C’è un momento in cui ci siamo resi conto di Daniele Rugani? Forse contro la Roma, quando Dzeko, l’attaccante che tira più di tutti in Serie A (4.5 conclusioni di media a partita) e primo per rendimento e occasioni create (22, con due assist e 20 passaggi chiave), con lui non ha praticamente visto palla (appena 28 tocchi e zero conclusioni verso la porta). La percentuale di tackles andati a segno è stata dell’ 87% (50% quella relativa ai duelli aerei), la pass accuracy ha toccato il 64% pur con un approccio più verticale del solito e chiusure e coperture preventive sono state perfette nella tempistica. Rugani è stato in grado di interpretare senza sbavature sia il ruolo di perno della difesa a tre, che di centrale di destra quando la Juventus decideva di passare a quattro, in un modulo che si piegava alle singole situazioni della gara. Il tutto nella partita più importante, contro un avversario tra i più in forma e con la contemporanea assenza (almeno dall’inizio) di Bonucci e Barzagli (entrato poco dopo l’ora di gioco al posto di Lichtsteiner).
Daniele Rugani è probabilmente il difensore più completo a disposizione della Juventus: o, meglio, l’unico in grado di ricoprire tutti i ruoli del sistema difensivo di Allegri senza sostanziali variazioni nel rendimento. Nel suo anno e mezzo in bianconero, infatti, è stato utilizzato da centrale di destra/sinistra (a seconda di chi mancasse tra Barzagli e Chiellini) nella difesa a tre, da centrale di destra in una difesa a quattro (ma solo se affiancato ad un altro marcatore puro) e, da qualche tempo, anche come “vice Bonucci”, ferma restando l’unicità del giocatore laziale in fase di impostazione e prima costruzione del gioco (86% di pass accuracy, con l’85% dei tocchi in verticale: un caso unico se si considerano i cinque maggiori campionati europei). Non bisogna, tuttavia, pensare al cospetto di un giocatore fatto e finito. A 23 anni ancora da compiere, e con gli inevitabili alti e bassi tipici dell’età, i margini di miglioramento sono ampissimi e i difetti da limare altrettanti, come non ha mancato di far notare a più riprese anche Massimiliano Allegri: «Era arrivato dall’Empoli e tutti lo elogiavano perché non era mai stato ammonito. Io l’ho preso da parte e gli ho detto: “Ti fanno i complimenti, ma non capisce nulla nessuno. Non prendere ammonizioni non va bene: tu devi dare delle legnate da buttar la gente fuori dallo stadio”».
In effetti, oltre ad una prima stagione di Serie A disputata per intero (38 gare su 38, per un totale di 1260 minuti disputati), era questo il dato che maggiormente saltava all’occhio del nativo di Lucca: appena tre gialli nelle prime 78 partite da professionista, che diventano sei considerando le 52 presenze in massima serie. Naturale per un difensore che, oggi come allora, è più efficace che appariscente (ponendosi, in tal senso, in piena continuità con l’idolo Barzagli), preferendo un anticipo secco e pulito sulla trequarti difensiva e/o il pressing asfissiante sull’avversario diretto per portarlo il più lontano possibile dalla porta, alla scivolata risolutiva in ripiegamento, magari per tamponare l’errore di posizionamento del compagno di reparto. Impiegato da centrale di sinistra di una difesa a quattro, nell’Empoli dei miracoli di Maurizio Sarri era l’uomo chiamato a mantenere la linea sempre alta in virtù della sua innata capacità di lettura delle singole situazioni. Con pregi e difetti che si bilanciavano in maniera ottimale: Rugani era il vero regista difensivo della squadra (in quel campionato la sua pass accuracy toccò vette del 91% per poi assestarsi sull’88% finale), tempista nell’anticipo, forte fisicamente, potenzialmente imbattibile nello stacco di testa in virtù dei suoi 188 centimetri, ideale complemento di un Tonelli che interpretava il ruolo in maniera molto più aggressiva e rispetto al quale preferiva giocare un paio di passi più indietro per offrire copertura. Di contro, la scelta di tempo nello stacco aereo non era ancora ottimale (nonostante una percentuale di successo del 66%), l’inclinazione ad usare il piede debole in fase di impostazione era relativa, e parte dei gol subiti dai toscani per vie centrali erano causati dal suo non saper temporeggiare in transizione o dal voler a tutti i costi correre in soccorso del compagno in difficoltà, staccandosi dall’avversario diretto.
