3 cose sulle prime partite dell’Italia di Mancini

Il Balotelli ritrovato, l'alternanza dei numeri 1, la splendida necessità di Federico Chiesa.

Balotelli, promosso

«È tornato come se non se ne fosse mai andato», ha scritto France Football. Mario Balotelli non vestiva la maglia dell’Italia da quasi quattro anni − dall’ultima partita del Mondiale 2014, la sconfitta per 1-0 contro l’Uruguay − ma quando ha segnato il primo gol dell’era Roberto Mancini, il vantaggio sull’Arabia Saudita, in molti hanno provato quasi una sensazione di tranquillità, di normalità, ah, il tipico gol alla Balotelli. Potenza, rapidità, ancora potenza, un destro rasoterra da 20 metri nell’angolino, una non-esultanza come a dire “beh, non era mica difficile”. Era più difficile, forse, fare a meno di Balotelli in Nazionale: dopo gli alti e bassi con Prandelli, è andata bene a Conte, meno a Ventura. Mancini, che deve ricostruire, non può permettersi bocciature a priori. Balotelli è partito titolare contro Arabia Saudita e Francia perché nelle ultime due stagioni è stato il miglior attaccante italiano dopo Immobile: 43 gol in 66 presenze con il Nizza, 0,65 reti a partita, meglio di Belotti (0,56), Insigne (0,35) e Zaza (0,27). Contro la Francia è stato l’unico Azzurro promosso dall’Équipe, ha tirato sei volte (il triplo di ogni compagno), è uscito con i crampi. Contro l’Arabia ha segnato un «super solo goal», come ha scritto la Bbc. A quasi 28 anni è alla sua seconda opportunità con la Nazionale, e l’ha cominciata bene.

Un gol in pieno stile Balotelli

A chi affidare la porta?

L’Italia di Mancini riparte anche da un dato che riguarda la porta. In tre gare si sono alternati tutti e tre i portieri convocati, nessuno è rimasto imbattuto ma le gare disputate hanno mostrato elementi importanti per comprendere lo stato di Perin, Sirigu e Donnarumma. Contro l’Arabia Saudita, con un avversario qualificato al Mondiale ma non fenomenale, il gol è arrivato su una ripartenza dopo errore in disimpegno di Zappacosta. Donnarumma è uscito alto, in maniera un po’ avventata, confermando il momento di forma non eccezionale che sta attraversando. I suoi errori in maglia rossonera sono stati evidenti, e certo non aiuta la situazione di instabilità riguardante il suo futuro al Milan. Salvatore Sirigu ha ritrovato la Nazionale dopo due anni, ha difeso la porta azzurra nella più difficile delle tre sfide, quella contro la Francia, mostrando luci e qualche ombra come nel caso della prima rete realizzata dai transalpini. Per età, fiducia, affidabilità e sicurezza potrebbe essere il prossimo numero uno, ma non è da sottovalutare la performance di Perin contro l’Olanda. Le parate del portiere genoano su Depay e Berghuis sono state spettacolari. A Perin manca forse l’esperienza fuori dal campionato italiano ma al netto degli infortuni che ne hanno rallentato la carriera, vive un momento di forma impressionante che sarà difficile sottovalutare, soprattutto se dovesse accasarsi in una grande. L’alternanza dei portieri che potrebbe incontrare alla Juventus è un’incognita, lo dicono le ultime notizie e un’analisi dei casi più recenti: ai portieri serve solitamente fiducia, continuità, sapere di poter gestire con tranquillità il proprio ruolo. E allora sarà importante che Mancini scelga il suo numero 1, quello a cui affidare la porta in maniera stabile e duratura lungo il ciclo. In questo momento le gerarchie sembrano ancora fluttuare, indefinite e variabili, ma le performance in campo hanno mostrato che un portiere particolarmente in forma sembra esserci. Molto passerà anche dalle scelte del mercato estivo.

L’elasticità di Perin è unica

Il bisogno di Chiesa

Federico Chiesa ha giocato soltanto cinque partite in Nazionale maggiore: le prime due sono state partite strane, quelle con Luigi Di Biagio in panchina, allenatore evidentemente ad interim alla guida di un gruppo giovane ma che è arrivato alle amichevoli contro Argentina e Inghilterra senza preparazione né stimoli. Mentre la squadra di Gareth Southgate, a Wembley, bombardava di dribbling e tiri la difesa e la porta azzurre, mentre Ciro Immobile continuava nella sua trasformazione dall’implacabile attaccante del club al giocatore timido e inceppato della maglia Nazionale, Federico Chiesa, entrato nel secondo tempo, impressionava tutti. Dalla fascia, da subito, prima i cross, poi le serpentine tra giocatori avversari che hanno causato il rigore e il pareggio italiano. Nella partita più semplice, contro l’Arabia Saudita, non è sceso in campo se non negli ultimi cinque minuti, ma è tornato a giocare contro la Francia – sconfitta per 3-1 – e contro l’Olanda, in un pareggio un po’ “stretto” per gli Azzurri. Mancini l’ha schierato a sinistra contro i Bleus, le cui qualità e la cui forma erano però troppo superiori a quelli dell’Italia, e di nuovo a destra contro l’Olanda. Lunedì 4 giugno Federico è stato di nuovo decisivo, scattando in fascia e servendo perfettamente Simone Zaza per il gol del vantaggio. Chiesa ha mezzi fisici – velocità in campo aperto e nello spazio stretto – superiori a chiunque altro pari ruolo in Italia. Ha anche margini di miglioramento ampi – la precisione dei passaggi, la forza soprattutto – ma questo classe 1997 oggi è la pietra su cui si deve fondare questa Nazionale: il più giovane (Donnarumma escluso) e il più decisivo, capace di replicare la freschezza mostrata con la Fiorentina anche in campo internazionale.

Nessuno corre quanto Federico