Se si parte dall’osservazione dei risultati, muovere qualche critica a Massimiliano Allegri da quando siede sulla panchina della Juventus sembra essere un compito arduo. Tre double consecutivi (e un quarto possibile) e risultati europei eccezionali, con i bianconeri che si sono arresi (spesso con sfortuna e per ben due volte in finale) solo contro schiacciasassi come Bayern Monaco, Real Madrid e Barcellona, il gotha del calcio internazionale. Eppure è uno degli allenatori – tra quelli vincenti – che più ha diviso, in quasi ogni stagione, la propria tifoseria: c’è chi lo considera uno dei migliori sulla piazza e chi invece gli attribuisce diversi limiti di campo. Massimiliano Allegri ha un approccio nel modo di intendere il calcio molto diverso da parecchi suoi colleghi, ed è questo che fa nascere parecchie discussioni.
L’importanza della psicologia
Per quanto nel commento calcistico la “mentalità” sia spesso una figura retorica utilizzata per generalizzare e non entrare nell’analisi più dettagliata, è palese come Allegri miri a fare un determinato lavoro di testa sui propri giocatori, imponendo il proprio credo. È anche una cosa che non manca mai di sottolineare quando ne ha la possibilità: «L’aspetto psicologico è l’80% della prestazione dei giocatori». Rispetto ad altri allenatori che, nel proprio schematismo ossessivo, pretendono quasi che venga annullata l’imprevedibilità all’interno dei 90’, una delle prerogative di Allegri è capire i diversi momenti della partita, in quanto ci sono più gare dentro la stessa. L’ormai famosa “halma” diviene quindi un aspetto cruciale. In effetti, se si ripensa al “complesso europeo” della Juventus di Conte, la maggior crescita compiuta dalla Vecchia Signora riguarda non tanto i titoli ottenuti, quanto la personalità con cui, in poco tempo, è arrivata ad approcciarsi contro quei top club che prima parevano irraggiungibili. La Juventus di Allegri ha la lucidità di rimanere sempre sul pezzo quando la situazione sembra complicata, riuscendo solitamente a gestire molto bene gli episodi.
Non è stata l’impresa perfetta, ma è una stata un’impresa da qualificazione
Nella partita di Champions League del 2016 contro il Bayern, dopo un’ora di totale dominio subìto, la gara è stata ribaltata approfittando con prontezza del calo di intensità dei bavaresi. A Wembley, nonostante una performance eccellente del Tottenham che stava palesando molte criticità tattiche tra i bianconeri, sono bastati pochissimi minuti di approssimazione dell’avversario per l’insperata rimonta. Insomma, è indubbio che Allegri sotto questo punto di vista abbia fatto un lavoro magistrale, incidendo nella testa dei propri giocatori e portando serenità e consapevolezza. Tant’è che il livornese è il primo ad arrabbiarsi quando nell’ambiente – tifosi compresi – vede un eccessivo pessimismo, come per esempio nel post Olympiacos: «I tifosi juventini hanno troppo negatività, pensano sempre di perdere le finali. Intanto andiamoci e giochiamocela, anche perché andare in finale di Champions non è facile. Devono essere più positivi».
Anche i suoi più accaniti detrattori gli riconoscono innate capacità dal punto di vista comunicativo. Pesa molto le parole e in ogni conferenza sembra sempre in controllo della situazione, ragionando più sulla filosofia del percorso a tappe che non su quella del “partido a partido”. Insomma, l’esatto contrario del suo predecessore Antonio Conte, che quasi usava le conferenze come sedute di psicoanalisi.
Aspetti tattici privilegiati
Al netto forse della stagione 2014/15, in cui aveva ereditato una rosa costruita da altri, le caratteristiche tattiche che vengono in mente pensando alla sua Juventus sono soprattutto quelle difensive (una delle gare icona è il doppio confronto col Barcellona della stagione passata, 3-0 a Torino e 0-0 al Camp Nou). Con tutta probabilità, negli ultimi anni solo la fase di non possesso dell’Atletico Madrid di Simeone ha eguagliato il rendimento della Juventus di Allegri. Assume valore il fatto che ogni anno sia sempre riuscito a trovare una struttura difensiva ottimale nonostante rose molto diverse tra loro, anche con gente (uno su tutti Dani Alves) abituata a un altro tipo di calcio. Oltre all’alto livello difensivo in sé, svetta poi la capacità dell’allenatore toscano di sapersi adattare alle caratteristiche dell’avversario, difendendo in tanti modi diversi sia in patria che in Europa. Contro il Napoli, per esempio, erano stati blindati alla perfezione gli half spaces, mentre poche settimane dopo i bianconeri hanno negato con efficacia le corsie esterne all’Inter.
0 – La Juventus non ha subito gol al San Paolo contro il Napoli in Serie A per la prima volta da marzo 1997. Difesa. #NapoliJuventus
— OptaPaolo (@OptaPaolo) 1 dicembre 2017
Sebbene alla sua Juventus riescano benissimo alcune fasi di gioco, altre non sono mai state sviluppate a un livello davvero alto. Se la difesa posizionale è super, la pressione alta è sempre stata lacunosa e confusionaria a prescindere dalla rosa a disposizione, così come non sempre è fluida la fase di possesso (soprattutto in relazione alle potenzialità dei giocatori): tanta rigidità, poco movimento senza palla e discontinuità nel palleggio conservativo. L’eccesso nel professare continuamente la “giocata sicura” e a due tocchi ha portato i centrocampisti bianconeri a non essere sempre in grado di gestire con tranquillità la palla quando pressati con intensità. Insomma, per quanto versatili, le varie squadre di Allegri hanno specifiche comfort zone, in quanto sanno far (molto) meglio alcune cose di altre, segno di come sia l’ex Milan un allenatore bravo soprattutto a esaltare aspetti specifici.