Tutto questo è ben chiaro ad Allegri fin dal primo giorno in cui ha il ragazzo a disposizione. La missione non è semplice: insegnare a un giocatore che ha già un’ottima padronanza dello spazio, i rudimenti della marcatura in parità/superiorità numerica e dell’uno contro uno, alternando l’anticipo a metà campo per far ripartire più velocemente l’azione alle corse all’indietro in caso di recupero palla alto degli avversari. La soluzione, viste anche le difficoltà iniziali dei bianconeri, è un lungo apprendistato fatto di tanta panchina: fatta eccezione per i cinque minuti finali nella partita di Champions contro il Siviglia, il debutto vero e proprio avviene in occasione di Carpi-Juventus del 13 dicembre 2015 (34 minuti in sostituzione di Barzagli, con tanto di gol annullato per fuorigioco), mentre la prima da titolare arriva il 10 gennaio successivo in occasione della trasferta a Genova contro la Samp. Difficoltà? Relative o, comunque, mascherate da un sistema in cui la compattezza di squadra e la chiusura delle linee di passaggio figlie del 3-5-2, favoriscono una difesa ordinata e pulita. A patto che gli errori dei singoli non siano marchiani ed evidenti.
Capita, quindi, che il primo, vero, turning point della carriera di Rugani coincida con la sua peggiore partita della carriera, nonché con una delle peggiori esibizioni juventine dell’ultimo lustro. In occasione della semifinale di ritorno di Coppa Italia contro l’Inter dello scorso 2 marzo, i bianconeri hanno rischiato di dilapidare il 3-0 dell’andata con una gara in cui hanno sbagliato tutto, dall’approccio alle interpretazioni delle varie fasi su entrambi i lati del campo. Il rigore del 3-0 nerazzurro, poi realizzato da Brozovic, è causato da una duplice ingenuità di Rugani, che prima è in ritardo sul lancio dalle retrovie per Perisic (ricadendo nell’antico vizio di voler giocare con una linea difensiva alta, nonostante le gravi difficoltà in non possesso palesate fino a quel momento), poi si fa saltare secco dal croato steso poco dopo l’ingresso in area di rigore.
Al di là di questo episodio, comunque, anche in fase di impostazione l’ex empolese sbaglia tutto quello che c’è da sbagliare: merito del pressing selettivo degli avanti interisti che gli forzano spesso la giocata sul piede debole, chiudendo tutte le linee di appoggio su Bonucci. Nel post gara, nonostante la Juventus abbia ottenuto la qualificazione ai rigori, le critiche fioccano, così come gli interrogativi sulle reali potenzialità del ragazzo. Cui, paradossalmente, la “smitizzazione” e la perdita dell’aura da predestinato a ogni costo fa un gran bene, anche grazie alla sua forza mentale e alla fiducia che Allegri, complice l’ennesimo infortunio muscolare di Chiellini, gli accorda schierandolo titolare praticamente fino al termine del campionato (salterà solo l’ultima in casa contro la Sampdoria). L’integrazione con i più esperti compagni prosegue per gradi, in un apprendistato che l’allenatore porta avanti in partita e negli allenamenti e spingendo Rugani a difendere in armonia con il resto del reparto e non più solo singolarmente sull’avversario che gravita nella sua zona.
I miglioramenti in questa stagione sono evidenti. Rugani sta progressivamente facendo suoi movimenti e automatismi della retroguardia bianconera, crescendo ulteriormente dal punto di vista del read and react delle situazioni di gioco, e regolando i suoi movimenti in base ai compagni che affianca e quelli che è chiamato a sostituire: vediamo, quindi, un giocatore che si prende molte più responsabilità in fase di impostazione quando gioca al posto di Bonucci (come testimoniato dall’87% di pass accuracy e dal 71% dei tocchi in verticale: dimenticate, quindi, il ragazzo timido che preferiva appoggiare lateralmente all’esterno in ripiegamento o all’indietro a Buffon) e quello efficace, essenziale e senza fronzoli quando prende il posto di uno tra Barzagli e Chiellini: e se il 41% di successo nei contrasti (55% per quanto riguarda, invece, i duelli aerei) è un dato che può e deve crescere, va considerato che il ventiduenne di Lucca si sta facendo notare anche per i raddoppi portati, finalmente, al momento giusto, per le coperture preventive effettuate nei tempi giusti e per la crescente fiducia nei propri mezzi che lo porta a sbagliare sempre meno, pur giocando molto di più. Ad oggi non c’è nessun errore difensivo da segnalare nelle cinque azioni difensive di media a partita, a fronte dell’uno in quattro della stagione passata. E, poi, c’è il ritrovato fiuto del gol. Alla rete dell’1-0 contro il Cagliari (tap-in dopo la respinta di Storari sul tiro di Higuain), sono seguite quelle contro Atalanta e Dinamo Zagabria, praticamente identiche nelle modalità e non solo perché susseguenti da azione d’angolo: parte da lontano, dal limite dell’area di rigore, per poi tagliare in diagonale all’altezza del dischetto del rigore, cercando l’anticipo sul marcatore diretto o sfruttando una serie di blocchi portati per lui.
