La svolta

Collettivo e solidità: la vittoria contro la Juventus ha tracciato la strada giusta per il Milan. Per i bianconeri, invece, uno stop che sa di déjà vu.

Verso le 17 di sabato, a qualche ora da Milan-Juventus, ho letto il pezzo pubblicato venerdì sul sito di Undici – Impressioni d’ottobre” -, un giro di opinioni a quattro voci sul Milan secondo in classifica. Durante la partita qualcosa mi ronzava in testa, ma allo stesso tempo non riusciva a venire fuori, facevo fatica a ricordare. Forse perché avevo bisogno di un “appoggio” esterno, un po’ come quando conosci a memoria le battute del tuo film preferito ma riesci a recitarle solo in sequenza, una dopo l’altra. Ci ho pensato per tutti i novanta minuti più recupero, non riuscivo proprio a individuare cosa mi avesse colpito. Appena prima di iniziare quest’analisi, ho deciso di rileggere l’articolo. Ne avevo bisogno, volevo capire. La frase che mi era rimasta in testa ma allo stesso tempo non voleva venire fuori è una quote di Jack Bonaventura: «Con Montella, il caos è finito». La sensazione che ha caratterizzato la mia intera esperienza con Milan-Juventus era proprio questa, ed è stata un déjà vu influenzato da quello che avevo letto poco prima. Me ne sono reso conto a posteriori. E ora, ne sono certo, non scorderò più questa frase e questo concetto.

Non riuscirò più a dimenticare anche perché la partita è andata proprio così: il Milan ha giocato in maniera ordinata, precisa, metodica. Lontana dal caos, appunto. Poche cose in campionario ma fatte sempre bene, con la giusta concentrazione. Verrebbe da dire che quella di Montella sia stata una squadra meccanica, chi tende a disprezzare la definirebbe elementare. Più che una scelta, però, si tratta di una questione di necessità: la consistenza e le opportunità tecniche dei rossoneri, al momento, non permettono svolazzi o progetti di calcio ricercato o spettacolare; dall’altra parte del campo, poi, c’era una squadra dalla narrazione tattica simile, tutta basata sulla qualità superiore dei propri calciatori e sulla ripetizione di una serie di schemi collaudati, valsi gli ultimi due scudetti (con Allegri) e, in parte, pure i tre precedenti. San Siro, sabato sera, sembrava davvero quello dei tempi migliori, degli anni più belli. E ha ha assistito a un rovesciamento del pronostico, delle gerarchie: il Milan meccanico di Montella ha battuto la squadra più meccanica, che poi è anche la più forte, dell’intero campionato di Serie A.

L’ha fatto gestendo bene i momenti della partita, affrontando con personalità la solida e solita Juventus. La squadra di Allegri, leggendo le statistiche finali, ha qualcosa da recriminare, soprattutto con se stessa: ha tirato molto verso la porta di Donnarumma (22 tentativi), ma è stata poco pulita nella costruzione del gioco offensivo (4 tiri bloccati, più altri 9 da fuori area) e imprecisa al momento della conclusione (solo 3 tiri nello specchio, accuracy del 13%). Il Milan non ha mai dato la sensazione di essere davvero, continuamente schiacciato dai bianconeri, se non in avvio di partita: come a Lione, la formazione di Allegri è scesa in campo con un atteggiamento molto propositivo, decisamente aggressivo, espresso in una pressione organica, costante e immediata fin dalla prima costruzione di gioco.

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Pochi secondi, e la Juve prova subito ad alzare la linea del pressing: cinque calciatori nella trequarti del Milan, con Higuaín a chiudere sul portatore e gli altri quattro uomini offensivi (Dybala, le mezzali Pjanic e Khedira e l’esterno del lato forte, Dani Alves) a coprire tutte le linee di passaggio. Romagnoli sarà costretto a lanciare lungo.

Il Milan ha superato le difficoltà dei primi minuti nel momento in cui la Juventus ha abbassato i ritmi, ma anche Montella ha un merito importante: aver posto delle variazioni alla ripartenza da dietro palla a terra. In alcuni frangenti, soprattutto dopo un certo punto della partita, la prima costruzione del Milan si basava sulla formazione di una vera e propria linea a tre, con Abate molto largo a destra per giocarsi il due contro uno accanto a Suso, contro Alex Sandro. In questo modo, il Milan ha limitato l’esterno basso brasiliano (2 cross tentati al 22esimo minuto, altri 2 in tutto il resto della partita), e ha costretto la Juventus a giocare molto di più sulla fascia destra (il 46% delle azioni si è sviluppato dal lato di Dani Alves).

