Professor Ferretti

L'Italia che sta bene è un suo vanto, quella con gli acciacchi una sua responsabilità: abbiamo incontrato il responsabile dell'intera area medica azzurra.

Vedi Andrea Ferretti e lo immagini in tuta, sul campo. Accanto a un commissario tecnico, con la Nazionale che gioca. Invece stavolta no. Figc di via Allegri, Roma. Interno giorno. Ferretti è decisamente più elegante. Alto come può essere alto un giocatore di pallavolo (campione d’Italia da giocatore con l’Ariccia nel 1975 e da allenatore con la Federlazio due anni dopo), ma per fortuna si siede dietro la scrivania. La scrivania non è solo un elemento d’arredo, adesso è il suo ruolo. Dirigenziale, se è concessa l’anomalia. Rimane medico, ma da quando la Federcalcio ha ristrutturato il Club Italia il suo posto è lì. Responsabile dell’intera area medica, il capo di tutti quelli che in tuta sono accanto ai commissari tecnici di ogni Nazionale azzurra. Governa quasi sessanta persone, tra medici e fisioterapisti di diciannove squadre diverse.

L’Italia che sta bene è un suo vanto, quella con gli acciacchi una sua responsabilità. Si tratta di salute e non è una cosa da poco: ci sono carriere che si salvano per una scelta giusta fatta al momento giusta, stagioni che svoltano per una decisione saggia. Oppure il contrario. Ma non c’è altro da fare, in questo mestiere, che decidere.

1959 Viene istituito il Settore Tecnico della Figc con il compito di svolgere tutte le attività di formazione 1953 La Figc decide di trasferire la Commissione Tecnica Federale da Roma a Firenze, anche in virtù dell’imminente costruzione del Centro Tecnico di Coverciano 10 Il numero di gare che disputerà l’Italia per qualificarsi ai prossimi Mondiali di Russia 2018Ferretti ha deciso tanto, sempre. In campo. Ora decide come decidere: «Il Club Italia funziona con riunioni periodiche con i medici. Ogni tre mesi c’è un incontro con tutti i responsabili delle Nazionali per degli aggiornamenti, scambi di idee. Poi ogni singolo medico di ogni rappresentativa ha contatti frequenti con l’allenatore, abbastanza frequenti con i medici dei club». Il medico di una Nazionale cammina energicamente su un tappeto di uova: deve essere contemporaneamente risoluto e delicato. Ferretti ha l’esperienza e il carisma per insegnare questo, farne linea guida di un’organizzazione solida. I medici della Nazionale non sono quelli dei club: vedono i giocatori poche volte e non possono seguirne direttamente la preparazione. Devono lasciarli sani perché sono dipendenti di altri: «Noi abbiamo responsabilità enormi. Prima di tutto nei confronti del paziente, perché siamo medici e rispondiamo a loro. Poi nei confronti della Federazione. Nelle giovanili, con i minorenni, i genitori vengono subito dopo il paziente. Poi ci sono i club e infine l’entourage del giocatore. Questa gerarchia un nostro medico non deve mai dimenticarla».

Non sono solo le responsabilità ad avere una gerarchia. Mettere in fila le priorità è un modo per muoversi in un campo delicato. È la salute, elemento indispensabile per chi fa del fisico (anche) il suo attrezzo del mestiere: «Dobbiamo stare attenti ai comportamenti: i nostri interlocutori devono essere i medici, per valutare le situazioni di ogni singolo giocatore quando non è con noi. Non è opportuno chiamare direttamente l’atleta per scendere nei particolari dell’eventuale infortunio. E non è opportuno neanche che uno dei nostri parli con l’allenatore del club. Sono cose da evitare. Se stiamo attenti a queste cose stiamo facendo bene il nostro lavoro».

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C’è, di fronte a un taccuino e un registratore, un volto visto anche forse dai più distratti spettatori di una partita della Nazionale. Mentre parlava con i calciatori, mentre era in panchina. Come ogni persona che ha questo ruolo. Pare un personaggio da romanzo, il medico della Nazionale. Volto che tutti conoscono e se sei invece il medico di un club no. Il dottore degli Azzurri sembra un confessore, dicono le immagini. Non lo è, dice Ferretti: «Cambia più l’apparenza che la realtà. Nei club, anzi, i medici hanno un peso e un ruolo importante e notevoli pressioni. Il medico della Nazionale ha solo una visibilità mediatica diversa».

«Le esigenze dei club vengono prima, sia perché giocano la partita di campionato prima del raduno, sia per opportunità»C’è uno squilibrio tra responsabilità nei confronti di un calciatore e impiego dello stesso. Chi guida i medici delle Nazionali ne deve tener conto. Quindi come si cura la salute e la fisicità di un calciatore che il più delle volte è di passaggio dalla Nazionale tra una gara di club e l’altra? Amichevoli e qualificazioni hanno una loro peculiarità: «Sono manifestazioni di breve durata, durante il campionato. Una, due partite in pochi giorni e pochissimi giorni di ritiro: non c’è programmazione, ma gestione dello stato fisico. Ci sono contatti periodici che i medici delle Nazionali hanno con i medici dei club, di ordine generale o per situazioni particolari come quando un giocatore ha dei problemi, ma è tutto qui». L’unica forma di collaborazione ipotizzabile sarebbe un utilizzo del giocatore ridimensionato in campionato se la partita della Nazionale è importante. Ma è fantascienza, legittimamente: «Le esigenze dei club vengono prima, sia perché giocano la partita di campionato prima del raduno, sia per opportunità. Può esserci una partita importante per la Nazionale che segue una partita di scarso rilievo per il club, ma in questo caso la valutazione è del giocatore stesso, è difficile pensare di intervenire sull’impiego di qualcuno. Può succedere qualche volta con le Nazionali giovanili, in questo caso una gestione più armonica è più facile».

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Hanno un altro valore Mondiali ed Europei: «Nelle manifestazioni a lungo periodo i raduni hanno una durata maggiore e c’è il tempo per le valutazioni. Arrivano giocatori che hanno fatto una finale di Champions e sono spremuti, altri che hanno raggiunto in anticipo l’obiettivo con il loro club e sono più riposati. È il momento in cui il ruolo del medico e quello del preparatore è veramente importante: bisogna gestire situazioni che possono essere completamente diverse e portare, in un lasso di tempo che va dai quindici ai venti giorni, tutti nella condizione ottimale. I ritmi attuali del calcio di alto livello non sono distanti da quelli di un Mondiale: capita anche nei club che si giochino partite ogni quattro giorni per un mese intero. Da questo punto di vista ormai i giocatori sono abituati. Anche se è difficile che siano tutte di radicale importanza come capita in un Mondiale».

I ritmi del calcio sono un problema. Lo spettacolo deve andare avanti, ma un medico non cambia lavoro e nemmeno vocazione: «Il calcio è uno sport che dovrebbe essere giocato una volta a settimana. Fra una partita e l’altra ci vogliono cinque giorni di riposo. Il rapporto tra allenamenti e partite attuale non è fisiologico, ma possiamo solo prenderne atto e cercare di limitare i danni, gli infortuni». Pausa, occhi che guardano intorno, il discorso che si completa: «Sotto certi aspetti però è ancora più spettacolare: tra una squadra forte che gioca tre partite in una settimana e un’altra meno che ne gioca una soltanto, c’è maggiore equilibrio. Quindi più divertimento». Questo è il momento in cui l’innamorato del pallone vince sul medico. Anche se sono la stessa persona. Andrea Ferretti, appunto.

 

Fotografie di Cosimo Piccardi