Pur cambiando spesso e dimostrandosi nel complesso non troppo dogmatico, Massimiliano Allegri ha diversi leitmotiv nell’approccio della gara, come per esempio il totale abbattimento dei ritmi dopo il gol segnato e la costante presenza di almeno un cambio “spaccapartita” in grado di entrare dalla panchina.
Juan Cuadrado, spaccapartita
Esperimenti iniziali
«Io non sono uno che sta 26 ore a pensare a una partita. Guardo quello che devo guardare e in un quarto d’ora capisco quello che posso capire. Se sto tutto il giorno a vedere video alla fine non capisco nulla. Compratemi giocatori buoni, poi ci penso io a metterli in campo». Rispetto ad altri allenatori più “ossessionati”, che partono con idee piuttosto chiare e trovano la quadra in poco tempo, Allegri è un tecnico che necessita di periodi di assestamento molto più lunghi, conditi da parecchi esperimenti e anche sconfitte. Si può dire che segua il modo di far mercato della dirigenza, più attenta a cercare occasioni che non a pensare già in estate a una struttura tattica. Tuttavia, il tempo impiegato da Allegri prima di capire la fisionomia giusta per la squadra e come utilizzare i propri giocatori in modo logico non è esattamente tempestivo e chirurgico.
Oltre allo scricchiolante avvio di stagione 2015/16, viene in mente il modo in cui Pjanic è stato utilizzato, nel 2016/17, come se fosse una mezzala di quantità (quasi alla Pogba), richiedendogli un insensato lavoro di ampiezza e inserimento che ne dimezzava il potenziale. Solo a gennaio, con l’introduzione del 4-2-3-1, lo si è messo al centro del gioco utilizzandolo su tracce interne. In generale, Allegri è quindi un allenatore che cambia idea spesso e volentieri nel tentativo di trovare un’amalgama, dimostrando anche molto coraggio nei momenti clou e sapendo tornare sui propri passi (dote non scontata a questi livelli). Tuttavia – pur in mezzo a qualche intuizione come Mandzukic ala – ciò a volte si traduce in errori di valutazione sul rendimento ottimale di un proprio giocatore. Per esempio, tra quelli che lo hanno allenato come professionista, solo Allegri ha visto in Morata un’ala/seconda punta, chiedendo per mesi allo spagnolo compiti associativi, di raccordo e quantità, non nelle sue corde, finendo per castrarne le qualità. Senza dimenticare un Coman utilizzato come punta di raccordo, spalle alla porta, rinunciando a sfruttare le sue doti migliori.
Se poi Higuain non abbassa drasticamente il proprio raggio d’azione, i compagni hanno difficoltà a risalire il campo, e manca qualcuno che leghi i reparti (senza dimenticare le sue isolate progressioni palla al piede quando la squadra si schiaccia troppo). Oppure Douglas Costa, che al Bayern riceveva palla sempre in situazioni dinamiche sul lato debole e di fatto era una delle pedine finali nello sviluppo dell’azione, ha compiti cruciali nella creazione della manovra, con ricezioni da fermo. Insomma, palla al piede raramente si sono viste coralità e associatività in grado di esaltare le caratteristiche dei propri interpreti, ma anzi è stato necessario un livello performance individuale tutt’altro che scontato.
148 – Nel suo periodo al Bayern Monaco Douglas Costa è stato il giocatore della Bundesliga con più dribbling riusciti (148). Funambolo. pic.twitter.com/vUo0GzsDtG
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Allegri è quindi un allenatore che segue la filosofia dell’introduzione graduale dei nuovi giocatori, anche se questi in campo sembrano poter dare qualcosa in più rispetto ai senatori. In una Juventus con ancora delle lacune nella trequarti rivale, Dybala è diventato titolare non certo in poco tempo, mentre Evra è stato preferito a lungo rispetto a un Alex Sandro che offriva, nel complesso, un rendimento molto più incisivo in entrambe le fasi. Restando in questa stagione, nonostante le enormi difficoltà in mezzo al campo, il minutaggio complessivo di Bentancur è piuttosto esiguo, nonostante la personalità dimostrata e le caratteristiche tecniche che pur sembrano sposarsi bene con Pjanic. Nel complesso, il lavoro di Allegri alla Juventus è importante e – di pari passo con la crescita tecnica e economica della società – ha consegnato una squadra che se la gioca alla pari contro chiunque. Oltre alle doti di campo, se si allena un top club sono ugualmente importanti aspetti come la gestione della rosa e la personalità.
Il tecnico livornese dimostra grande sicurezza di sé e immunità alla pressione, un phisique du role totalmente all’altezza per allenare altre panchine di livello. Forse, rispetto ad altri suoi colleghi, è più adatto a contesti con rose più stabili di anno in anno, con giocatori già formati e senza grosse rivoluzioni di mercato ogni estate. In campionati con una concorrenza interna più equilibrata e agguerrita (viene in mente la Premier League), potrebbe infatti essere rischioso un prolungato periodo iniziale di esperimenti e assestamento derivanti da una rosa in costruzione.