Alessandro Velotto, campione del mondo

Intervista al difensore della Pro Recco, campione del Mondo con l’Italia a Gwangju.

Alla fine dell’intervista con Alessandro Velotto, 24enne pallanuotista napoletano, difensore della Pro Recco e campione del Mondo con la Nazionale italiana, fai fatica a comprendere il tuo stato d’animo. Ti senti felice, dopotutto hai parlato e sentito parlare di sport proprio come avresti voluto, come ti saresti aspettato; però ti senti anche deluso, perché un ragazzo più giovane di te che ha appena vinto i Mondiali con la Nazionale italiana di pallanuoto ti dice che proprio la Nazionale di italiana di pallanuoto è «un’eccellenza che coglie grandi risultati da sempre, eppure è difficile il movimento possa riuscire a sfruttare questa spinta».

Anche tre anni fa, quando l’ho intervistato per la prima volta, poche ore dopo la vittoria della medaglia di bronzo ai Giochi di Rio de Janeiro, percepivo gli stessi sentimenti solo apparentemente contraddittori: Alessandro ama visceralmente la pallanuoto e i significati che trasmette, e proprio per questo gli fa rabbia che il suo sport sia sostanzialmente fermo in quanto a progettualità e crescita. Magari l’attenzione mediatica è in aumento e aumenterà ancora dopo le vittorie della Nazionale, e tuttavia non si superano, poi, certe barriere – burocratiche, economiche, ma anche culturali.

Anche per questo la prima domanda che gli ho posto era inevitabilmente centrata sul percorso fatto dalla Nazionale di Sandro Campagna a Gwangju, in Corea del Sud, pochi giorni fa, però poi il discorso si è spostato subito su argomenti diversi, meno tecnici ma forse più significativi: il senso di uno sport considerato di nicchia, le sensazioni di chi lo pratica, lo stato del movimento italiano. La pallanuoto raccontata come sistema di valori, che però fanno fatica a emergere.

Ⓤ: La vittoria ai Mondiali è il coronamento di un percorso iniziato ai Giochi di Rio. Senti che da allora è cambiato qualcosa?

Alessandro Velotto: Non credo che ci siano stati grossi cambiamenti rispetto a 3 anni fa. Purtroppo la pallanuoto resta uno sport secondario anche rispetto al nuoto, una disciplina che non appassiona un grosso bacino di utenti. Certo, la maggiore esposizione mediatica ci ha permesso di avvicinare più persone: la Pro Recco è andata in diretta tv, ora il Mondiale, c’è stato un sensibile aumento di pubblico. Ma è difficile fare il salto di qualità, proprio per le caratteristiche della pallanuoto: uno sport in cui girano pochi soldi e che è difficile da raccontare.

Ⓤ: Cosa intendi per “difficile da raccontare”?

AV: Tutto parte dal regolamento. Non è facile capire la pallanuoto in ogni suo aspetto, puoi comprendere il gioco solo se riesci a seguire bene le partite. A quel punto è inevitabile appassionarsi, anche se poi c’è da fare anche un discorso sui media: la pallanuoto è poco romanzata. Certo, magari è anche poco conosciuta rispetto ad altri sport di squadra, ma è vero pure che le tantissime storie dietro una partita vengono spesso ignorate. Italia-Spagna – la finale dei Mondiali – è stato un caso a parte, c’erano mille racconti che si intrecciavano dentro e fuori dalla piscina, però per le competizioni di club manca tutta questa parte di narrazione giornalistica, tutto si esaurisce con la pubblicazione del risultato, senza dare grande risalto a quello che c’è dietro. Nel racconto della pallanuoto si fa fatica a vedere e quindi a creare dei personaggi, ma vedo che si fa poco per anche per comprendere i valori buoni che caratterizzano il nostro sport.

Alessandro Velotto esulta a bordo vasca con i compagni di squadra dopo la vittoria con la Spagna. Cresciuto nella Canottieri Napoli, Velotto è passato alla Pro Recco all’inizio della stagione 2018/19. Conta 105 presenze in Nazionale. (Oli Scarff/AFP/Getty Images)

Ⓤ: Ecco, questo è un punto fondamentale. In tutti gli sport, individuali e di squadra, le fasi più spettacolari sono quelle in cui si sprigionano il talento del singolo o gli automatismi della strategia di gruppo – penso a una giocata di Messi o a un passante di Federer, a un sorpasso rischioso in auto o a una schiacciata nel basket, ma anche al calcio elegante del Barcellona, a un pit stop di pochissimi secondi in Formula Uno, a un pick and roll ben eseguito. Quando si parla di pallanuoto, invece, è come se si parlasse di rugby: il riferimento principale per raccontare la bellezza del gioco riguarda sempre lo spirito di squadra e di immolazione rispetto alla causa, come se i pallanuotisti e i rugbisti fossero portatori di valori eticamente superiori. Perché, secondo te?

