È la quarta giornata di Bundesliga alla Volkswagen Arena di Wolfsburg: al Borussia Dortmund di Thomas Tuchel bastano appena quattro minuti per bucare la difesa dei padroni di casa. L’azione è all’apparenza banale: Marc Bartra, lasciato libero di portare palla fino alla linea di metà campo, effettua un filtrante rasoterra premiando la corsa e l’inserimento di Raphael Guerreiro che entra in area e fulmina Casteels con un sinistro sul primo palo. L’intera retroguardia avversaria, impegnata a seguire i movimenti di Aubemeyang, è stata completamente tagliata fuori da un semplice passaggio in verticale di 15-20 metri per vie centrali.
Il primo gol di Guerreiro in Bundesliga, contro il Wolfsburg
Finirà 5-1 per il Borussia, che chiude sul 5-1 con la doppietta di Aubameyang e le reti di Dembélé e Piszczek. La palma di man of the match, però, se la aggiudicherà proprio il portoghese, autore di una partita mostruosa per qualità e quantità: oltre alla rete del primo vantaggio, 3 key passes, 82% di precisione di passaggi, una palla intercettata, un salvataggio e quasi il 40% di contrasti andati a buon fine in fase di non possesso. Oltre alla sensazione che fosse praticamente ovunque sul campo.

Il tutto grazie all’idea di Tuchel di schierarlo esterno sinistro alto nel 4-1-4-1 di partenza, lasciandogli ampia libertà d’azione e permettendogli di alternarsi nella doppia fase con Schmelzer, soprattutto quando si è trattato di recuperare le necessarie energie fisiche. Risultato: a sinistra i gialloneri hanno fatto il bello e il cattivo tempo, alternando le sovrapposizioni ai continui inserimenti senza palla, con il povero Vierinha sostituito quasi per disperazione da Dieter Hecking poco dopo l’ora di gioco.
E dire che, nella conferenza stampa della vigilia, l’allenatore del Borussia aveva lasciato intendere di voler impiegare Guerreiro in una posizione diversa dal solito: «È talmente bravo che potrebbe giocare in qualsiasi posizione». La controprova sta nel 6-0 contro il Legia Varsavia in Champions League: in quell’occasione l’ex Lorient giocò addirittura come interno del quartetto offensivo alle spalle di Aubameyang, scambiandosi continuamente di posizione con Ousmane Dembélé e prendendo, di fatto, pieno possesso del centro-sinistra su entrambi i lati del campo.

Che Guerreiro fosse andato a segno anche in quell’occasione, coniugando anche il solito lavoro di “schermatura e protezione” (2 intercetti, un salvataggio e il 33% di tackles positivi) e l’altrettanto solita pulizia di gioco (88% di precisione nei passaggi), è solo la naturale conseguenza di una maturazione rapida ed esponenziale che ha avuto inizio fin da quando, nel 2009, il Caen si accorse di quell’imberbe talentino uscito dall’accademia federale di Clairefontaine. Già, perché Raphael Guerreiro è nato in Francia nel 1993, ed è in possesso della doppia nazionalità. Il suo “viaggio di formazione” nel club della Normandia viene vissuto quasi unicamente nell’attesa del momento in cui potrà rivelarsi al resto del mondo, tale e tanta è la sua superiorità rispetto a tutti quelli che giocano con (e contro) di lui. Quel momento arriva nella stagione 2012/13, quando la sua carriera svolta in un modo che forse neanche lui avrebbe immaginato nonostante l’aura da predestinato lo circondi già da qualche anno: e, invece, disputa 38 partite su 38 con la prima squadra ed è di fatto la principale attrazione di un torneo in cui si è abituati a vedere i giovanissimi emerge e prendersi la scena in maniera quasi brutale. Guerreiro è già diventato uno dei pochi esterni europei davvero “bidimensionali”: il Caen è solito giocare con un sistema offensivo ma equilibrato e Guerreiro è l’ago della bilancia sul lato sinistro, dove fa già intravedere le sue qualità tanto in fase di spinta che in quella di copertura sulla transizione difensiva.
