klaassen, Riechedly Bazoer e Joel Veltman. Gli ultimi tre, assieme al tedesco Amin Younes, sono stati gli unici ajacidi nella top 30 stilata dal settimanale Voetbal International sui giocatori dal miglior rendimento nella Eredivisie 2015/16. Con De Boer l’Ajax ha incassato 102 milioni di euro in cessioni, anche se alcune fonti riportano 128, considerando anche i 26 milioni pagati nel gennaio 2011 dal Liverpool per Suarez, il quale è però rimasto alla corte di De Boer meno di un mese, e oltretutto durante la pausa invernale.
Tutte le capacità e il talento di Bazoer
Le pecche di De Boer sono state principalmente due: l’Europa e la mancanza di un efficace piano tattico di riserva. A livello internazionale nell’ultimo quinquennio l’Ajax ha preso sberle un po’ ovunque, vincendo solo un terzo delle 49 partite disputate con De Boer. Tra i pochi highlights, le vittorie in Champions su Milan (2-0 a San Siro, nella partita di esordio del tecnico), Manchester City (3-1) e Barcellona (2-1), ma nel primo e nel terzo caso si è trattato di successi ai gironi contro squadre che avevano già la qualificazione in tasca, pertanto erano poco più che match amichevoli. Contro il Milan avrebbe invece dovuto arrivare la vittoria due anni dopo, quando con i rossoneri in dieci per 68 minuti l’Ajax non andò oltre lo 0-0, proponendo un’ora di imbarazzante calcio-rugby (palla lunga e mischione in area) e mancando l’accesso agli ottavi.
De Boer è stato eliminato quattro volte consecutivamente alla fase a gironi di Champions, mentre la scorsa stagione il rivale Cocu con il Psv, al debutto nella competizione, ha raggiunto gli ottavi e si è arreso solo ai rigori contro l’Atletico Madrid. In quella Champions l’Ajax era uscito al terzo turno preliminare contro il Rapid Vienna e, una volta retrocesso in Europa League, aveva raccolto una sola vittoria in 8 incontri. Gli avversari? Jablonec, Celtic, Molde, Fenerbahce. Nel 2014 ai sedicesimi di Europa League gli ajacidi erano stati umiliati 6-1 nel doppio confronto con il Red Bull Salisburgo, l’anno prima nello stesso turno prima si erano fatti rimontare dallo Steaua Bucarest il 2-0 dell’andata ed erano usciti ai rigori. Il massimo risultato ottenuto sono stati gli ottavi di EL nel 2015, persi contro il Dnipro. Un rendimento da brividi, così come quello nelle finali: 5 sconfitte su 6 (2 in Coppa d’Olanda, dove spicca un 5-1 incassato dal Pec Zwolle, e 3 in Supercoppa).
La sconfitta interna per 0 a 3 subita dal Red Bull Salisburgo
Detto della scarsa spettacolarità del gioco proposto da De Boer, il tecnico si è da un lato dimostrato tatticamente flessibile cercando di alternare il 4-3-3 al 3-4-3, con abbozzi di 3-3-1-3 nelle situazioni più complicate, dimostrandosi però scarsamente efficace nell’applicare soluzioni alternative durante partite nelle quali l’Ajax si trovava di fronte a un muro. Se in campionato i big match sorridevano spesso agli ajacidi, forti del proprio pragmatismo e di un collettivo coeso – nonché mediamente talentuoso – che seguiva alla lettera le istruzioni del suo allenatore, i dolori iniziavano contro squadre chiuse a doppia mandata da un 4-4-2 che in fase di non possesso si tramutava in 4-5-1 o peggio. Roda, Utrecht, De Graafschap, Celtic, Jablonec. Contro le prime tre nel 2015/16 l’Ajax ha lasciato sul campo 11 punti, e sarebbe bastato un pareggio in meno per portare comunque a casa il titolo. Ma lo scorso 8 maggio al De Vijverberg di Doetinchem, contro il De Graafschap penultimo, è sembrato che il destino fosse arrivato a chiedere il conto delle troppe partite vinte senza convincere – e talvolta senza meritarlo. Contro una squadra bucata mediamente 5.6 volte nelle ultime cinque partite, contro la seconda peggiore difesa della Eredivisie (65 reti subite in 33 partite), l’Ajax degli 80 gol in campionato è stato incapace di replicare alla rete del pareggio dei padroni di casa arrivata al minuto 55. Mancava mezzora abbondante alla fine del match, e gli uomini di De Boer non sono più riusciti a creare una sola palla gol. È crollato tutto: schemi, personalità, lucidità, fiducia. Quattro campionati consecutivi vinti non saranno mai dimenticati. L’8 maggio 2016 nemmeno. Nel bene come nel male, Frank de Boer ha fatto la storia dell’Ajax.