A spasso con Thomas N’Kono

A sessant'anni, N’Kono continua a vivere attivamente il calcio. Un incontro all’indomani della vittoria del suo Camerun in Coppa d’Africa.

La residenza ufficiale di Thomas N’Kono è dal 2003 nel quartiere barcellonese di Sarrià, ma la sua testa è ancora in Africa, dove, parafrasando Ryszard Kapuscinski, il tempo si adatta agli uomini e non viceversa. L’attesa di un’ora nel parcheggio dell’Espanyol, allietata da un sole che permette di stare a maniche corte anche a febbraio, dà conferma della tranquillità con la quale l’ex Pallone d’oro africano trascorre la sua vita. Dopo l’ennesima richiesta di rinvio dell’intervista, la mia controproposta di farmi dare un passaggio in macchina verso casa e approfittare di quel tempo che adesso gli è nemico per aprire il suo libro dei ricordi lo trova concorde e contento, mentre apre la porta del suo Suv parcheggiato sempre nello stesso posto e indizio inconfutabile della sua presenza alla Ciutat Esportiva Dani Jarque. Una volta messo in moto Tommy, come lo chiamano qui, spegne la radio e insieme entriamo in un viaggio nel viaggio, che parte dalla scorsa domenica sera in Gabon e arriva fino al 1972 in Camerun, mentre accarezza dolcemente il volante guidando per delle strade che conosce a memoria.

Il tuo Camerun è di nuovo campione d’Africa, quindici anni dopo l’ultima volta.

Era difficile vincere e lo è stato. Nel primo tempo la squadra non ha ripetuto le performance delle partite precedenti, poi nell’intervallo è arrivata la scossa. Avevo parlato con i ragazzi prima della partita e poi li ho congratulati dopo la vittoria, hanno fatto un torneo eccezionale, riuscendo a dare una gioia immensa al popolo camerunese.

Come hai reagito all’incredibile gol di Aboubakar nel finale?

Ero a casa davanti alla tele, mi sono alzato e ho gridato come un pazzo, come se fossi allo stadio con loro. E mia moglie è venuta ad abbracciarmi, condividendo con me la gioia del momento.

Il gol di Aboubakar che ha deciso la finale

Il Camerun campione d’Africa di oggi non ha in squadra totem quali i vari N’Kono, Milla ed Eto’o. Possiamo dire che è stata la vittoria di un collettivo?

Assolutamente sì. La squadra è riuscita a far leva su un grande spirito di gruppo, qualcosa di più importante delle individualità in una competizione del genere. Credo che i ragazzi siano riusciti gradualmente a conoscersi meglio vivendo insieme e alla fine hanno ottenuto il premio che meritavano. Il calcio è sempre il trionfo del collettivo.

Tuttavia l’ultimo Camerun campione era di un’altra pasta…

Il Camerun campione nel 2002 era un gruppo con più leader, con più personalità. E dal centrocampo in avanti avevamo dei fenomeni come Geremi, Olembé, M’Boma e un giovane Eto’o. Era una squadra più pronta al combattimento, e per l’occasione ci fu veramente bisogno di tutta la dedizione possibile. Io ero allenatore dei portieri e ricordo che fu duro spostarsi da Sikasso a Bamako, la capitale, per affrontare in semifinale il Mali padrone di casa. In tre giorni passammo da giocare due tipi di competizione completamente diversi e in due stadi totalmente differenti.

Per vincere la Coppa d’Africa bisogna adattarsi a varie situazioni: gli stadi così diversi gli uni dagli altri, il clima afoso, i trasporti, oltre a far attenzione all’idratazione e all’alimentazione. E dato che oggigiorno la maggior parte dei calciatori africani gioca in Europa, non è facile per loro adattarsi nuovamente alla temperatura in così poco tempo. È in questi dettagli che si costruisce una vittoria in un torneo come questo.

