Per anni sul desktop del computer portatile avevo una foto: la Nazionale italiana in fila, come prima di una partita, ma a centrocampo, rivolta verso la porta. Tutti abbracciati, una sfilata di maglie azzurre e sullo sfondo un muro arancione. Erano i tifosi dell’Olanda, ad Amsterdam. Perché quella foto era scattata durante i rigori di Olanda-Italia, semifinale dell’Europeo 2000. Di quella foto mi piaceva tutto: i colori, ovviamente; poi le maglie dell’Italia, innovative come poche volte è successo agli azzurri, i giochi di altezze tra i calciatori. Poi il significato, certo. Perché quella, per una generazione intera, quella del post Mundial 1982, è stata una partita unica. Per certi versi più di Germania-Italia 0-2 e Italia-Francia 5-3 (dopo i rigori) che ci hanno portato il Mondiale 2006.
5 — I rigori falliti dall’Olanda, due durante i tempi regolamentari e tre nella serie finale. Francesco Toldo ne parò tre
Olanda-Italia è stato il simbolo di che cosa sia l’idea italiana della competitività intesa come spirito di competizione, di senso comune dell’impegno per raggiungere un risultato. Paolo Condò che era lì, ad Amsterdam, ha raccontato qualche mese fa i suoi ricordi: «Descrivendola con le parole di oggi, la straordinaria resilienza di quell’Italia, capace di prevalere dopo aver sopportato sofferenze indicibili (…)». Perché l’Italia non supererà la metà campo avversaria per 85 minuti su 90. Perché dal 34’ del primo tempo gioca in dieci. Perché al minuto 38 Merk concede un rigore all’Olanda per una trattenuta davvero veniale di Nesta su Kluivert. «Il tiro di De Boer è tutt’altro che disprezzabile, forte, rasoterra e abbastanza angolato. No, non abbastanza. Francesco Toldo è un’anima lunga capace di distendersi in un amen: grandissima parata con palla in corner, esultanza per nulla trattenuta verso gli italiani in curva, e di lì in poi Toldo non la smetterà un momento di ridere, come se anziché giocare la partita la stesse guardando registrata, già informato del risultato, e dunque che godimento». Tutti dietro, tutti insieme, tutti gagliardi.
87 — I minuti disputati dall’Italia in inferiorità numerica. Gianluca Zambrotta venne espulso al 33’ del primo tempo
Poi un altro rigore per l’Olanda. «Stavolta è andato Patrick Kluivert. Il suo tiro spiazza Toldo ma… timbra il palo. Patrick si passa le mani nei capelli, improvvisamente consapevole che sta che sta accadendo qualcosa di soprannaturale». Si va ai rigori. L’Italia ha perso gli ultimi tre appuntamenti internazionali proprio ai rigori: la semifinale di Italia ’90, la finale di Usa ’94 e i quarti di finale di Francia ’98. Condò ricorda: «De Boer ha un paio di huevos grandi così nel voler tirare anche il primo penalty della serie. Ma la testa è in rottura prolungata, e il carattere non basta: conclusione centrale, Toldo la ribatte con tibetana serenità e poi, alzando il braccio verso i compagni, scoppia in un’altra delle sue risate. Va a tirare Pessotto, che spiazza Van der Sar. Tocca a Stam, e ormai nessuno allo stadio crede alle possibilità che l’Olanda ribalti la frittata. Cammina male, il buon Jaap, e al collega olandese più saccente fa il gesto della mano tesa che sale verso l’alto, a intendere che lo calcerà oltre la traversa. Stam calcia oltre la traversa: in quel momento ogni italiano presente all’Arena possiede i superpoteri. Levitiamo tutti tre metri sopra i banchi stampa, coi nostri magici mantelli azzurri, quando Totti va a segnare di cucchiaio ignorando le implorazioni a mezza voce di Maldini, informato da Di Biagio di cosa gli frullasse in mente e comprensibilmente inorridito. Ho visto parecchie partite, ma una sensazione di cuore nello zucchero come in quei momenti di Amsterdam non me la ricordo, perché l’Italia non stava soltanto andando in finale. Stava completando una risalita dagli inferi un centimetro alla volta».
Il rigore decisivo non è il cucchiaio di Totti, ma un’altra parata di Toldo su Bolsvelt. Poi la sua corsa verso il centrocampo, lì dove sono tutti in fila uno accanto all’altro come nella foto. E quell’immagine statica si sgretola nel caos di abbracci, esultanze, mucchi di uomini a terra, salti, braccia in aria. Lo spirito, ecco la chiave. Che si vede in quelle scene e che diversamente si vede nei 90 minuti più appendici varie in campo. Lo spirito, ovvero l’alfa della competitività e pure la sua omega perché non c’è competitività se non si crea un gruppo, se non c’è una visione comune, se non c’è la voglia di sacrificarsi per gli altri. Per vincere, o anche per resistere. Che a volte diventano la stessa cosa.