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La linea a tre del Milan, con Abate larghissimo e molto più alto a destra (e una Juventus che non attacca più la prima costruzione come nei primi minuti). Il risultato di questa scelta è uno squilibrio orizzontale nel gioco bianconero, con Alex Sandro costretto a rimanere più basso (è fuori inquadratura) perché impegnato in un possibile due contro uno contro il capitano rossonero e l’esterno offensivo Suso.

Il resto del dispositivo difensivo del Milan ha seguito dinamiche molto semplici: squadra compatta dietro la linea della palla (baricentro molto basso, a 43,9 metri contro i 56 della Juventus) e libertà di prima costruzione per Bonucci ed Hernanes; nel frattempo, però, i rossoneri hanno deciso di fare grande densità, soprattutto in zona centrale. La volontà di Montella è stata quella di coprire tutte le linee di passaggio, soprattutto quelle che seguivano le tracce degli inserimenti interni di Pjanic e Khedira. In questo modo, il Milan ha limitato le imbucate per vie centrali e costretto Dybala a venire a cercare e giocare il pallone in posizione arretrata, in modo da creare opportunità tra le linee e muovere la difesa rossonera. Con l’uscita dell’argentino e l’ingresso di Cuadrado, la Juventus ha accentuato ancor di più la sua propensione a giocare sulla destra, spazio preferito dall’esterno colombiano. Sotto, a confronto, le heatmap dei due calciatori e la mappatura percentuale per terzi orizzontali di campo prima e dopo l’infortunio dell’ex Palermo.

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In alto a sinistra, la heatmap di Dybala; accanto, in alto a destra, quella di Cuadrado. Il colombiano ha provato ad accentrarsi in alcuni momenti della sua partita, ma ha finito per convergere sempre più verso la fascia destra. In questo modo, la Juve ha concentrato ancora di più il suo gioco sull’out di Dani Alves: in basso, da sinistra, i due campetti con i palloni giocati da tutta la squadra bianconera prima e dopo l’ingresso del colombiano. La differenza di circa tre punti percentuali potrebbe sembrare minima, ma in realtà è ampia: si tratta di circa 21 giocate in più.

L’uscita di Dybala è stato il key moment del match: la Juventus, meno imprevedibile in zona centrale, ha moltiplicato fatalmente il numero dei cross dagli esterni: 8 nei primi 35′ di gioco (con Dybala in campo), 22 nei successivi 55′ (con Cuadrado subentrato all’argentino). La scelta non si è rivelata azzeccata, anche perché il Milan non ha modificato il suo schieramento in fase difensiva e quindi il destinatario dei cross bianconeri, ovviamente Gonzalo Higuaín, si è ritrovato a ricevere questi servizi solo contro i due centrali rossoneri. Non è un caso che il Pipita abbia avuto la possibilità di concludere in appena due occasioni, una sola da un pallone proveniente dalle fasce (al 47esimo minuto, su uno dei 13 cross tentati da Dani Alves).

Il Milan, una volta prese le misure alla formazione di Allegri, ha mostrato quelle che al momento sono le sue caratteristiche migliori: la solidità difensiva (4 clean sheet stagionali, 4 gol subiti nelle ultime cinque partite, di cui 3 nel solo match contro il Sassuolo e l’altro su calcio di punizione diretto) e la partecipazione collettiva alla costruzione della manovra. La prima skill di squadra la leggi nelle statistiche dei tackle (20 a 10 quelli riusciti in favore dei rossoneri, per una percentuale del 77% rispetto ai 26 tentati) e nelle sole 3 conclusioni nello specchio della porta concesse alla Juventus; la seconda, invece, sta tutta nel dato dei palloni giocati: nessun calciatore titolare dei rossoneri, a parte Carlos Bacca e M’Baye Niang (rispettivamente 29 e 35), scende al di sotto dei 45 tocchi. La fotografia che ne viene fuori è quella di una squadra «fondamentalmente italiana, che quindi si discosta dalle idee del suo allenatore, considerato il più spagnolo dell’intero campionato di Serie A. La sensazione, al di là di un gioco che non ruba gli occhi, è quella di un gruppo affiatato, in cui tutti danno il massimo soprattutto in fase difensiva: una volta persa palla, i calciatori tornano subito indietro per cercare di riconquistarla il prima possibile». (James Horncastle, su Espnfc).