AV: Perché è proprio così: io pratico uno sport in cui l’individualità si annulla nel nome della squadra, in maniera pressoché totale. L’Italia ha vinto i Mondiali è un gruppo unito, ognuno ha giocato per l’altro, non abbiamo sprecato una sola bracciata. Anche in finale era evidente che se fosse entrato il terzo portiere avrebbe segnato anche lui, perché si tratta di un giocatore inserito all’interno del contesto e che condivideva il nostro spirito di attaccamento alla causa, al lavoro. Il risultato finale è arrivato perché c’è stato grande sacrificio da parte di tutti.

Ⓤ: Il sacrificio, il lavoro in allenamento, la fatica: anche questi sono elementi sempre presenti nel racconto degli sport in piscina. Credo sia una parte importante del discorso sui valori positivi della pallanuoto, giusto?

AV: Il ct della Nazionale, Sandro Campagna, è un allievo del mio attuale coach alla Pro Recco, Ratko Rudić. Il loro sistema di allenamento è molto particolare, perché abitua i giocatori alla fatica, alle difficoltà. Ti fanno preparare fisicamente su degli aspetti che magari non servono nella pratica del gioco, ma poi ti consentono di reagire meglio allo stress della partita. Quando ti alleni tre ore, e nonostante la stanchezza riesci a fare quell’esercizio in più, allora in partita diventi ancora più forte, proprio dal punto di vista mentale. Questa è la definizione dello spirito di sacrificio, che determina la percezione della pallanuoto e unisce i giocatori di una squadra nella difficoltà, nella fatica. Ecco, credo che questo sia il motivo perché io e i miei compagni siamo arrivati al successo. Si tratta di un percorso che potrebbe dare ispirazione a tanti ragazzi che si avvicinano allo sport in generale, non solo alla pallanuoto, eppure non riusciamo a pubblicizzarlo al meglio. Potrebbe essere un modo anche per superare tutti i problemi di lentezza burocratica che ci sono in Italia, magari la vittoria ai Mondiali può dare una spinta in questo senso.

Italia-Spagna, gli highlights della finale di Gwangju

Ⓤ: Un giocatore forte come te, all’interno di una generazione di talenti che si è rivelata anche vincente, come vive questa condizione particolare della pallanuoto? Cioè, l’Italia ha vinto un Mondiale ed è da sempre una delle Nazionali più forti al mondo, eppure le tue parole ci sembrano quelle di uno sportivo quasi rassegnato a vivere in un contesto dalla scarsa risonanza mediatica, con un futuro difficile da programmare. 

AV: Che in Italia ci siano difficoltà burocratiche per le strutture sportive è un dato di fatto. La mia squadra di club, la Pro Recco, non ha una piscina propria, giochiamo a Sori quando in realtà la società avrebbe una struttura di proprietà, la piscina all’aperto Punta Sant’Anna, che però non si riesce a mettere in funzione da moltissimi anni. Nella pallanuoto è sempre mancata una progettualità seria, a lungo termine, oggi Recco sta iniziando a investire nella promozione grazie ai fondi della proprietà e al lavoro del presidente Felugo – ex giocatore del Posillipo e della Pro, campione del mondo con l’Italia a Shangai 2011. Questo, però, non deve scoraggiare chi si avvicina a questo sport, anche perché io ho vissuto in prima persona la vera eccellenza italiana della pallanuoto: i tecnici, i dirigenti dei settori giovanili. Sono loro che mi hanno cresciuto, che mi hanno preparato alle difficoltà di questo sport trasmettendomi la cultura del lavoro e della serietà. I miei compagni e io ce l’abbiamo fatta perché abbiamo vissuto questo tipo di percorso, perché ci hanno insegnato questi valori nello stesso momento in cui imparavamo come si nuota, come si difende contro un avversario, come si tira la palla.