Ci vuol poco perché il suo nome finisca sul taccuino dei maggiori club francesi ed europei. Il Lorient brucia la concorrenza e, nell’estate successiva, paga i tre milioni di euro chiesti dal Caen per privarsi del suo gioiello. Il passaggio in Ligue 1 e la conoscenza di un sistema di gioco in cui agire da fullback di una classica difesa a quattro ne accentuano le doti di immediata comprensione del contesto in cui si trova (non importa quale sia) e la grande capacità di read and react delle singole situazioni tattiche all’interno di una partita. Guerreiro è uno che in campo si fa sentire poco dal punto di vista vocale ma sa sempre cosa fare e quando farlo: non a caso nelle sue tre stagioni in maglia nero-arancio è di nuovo l’inamovibile per eccellenza, occupando tutti gli slot sulla fascia e segnalandosi come un più che discreto realizzatore (10 gol complessivi, con il picco di 7 nel 2014/2015), nonché come uno degli elementi più creativi in senso assoluto per ciò che riguarda l’impostazione e la rifinitura, come testimoniano i dati relativi al numero di palloni giocati e alla pass accuracy, quest’ultima attestatasi fin da subito e in maniera stabile attorno all’80% di media come riportato su WhoScored. E anche difensivamente svolge più che egregiamente il suo compito, con i numeri in fase di non possesso che sono andati progressivamente in crescendo fino ad arrivare a vincere la metà dei contrasti portati ogni 90′.
Cose notevoli già con la maglia del Lorient
Il 3 febbraio 2016 il Lorient perde nettamente (3-1) in casa del Paris Saint-Germain, ma Guerreiro trova comunque il modo di farsi notare. Prima di tutto per il gol, splendido, al minuto 19: l’azione sviluppa sulla destra, con gli ospiti che, dopo il recupero palla a metà campo, cambiano velocemente il fronte del gioco dalla parte opposta, con Guerreiro abile a intuire il movimento ad uscire di Waris e a gettarsi nello spazio venutosi a creare alle spalle del numero 9. Fulminare Trapp con un diagonale mancino dall’interno dell’area di rigore è quasi uno scherzo per uno dalla sua tecnica di calcio. Ma, ancora una volta, ad impressionare di più è la naturalezza con la quale il giocatore riesca ad unire quantità e qualità, tanto in fase di spinta quanto in quella di interdizione e rottura delle trame avversarie: tutti i contrasti che effettua lo vedono uscire vincitore, è sempre presente quando si tratta di uscire in anticipo sui tocchi in verticale degli avversari ed è autore anche di un intercetto decisivo.
Il gol di Guerreiro al Parco dei Principi
Abilità che richiamano l’attenzione del Borussia verso il portoghese. Che ha tutte le caratteristiche che fanno al caso della nuova visione giallonera del calcio totale: può giocare praticamente ovunque, abituato com’è a farlo sin dall’inizio della carriera. Infatti, il ragazzo è un talento naturale nel predisporsi al cambiamento di contesto e posizione in campo senza che la qualità delle sue prestazioni ne risenta. Di qui la decisione, saggia, di versare al Lorient i 12 milioni di euro necessari per portarlo in Vestfalia e quella, ancor più saggia, di procedere all’acquisto prima che il giocatore si aggreghi al Portogallo (è stato vicecampione Under 21 con la Nazionale nel 2015) in vista degli Europei in Francia. Avesse atteso qualche settimana in più, il plenipotenziario Hans-Joachim Watzke avrebbe dovuto spendere almeno il doppio, forse anche qualcosa di più. Guerreiro si rivelerà uno dei migliori del gruppo che Fernando Santos porta sul tetto continentale. Perché è vero che le porte della titolarità gli vengono spalancate dell’infortunio di Fabio Coentrao, ma è altrettanto vero che il giovane terzino (nel 4-3-3 lusitano è tornato, infatti, a ricoprire il ruolo degli esordi) è quello che coglie al meglio il sentire calcistico del suo commissario tecnico: grande qualità senza dover rinunciare alla concretezza, una media di sei azioni difensive per partita (14 intercetti e 17 recuperi) e il 63% di contrasti vinti, unita ad una precisione dell’85% e alla capacità di vincere nel 58% dei casi il duello con il diretto avversario (di qui i 7 key passes distribuiti nel corso del torneo). Nella finalissima contro i padroni di casa, manco a dirlo, è uno dei migliori in campo (4 intercetti, 6 recuperi, 100% di contrasti vinti, 88% di passaggi riusciti), preannunciando la vittoria del Portogallo colpendo la traversa con un preciso calcio di punizione. Il resto è la solita mostruosa partita di intensità ed applicazione tattica sulla fascia di competenza.