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Questi principi si traducono in un modulo basic, sicuramente non spettacolare, ma tutto teso a sfruttare le caratteristiche dei migliori uomini in organico: due terzini classici di cui uno più propositivo e l’altro più attento alla fase difensiva (Abate-De Sciglio); un centrocampo a tre con due calciatori box-to-box, Kucka e Bonaventura, ai lati di un playmaker moderno, dinamico (Locatelli); due esterni offensivi in grado di lavorare su tutta la fascia, con un’equilibratura opposta rispetto ai terzini (Suso più propenso al rientro a destra, Niang più offensivo a sinistra), ai lati di un centravanti classico, Carlos Bacca, che sta pian piano imparando a partecipare alla costruzione del gioco. Leggere le statistiche del match di sabato vuol dire tradurre in dati reali queste descrizioni tattiche: Bonaventura, uno dei migliori in campo, ha accoppiato 8 eventi difensivi (3 passaggi intercettati, 2 palle rilanciate e altrettanti tackle riusciti, un tiro bloccato) a 3 cross, un key pass e 4 dribbling riusciti, record sui 26 calciatori in campo; Bacca è stato il giocatore rossonero con il maggior numero di key passes, 2, mentre Suso ha crossato 4 volte e ha cercato una conclusione vero la porta, ma ha messo insieme pure 4 tackle riusciti e un pallone intercettato; Niang, dall’altra parte, è stato meno presente nella fase difensiva ma ha tentato 6 volte il cross e ha messo a segno 2 dribbling. Un discorso a parte va fatto per Manuel Locatelli, non fosse altro che per lo splendido gol e il profilo da wonderkid assoluto e riconosciuto: al di là della conclusione a incrociare che ha battuto Buffon, il giovane cresciuto nel vivaio rossonero ha giocato una partita da 3 tackle riusciti su 4, con il 92% dei passaggi riusciti nel secondo tempo. Paolo Bandini, firma del Guardian, già all’indomani dell’altro splendido gol con il Sassuolo, scriveva di come Locatelli possedesse «ampia capacità di regia». A distanza di qualche settimana, non è avventato dire che quelle parole siano state profetiche.

Nel postpartita, Montella ha mostrato il giusto atteggiamento, un misto tra felicità per il successo, realismo e distacco per le prospettive della sua squadra: «Stasera abbiamo diritto di gioire, ma possiamo crescere nella manovra. Ho visto tensione all’inizio, non siamo abituati a queste vigilie, a queste attese, ma i giocatori sono in grado di poterle sopportare. Sono tensioni diverse rispetto a quando non hai gli occhi addosso. Ma queste vittorie sono utili anche a migliorare su questo aspetto». Il senso del futuro del Milan, tattico e narrativo, è tutto qui: il tecnico rossonero, come scritto da Sumeet Paul su Espnfc, «ha scelto l’approccio più intelligente per una squadra in costruzione, con progressi di gioco non immediati ma che crescono partita dopo partita, insieme alla fiducia della squadra». Del resto, al suo arrivo a Milano, la mission dichiarata di Montella fu proprio questa: restituire fiducia all’ambiente. L’ha fatto attraverso una disposizione tattica semplice, che per questo ha ancora margini di miglioramento. Ma che ha prodotto subito una situazione abbastanza promettente, soprattutto in un’analisi proporzionale tra hype e risultati: la squadra seconda in classifica ha battuto la Juventus, schierando un undici titolare da 24,6 anni di età media. Viste le premesse, difficile aspettarsi di più. Ma è anche lecito, e bello, immaginarsi che qualcosa in più possa arrivare davvero, per il futuro.

Manuel Locatelli, highlights personali.

Dall’altra parte, c’è l’enigma-Juventus. Una squadra che ha messo insieme dei risultati eccellenti, incredibili (nelle ultime 37 giornate di campionato, 100 punti conquistati su 111 disponibili), ma che continua a dare segnali di scarsa brillantezza, soprattutto nei big match di questo avvio di stagione: nelle cinque sfide giocate contro avversari di buon livello (Lazio, Inter e Milan in campionato, Siviglia e Lione in Champions), i bianconeri hanno segnato 3 gol, incassandone altrettanti. Più un rigore parato a Lacazette da Buffon, protagonista in Francia di almeno altri due interventi prodigiosi. La sensazione è che a questa squadra manchi qualcosa, soprattutto dal punto di vista della varietà del gioco offensivo. L’analisi statistica del match di San Siro fa il paio con quella della partita di Lione, ed è autoevidente in questo senso: il numero di conclusioni verso la porta è sempre abbastanza alto (22 contro i rossoneri, 14 contro l’OL), ma il giocatore con il maggior numero di key passes risulta essere Dani Alves in entrambe le partite (6 a Milano, 5 in Francia). La differenza tra le due prestazioni è da ricercare nell’atteggiamento dell’avversario – più speculativo quello del Milan, più aggressivo quello del Lione, in grado di cercare 13 volte il tiro, di cui 9 dall’interno dell’area – e dal diverso epilogo di episodi casuali o comunque frutto di azioni personali: il gol segnato da Cuadrado in Francia, dopo il rigore sventato da Buffon, e la rete inizialmente assegnata e poi invalidata a Pjanic prima di quella di Locatelli.