23 Jun 1990: Portrait of Thomas Nkono the Cameroon goalkeeper during the World Cup match against Colombia in Naples, Italy. Cameroon won the match 2-1. Mandatory Credit: David Cannon/Allsport
Thomas N’kono ai Mondiali del 1990, in una gara contro la Colombia giocata a Napoli (David Cannon/Allsport)

Che ruolo ha il calcio in Africa?

È lo sport per eccellenza, oltre a rivestire un grande ruolo sociale. Lo chiamano lo sport re, quello che domina sugli altri e sul quale vi sono tutti i riflettori puntati. E questo fa sì che gli errori non vengano quasi mai accettati.

Forse è proprio in Africa che dà la massima espressione di “sport del popolo”.

Senza dubbio. Ancor oggi la maggior parte dei giovani giocano a calcio per la strada, come ho cominciato io in una piccola città vicino Douala. Ma all’epoca l’essenza del calcio in Camerun era ancora romantica, perché la frontiera tra il gioco in strada e quello nei campi “professionisti” era molto sottile. A diciassette anni, infatti, feci direttamente il salto nel Canon Yaoundé, dove debuttai praticamente ancora minorenne. Ora la trafila è più lunga, anche se non come in Europa.

Che differenze noti a livello di organizzazione calcistica quando torni in Camerun?

Oggi esistono varie scuole calcio che alla mia epoca erano solo un’illusione e che permettono ai giovani di formarsi insieme a giocatori più esperti e in maniera graduale, nonostante dobbiamo ancora fare passi avanti a livello di infrastrutture. Ai miei tempi al massimo veniva qualche europeo a predicare tattica, che è una mancanza endemica nel calcio africano. Nel mio caso l’arrivo di Vladimir Beara, preparatore dei portieri jugoslavo, fu determinante. Perché io avevo il talento ma lui completò la mia formazione tecnico-tattica. Non dimenticherò mai il muro che costruì per me affinché mi allenassi a controllare i rimbalzi del pallone, un esercizio per acquisire automatismi che col tempo si è rivelato fondamentale.

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Nell’edizione 2017 della Coppa d’Africa ben undici allenatori su sedici erano europei, oltre a Héctor Cúper, argentino. Possiamo parlare di una sorta di emigrazione al contrario per quanto riguarda gli allenatori?

(Ride) Voilà! È proprio così, anche perché si tratta di professionisti che hanno giocato e allenato in Europa e vengono qui per completare la formazione dei ragazzi, che a volte necessitano di uno o due anni di apprendimento tattico per integrarsi del tutto. In Africa non manca la potenza fisica e il talento, ma è anche vero che ai miei tempi i pochi europei che venivano non erano tecnici professionisti. Io, del resto, mi sono formato in Camerun, anche perché sono andato a giocare in Europa nel 1982, a ventisei anni.

Dopo il Mondiale di Spagna in molti si accorsero di te.

Quel Mondiale fu la consacrazione per il Camerun, anche se non riuscimmo a passare alla seconda fase. Di quella selezione eravamo in dieci del Canon Yaoundé e sette di noi vennero ingaggiati da squadra europee e io arrivai a Barcellona, dove mi trovo adesso. In molti ricordano l’exploit del Camerun di Italia ‘90, ma la generazione dell’82 fu il trampolino verso la gloria del nostro calcio.

Fu traumatico l’impatto col calcio europeo?

Assolutamente no! Al mio arrivo avevo già vinto tutto in Africa, tra coppe, campionati e due Palloni d’oro. L’unica difficoltà che incontrai all’inizio fu quella della lingua, perché è necessario che il portiere comunichi con i suoi difensori, cosa che io cominciai a fare con i segni fino a quando non imparai lo spagnolo. Alla fine non usavo le mani solamente per parare ma anche per farmi capire…

All’inizio eri famoso per indossare sempre pantaloni lunghi in campo, persino d’estate…

(Ride) Fin da piccolo ho giocato in campi sterrati e l’erba ho cominciato a calcarla solo quando sono diventato professionista. Quindi ho mantenuto questa abitudine una volta arrivato in Europa, perché avrei dovuto smettere?