Guerreiro portato in trionfo dal portiere Anthony Lopes, dopo la vittoria di Euro 2016 (Philippe Lopez/Afp/Getty Images)
Quando arriva al Borussia, l’inserimento nei meccanismi di squadra avviene velocemente e in maniera del tutto naturale, sulla falsariga di quanto accaduto ai tempi del Lorient e del salto in Ligue 1. Non importa quale sia la squadra o la categoria: Guerreiro è un giocatore che fa della propria universalità il principale punto di forza. Del resto ogni singola caratteristica di Guerreiro richiama al suo saper essere uomo ovunque e al suo essere stato impiegato in quasi tutti i ruoli del centro sinistra. Mancino naturale, ma dotato di ottima tecnica con entrambi i piedi, fisico non possente ma ben strutturato (1,70 per quasi 70 chili) che gli consente di tenere botta anche nei contrasti più duri (nelle prime sei gare di Bundesliga la percentuale di successo è del 40%), uno spiccato senso tattico che gli permette di evitare o, nel caso, rimediare agli errori nel tocco, grande pulizia ed equilibrio nella costruzione del gioco (87% di precisione, 184 tocchi equamente suddivisi nel rapporto tra orizzontalità e verticalità della manovra, 2 assist e 5 key passes mandati a referto), innata capacità di inserimento dal lato debole e sfruttamento degli spazi attaccando la profondità, grande precisione nella conclusione (l’88% dei tiri fin qui effettuati in campionato ha centrato lo specchio della porta).
La prima rete di Guerreiro con la maglia del Portogallo mostra la sua propensione a inserirsi dal lato debole
Sono tutti dati che evidenziano come, per un giocatore del genere, parlare di evoluzione tattica sia incredibilmente sottostimante delle sue qualità: Raphael Guerreiro non ha bisogno di evolversi, deve soltanto proseguire sulla strada che porta alla massimizzazione delle sue capacità. Che, evidentemente, non sono confinabili in una specifica zona del campo. Di qui il suo essere continuamente l’oggetto preferito delle sperimentazioni di Tuchel: da esterno a tutto campo in modo da assicurare un giusto equilibrio tra le due fasi, soprattutto contro avversari a loro volta particolarmente offensivi (il già citato Wolfsburg ma anche il Real in Champions) a mezzala offensiva sui generis per far saltare il banco contro avversari molto chiusi (il Legia o il Darmstad, entrambi travolti per 6-0 nel giro di tre giorni), passando addirittura per il ruolo di secondo centrale di centrocampo nello strano 3-4-2-1 costato la sconfitta a Leverkusen (dove, comunque, è risultato il migliore dei suoi), il passo è stato breve. Brevissimo.
E non è certo finita qui. L’impressione è che Tuchel voglia insistere sempre più con la strada del progressivo accentramento del portoghese, accentuandone la trasformazione in mezzala totale, tempestivo negli inserimenti senza palla, attento quando si tratta di correre all’indietro e di coprire preventivamente gli spazi. Così come non è da escludere un futuro impiego in esterno offensivo di un 4-3-3 (l’uno contro uno è da affinare ma le basi sono già buone come dimostra il 42% di dribbling riusciti) che possa agilmente trasformarsi in un 4-5-1 in non possesso.