La Juventus, invece, è rimasta sempre la stessa. Ed è forse questo, al momento, il vero problema della squadra di Allegri: l’incapacità di dare e darsi un cambio di passo all’interno della stessa partita. La prima parte di questo testo, più in alto, ha sottolineato il buonissimo impatto sul match della squadra bianconera, in grado di concludere due volte dall’area di rigore e nello specchio della porta nei primi venti minuti di gioco. Esaurita la foga iniziale, nei restanti 70′, la Juventus non c’è più riuscita: solo durante i minuti di recupero della ripresa, Khedira ha centrato di nuovo lo spazio delimitato dai pali di Donnarumma, tra l’altro con un tiro da fuori.

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Le grandi perplessità sui bianconeri riguardano la difficoltà ad andare oltre lo spartito o la giocata risolutiva dei singoli: una settimana fa contro l’Udinese, ad esempio, la partita è stata risolta da due calci da fermo di Paulo Dybala, una punizione e un rigore. E pure nel match contro i friulani, i calciatori con il maggior numero di occasioni create sono stati gli esterni (3 key passes per Alex Sandro, 2 a testa Cuadrado e Lichtsteiner). A San Siro, lo slow play posizionale che Allegri ha cucito addosso a questa squadra non ha funzionato. Merito del Milan e colpa dell’infortunio di Dybala (che, al netto delle cifre sopra riportate, è il terzo calciatore dell’organico per numero di occasioni create, 22 tra campionato e Champions), ma anche di un possesso di palla sterile, di una costruzione del gioco che è ancora troppo lenta e troppo poco verticale per una squadra che aspira ad essere dominante: su 531 passaggi in totale, solo il 31% (165) ha avuto come destinazione l’ultimo terzo di campo. Dei 30 cross effettuati, appena 9 hanno trovato la deviazione di un giocatore bianconero.

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Mappa posizionale della Juventus nella partita col Milan, che individua i palloni giocati dai bianconeri divisi per terzi di campo: la parte occupata dalla difesa rossonera, a sinistra, è quella in cui la squadra di Allegri ha avuto le maggiori difficoltà a toccare la sfera.

Allegri, alla fine della partita, ha voluto e saputo sospendersi tra il realismo e l’ottimismo: «Non ho nulla da rimproverare ai miei ragazzi, hanno giocato bene e comandato la partita, tirando molto in porta e creando situazioni in area di rigore avversaria. Questa partita non ci deve preoccupare, è solo che loro hanno segnato e noi no». Un’analisi lucida, che viene confermata dai numeri. Ma che, allo stesso tempo, rifiuta il concetto di necessario miglioramento del gioco di una squadra che, come scrive Mina Rzouki su Espnfc, «non ha ancora trovato il giusto equilibrio per proporre uno stile fluido ed esteticamente piacevole del calcio. I molti nuovi acquisti, sommati ad alcune assenze importanti, hanno portato a performance sconnesse salvate solo da un momento di brillantezza individuale. La Juventus non è divertente, ma macina vittorie». La dimensione tecnica e narrativa della nuova Juventus è ancora questa, sa di vecchio e stona con le grandi aspettative che c’erano intorno a questa squadra dopo il mercato estivo. Anche lo stesso Allegri ne è consapevole: «Non siamo stati puliti nella creazione delle occasioni, ma abbiamo concesso pochissimo. Si può migliorare e si migliorerà nel servire Higuaín, che è un calciatore che si smarca sempre in determinate situazione di gioco. La conoscenza reciproca coi compagni servirà a crescere soprattutto da questo punto di vista». È quello che serve, a questa Juventus, per andare al di là del classico racconto dei brutti e vincenti. Che, a quanto pare, non basta più. E che a volte, proprio come sabato, fa pure fatica a funzionare.

 

Tutte le immagini via Marco Bertorello/Getty Images