Ancora imbattuta in un girone abbastanza complicato, dove figurano anche Camerun, Algeria e Zambia, la Nigeria è la prima squadra africana ad aver staccato il pass per i Mondiali di Russia del 2018. Apparentemente non sembra trattarsi di una vera e propria notizia, visto che le Super Eagles, ad eccezione dell’edizione del 2006, sono una presenza praticamente costante nelle ultime edizioni della massima kermesse internazionale, eppure aver raggiunto l’obiettivo della qualificazione è un traguardo tutt’altro che scontato, che racchiude molti significati speciali. Provare a dimenticare delusioni e drammi vissuti negli ultimi anni era un’operazione tutt’altro che facile, e forse proprio il fatto di avere quasi toccato il fondo ha dato uno stimolo in più per risalire la china rapidamente. Dopo i gravissimi episodi di corruzione nelle gare di campionato riscontrati negli ultimi anni, denunciati più volte anche dalla stampa europea (come ad esempio dal giornalista Paul Doyle, nel 2013 sul Guardian) e il contemporaneo aggravarsi della tremenda situazione relativa alle rappresaglie compiute dalla cellula filo-islamica di Boko Haram, la Federazione Nigeriana, pochi giorni dopo la fine del Mondiale 2014 (dove oltretutto le Aquile avevano superato il girone eliminatorio), era stata bannata dalla Fifa per problemi di “government interference” ed il suo presidente, Aminu Maigari, era stato arrestato e costretto a lasciare la carica.
In questo clima fatto di scandali, instabilità e scarsa organizzazione, la Nazionale nigeriana veniva estromessa dalle qualificazioni alla Coppa d’Africa 2015, poi, ad inizio del 2016, ecco arrivare la tragica notizia della prematura scomparsa dell’ex selezionatore Stephen Keshi. Definito da Jonathan Wilson «the finest coach of his generation», nonostante un rapporto complicato con i vertici della NFF (Nigerian Football Federation) Keshi per anni era stato uno dei simboli del movimento calcistico del suo Paese. Oltre ad aver trionfato sia da giocatore che da allenatore, oltre che un vero e proprio “faro”, Keshi era stato anche un precursore nell’aver esportato il calcio nigeriano all’estero già negli anni ’80, quando si trasferì in Belgio. Fallito anche il tentativo di qualificarsi alla Coppa d’Africa 2017, la Nigeria era chiamata a scegliere nuovamente un allenatore, il sesto nel giro di tre anni. La scelta ricadde su due nomi (che attualmente lavorano fianco a fianco insieme a un entourage fatto di figure locali e straniere): il tedesco Gernot Rohr nel ruolo di capo tattico e Salisu Yusuf come allenatore.
Pur attraversando mille difficoltà, la scuola nigeriana continua però a sfornare elementi dal grandissimo avvenire dal punto di vista tecnico: oltre ad aver vinto il bronzo alle scorse Olimpiadi, la Nigeria si era laureata campione del mondo Under 17 sia nel 2013 che nel 2015, mettendo in mostra molti prospetti interessanti. Per quanto una produzione di così tanto talento grezzo possa sembrare normale visto le dimensioni numeriche della popolazione nigeriana, la settima al mondo, il fatto che tra i 50 migliori calciatori Under 21 scelti qualche mese fa dall’Equipe figurino tre nigeriani (Wilfried Ndidi, Kelechi Iheanacho e Alex Iwobi) è senza dubbio un grande riconoscimento. Il lavoro di Rohr, principalmente, è consistito nel provare a far coesistere nella stessa squadra i senior più esperti, attingendo però dalle risorse del vivaio. Convocazioni gestite razionalmente, buone intuizioni tattiche, e l’esperimento iniziato lo scorso anno ha fornito sempre maggiori certezze, fino a giungere all’attuale 4-2-3-1.