Il gol contro l’Atalanta
Il secondo turning point della carriera arriva in occasione della gara di Champions a Siviglia, una di quelle partite che, per dirla alla Allegri, «un ragazzo, per quanto promettente, deve imparare a giocare per mettersi alla prova e capire di che pasta è fatto». A causa delle numerose assenze nella retroguardia, Rugani viene impiegato accanto a Bonucci come centrale di destra di una difesa a quattro. Il suo ruolo è duplice: sostituirsi al compagno in fase di impostazione qualora gli avversari portassero su di lui il primo pressing; dare copertura sulle avanzate di Dani Alves (che, più che da esterno, sembra quasi agire da mezzala aggiunta), coprendo una fetta molto più ampia del solito del centro-destra. Nonostante l’inizio, suo e di tutta la squadra, sia titubante, la gara del numero 24 è un crescendo continuo e costante: di testa le prende praticamente tutte lui, in fase di prima costruzione è sicuro e preciso (87% di precisione nel tocco, terzo assoluto per passaggi effettuati: ben 74, alle spalle degli stessi Bonucci e Alves) pur giocando molto più verticalmente del solito (il 37.8% dei passaggi è in avanti, appena il 4.1 dietro) e tatticamente copre la zona che gli è stata assegnata con la solita diligenza e pulizia d’intervento: due tackles portati con successo, ben quattro respinte difensive e cinque duelli vinti su sette a fronte di un solo fallo commesso.
Con l’esame più importante superato a pieni voti, Rugani ha dimostrato ad Allegri che la contemporanea mancanza di Chiellini e Barzagli poteva essere affrontata senza eccessive ansie. E il tecnico sta avendo sempre meno remore ad affidarsi al suo giovane pretoriano: dal 22 novembre ad oggi, 328 minuti disputati sui 630 disponibili in campionato (per la Juventus cinque vittorie e la sconfitte di Genova e Firenze, otto gol fatti e cinque subiti, mai per errori dell’ex Empoli) e in Champions la gioia del primo gol nella partita contro la Dinamo che è valsa il primo posto nel girone. Per non parlare delle ottime prestazioni in Coppa Italia contro Atalanta e, soprattutto, Milan: in entrambi i casi centrale di sinistra nella “nuova” difesa a 4 (come a Empoli) e in entrambi i casi tra i migliori in assoluto, destreggiandosi bene sia nel giro palla che in marcatura.
Ed ecco come, quasi senza accorgersene, Rugani si è preso il suo spazio in una delle difese più forti della storia recente del calcio italiano, mantenendo quelle promesse che sembravano disattese in quella notte di Coppa Italia che, da possibile fine, si è trasformata in un nuovo inizio. La Juventus, ribadendo la volontà di costruire su di lui la retroguardia del futuro, lo ha blindato con un rinnovo fino al 2021 arrivato a tre giorni dallo scontro diretto contro la Roma. Venendo ripagata, come detto, da una prestazione di assoluto livello da parte di un giocatore che sa dove è arrivato e sa dove vuole arrivare, continuando a lavorare sui propri limiti. Che non sono più così tanti: «Mi sento migliorato sicuramente in diverse cose, ma il passo penso più importante che ho fatto, al di là di quello fisico e tecnico che c’è stato, credo sia nella testa. Perché venivo da una realtà diversa, modo di difendere diverso, pressioni diverse, c’è voluto un giusto tempo di adattamento e adesso sono cresciuto a livello di convinzione dei propri mezzi e di conseguenza sono cresciuto anche dal punto di vista tecnico e della personalità».