Un’altra caratteristica tua erano quelle spettacolari parate a una mano e delle respinte repentine. Ti rivedi in qualche portiere moderno?

In Donnarumma. Anch’io ho debuttato in campionato a diciassette anni e vedo in lui una grande maturità e prontezza atletica. Ma per lui la pressione e le responsabilità devono essere ancora maggiori, dato che gioca in Italia e nel Milan e oggi nel calcio c’è meno pazienza di un tempo.

Le migliori parate di N’Kono

Parlando di San Siro è facile ricordare sia per il pareggio 1 a 1 contro l’Inter nella Coppa Uefa 1987/88 e soprattutto la vittoria ai Mondiali di Italia ‘90 contro l’Argentina di Maradona.

Sono delle partite alle quali sono molto legato, soprattutto per quanto riguarda il mondiale, dato che arrivammo ai quarti. E riguardo all’Inter ricordo che, prima del Mondiale 1982, Helenio Herrera fece pubblicamente i miei elogi dopo una partita contro il Marocco dicendo che in Spagna si sarebbe visto un portiere africano con grande proiezione.

Ⓤ È quello di San Siro il match più intenso della tua carriera internazionale?

Ti sembrerà strano ma no. E qui torniamo alle difficoltà che presenta giocare a calcio nel continente africano, dove aggressività, ambiente e pressione condizionano il gioco. Una volta in Nigeria giocavamo contro i padroni di casa e soffrivo moltissimo il caldo, anche per colpa dei pantaloni lunghi (ride, ndr). Avevo chiesto la sostituzione perché ero esausto, ma i miei compagni mi dissero che dovevo restare in campo. Ero quasi svenuto quando mi stesero a terra e mi gettarono in faccia dell’acqua per farmi riprendere. Restai al mio posto e portammo a casa uno 0 a 0 fondamentale.

Il Camerun di quegli anni era trascinato da due leggende come Thomas N’Kono e Roger Milla, storia del calcio africano.

Le grandi Nazionali sono anche figlie di straordinarie coincidenze. Io e Roger siamo quasi coetanei, abbiamo debuttato nello stesso club ed eravamo coscienti di essere gli artefici diretti di un cambio nel calcio del nostro Paese e lui, oltre a essere un compagno di squadra, è sempre stato un amico per me. Ricordo ancora che, quando lui giocava a Montpellier, a quattro ore di macchina da qui, ci vedevamo spesso e a volte partivamo insieme per i ritiri della Nazionale. Le basi del gran Mondiale del Camerun in Italia si costruirono anche grazie alla nostra sintonia.

NAPLES, ITALY - JUNE 23: Forward Roger Milla from Cameroon runs past Colombian goalkeeper Jose Higuita (R) after stealing the ball from him on his way to score a goal 23 June 1990 in Naples during the World Cup second round soccer match between Cameroon and Colombia. Milla scored two goals in extra time to help Cameroon defeat Colombia 2-1 (0-0 at the end of regulation time) (Photo credit should read STAFF/AFP/Getty Images)
Roger Milla supera il portiere colombiano Higuita: il Camerun vincerà 2-1

Cosa manca ancora all’Africa per affermarsi a livello globale nel calcio?

L’organizzazione. Ancora non si dispone della mentalità giusta per formare ed allenare i giovani dalle basi. Ripeto, il talento esiste, ma il vero problema è che, purtroppo, l’Africa subsahariana non ha ancora sviluppato i mezzi per essere autosufficiente e proporre un modello calcistico che stimoli i giovani non solo a formarsi ma anche a giocare in loco. Oggi tutti vogliono fuggire subito in Europa, ma molti non dispongono delle basi tattiche e sono costretti a fare marcia indietro.

Samuel Eto’o è stato uno dei paladini della lotta al razzismo. Come credi che si possa sconfiggere il razzismo ancora presente nel calcio?

Il razzismo non può mai essere sconfitto se smettiamo di combatterlo tutti quanti ogni giorno.