La vittoria sullo Zambia che ha dato la qualificazione alle Super Eagles
Il reparto difensivo, ad esempio, è stato rifondato quasi interamente: sulle fasce laterali agiscono Elderson Echiejile e una new-entry tra i titolari come Abdullahi Shehu, l’autentica scommessa vinta da Rohr premiato come migliore in campo nella sfida contro lo Zambia (vincitore, oltre che di un ricco premio in denaro, di dieci sacchi di riso forniti da uno sponsor locale). Accantonati Ambrose e Omeruo, la nuova coppia centrale è l’Oyinbo Wall, formato da due nigeriani al 50% come Troost-Ekong e Balogun, il primo di mamma olandese e il secondo tedesca, che negli ultimi mesi hanno costruito un’intesa pazzesca. A centrocampo, alle spalle di capitan Obi Mikel, Rohr ha potuto beneficiare della maturazione dell’ex laziale Onazi e della continua crescita di Ndidi, ormai inamovibile. In avanti, il minimo comune denominatore è proprio la Premier League: c’è un leader come il campione del Chelsea Victor Moses, c’è un centravanti esperto come Ighalo (nessuno ha segnato quanto lui in Inghilterra nel 2015), e poi ci sono due giovani funamboli come Iheanacho e Iwobi, rispettivamente in forza a Leicester e Arsenal. Attualmente, l’unico problema da risolvere potrebbe essere quello che riguarda il ruolo del portiere: Enyeama è rimasto ai margini di questo gruppo, così come lo sfortunato Ikeme, malato di leucemia. Rohr, che inizialmente sembrava fare affidamento sul giovane Alampasu adesso ha deciso di schierare stabilmente Ikechukwu Ezenwa, che però, alle soglie dei 30 anni, gioca ancora in patria.
Il gol di Iwobi contro lo Zambia ha già inevitabilmente fatto scattare i primi paragoni azzardati con il grande ciclo di vent’anni fa, quei ragazzi formidabili capaci di vincere la medaglia d’oro ad Atlanta 1996 e di guadagnarsi l’immortalità calcistica e suon di emozioni. Ma se la velocità di Tijjani Babangida, il look di Taribo West, i gol di Daniel Amokachi e l’esultanza di Finidi George resteranno impossibili da replicare, un segno di continuità con il passato potrebbe essere rappresentato dalla parentela tra Iwobi e suo zio Jay Jay Okocha. I due sembra abbiano un modo differente di mostrarsi in campo: al primo, sicuramente più fantasioso, si può forse rimproverare di essere rimasto piuttosto evanescente, mai realmente competitivo a certi livelli; il nipote, invece, sicuramente meno appariscente, sta dimostrando di possedere una skill preziosissima: un grande impatto sulle partite, è spesso lucidissimo quando subentra a gara in corso grazie a una grande percezione del match, come sottolineato più volte dal suo allenatore all’Arsenal, Arsene Wenger. Quando sembrava che potesse optare per la nazionalità inglese, Iwobi non ha avuto dubbi su quale maglia da indossare. Come lui, altri ragazzi reduci dalla trafila con le giovanili dell’Inghilterra sono pronti a fare dietro-front e scegliere la Nigeria: il primo è il terzino del Chelsea Ola Aina, che ha già debuttato con le Aquile lo scorso sabato. Adesso potrebbe toccare ad altri prodotti delle academies di grandi club anglosassoni come Chuba Akpom, Jordon Ibe e soprattutto Tammy Abraham, per il quale la Federazione nigeriana si è sbilanciata parecchio riguardo la prossima scelta.
Niente festeggiamenti pazzi come accaduto in Egitto, di certo c’è il fatto che coach Kohr ha già dichiarato ai media locali che aver ottenuto la qualificazione è solo il primo passo in vista dell’impegno del prossimo anno, e che bisognerà lavorare ancora molto per prepararsi al meglio e farsi trovare pronti. La prossima gara contro l’Algeria prevista per novembre, divenuta un’impegno pressoché inutile, potrebbe essere l’occasione per provare nuovi soluzioni in prospettiva futura, ma soprattutto nuovi interpreti da testare: visto l’enorme potenziale offensivo a disposizione, sono in tanti ed essere candidati a debuttare presto. In rampa di lancio ci sono lo scorso capocannoniere della Jupiler League, Henry Onyekuru; il centravanti del Girona, Olarenwaju Kayode; una delle sorprese di inizio stagione come Dennis Bonaventure del Club Brugge e poi due campioni del mondo Under 17 come Victor Osimhen e Orji Okwonkwo, il gioiellino in forza al Bologna che ha recentemente trovato il primo gol in massima serie.