Italia-Brasile 3-2 è la storia del calcio e di tutti noi

La leggendaria partita del Sarriá raccontata in un libro di Piero Trellini.

Nel 2013 ero a San Paolo, in vacanza, decido di andare a visitare lo Estádio Municipal Paulo Machado de Carvalho, meglio noto come Pacaembu. All’interno dell’impianto c’è il motivo del mio pellegrinaggio: il Museu do Futebol. Pago il biglietto e entro. Sono da solo e un po’ emozionato. L’ingresso molto ampio ha le pareti ricoperte di gagliardetti, scudetti, foto. Prendo la scala mobile, Pelé in giacca e cravatta, a grandezza naturale, da uno schermo, ripete ininterrottamente, in tre lingue: «Benvenuti al Museo del Futebol». La prima parte della navata è fatta di riproduzioni tridimensionali di Pelé, Falcão, Sócrates, Zico, Jair, Garrincha e altri. Luci bassissime, cori da stadio in sottofondo. Proseguo e arrivo ai confessionali. Puoi scegliere il tuo confessore tra una trentina di registi, giornalisti, attori, cronisti. Ognuno di questi ti racconta il gol che non può dimenticare. Il più bello, il più triste, l’incredibile, il più strano. Ne faccio passare diversi, becco un calciatore sconosciuto che negli anni Settanta scartò tutta la squadra avversaria prima di segnare. Un gol di Sócrates ai tempi del Corinthias, uno di Pelé, uno di Jairzinho ai Mondiali del 1970.

Arriva il turno di un giornalista di circa sessant’anni che racconta il gol più triste della sua vita. Caso vuole che il più triste per lui sia uno dei più felici per me. Il terzo gol di Paolo Rossi al Brasile ai Mondiali del 1982. Racconta la partita, parla di quel Brasile, sottolinea come quella squadra fosse una delle più forti nazionali di tutti tempi (e come dargli torto). Forte come quella del ’58, come quella del ’70. Dice che su quel maledetto calcio d’angolo tutto sembrava finito quando Sócrates respinse di testa fuori area, ma fuori area c’era Tardelli, il seguito lo conosciamo. Il giornalista aggiunge che ogni volta che pensa a quel gol gli viene da piangere e, in effetti, piange. Io penso a quanto bene abbiamo voluto a Paolo Rossi e poi che vorrei abbracciare quell’uomo che soffre ancora dopo tanti anni. E abbracciandolo sussurrargli in un orecchio: «Guarda che il quarto gol di Antognoni era regolare, coraggio».

«Avete scritto che siamo andati al casinò e non era vero; che siamo stati con le majorette e non era vero, che Rossi e Cabrini se la intendevano e non era vero»È il primo di moltissimi ricordi che sono affiorati durante la lettura di La partita. Il romanzo di Italia-Brasile di Piero Trellini (Mondadori 2019). Trellini, però, occorre dirlo subito, pur dichiarando la sua ossessione per quella partita, compie un’operazione nient’affatto nostalgica, certamente romantica, il libro avrà sul lettore un grande impatto emotivo, soprattutto sul lettore che quella partita, come il sottoscritto la vide in diretta. Trellini, nelle sue 624 pagine, traccia un percorso storico molto dettagliato, attingendo da molte fonti, dai suoi ricordi e dalle memorie dei protagonisti di quei giorni, che non furono soltanto i calciatori. Nella primissima parte del suo racconto, Trellini attinge al suo personale ricordo, aveva dodici anni quel 5 luglio, ricorda dove si trovasse, di che marca fosse il suo televisore e che cosa accadde quel pomeriggio nella sua casa e in quella di più di 30 milioni di italiani. Il televisore di Trellini era a colori, all’inizio degli anni ottanta per circa la metà della nazione le immagini scorrevano ancora in bianco e nero. Secondo ricordo potente. Il nostro Saba a colori arrivò a casa qualche giorno prima, io di anni ne avevo undici, i primi gol che ho visto con l’azzurro davanti sono stati quelli di Cabrini e Tardelli all’Argentina nella partita precedente, la partita come nota Trellini che lasciò intendere ai più attenti, ma soprattutto a Enzo Bearzot e ai calciatori, che il vento stava girando.

«Di cosa vi lamentate? Avete scritto che siamo andati al casinò e non era vero; che siamo stati con le majorette e non era vero, che Rossi e Cabrini se la intendevano e non era vero, e addirittura che le nostri mogli sono il premio per il passaggio del turno. Ma io mi rifiuto di considerare mia moglie alla stregua di un premio partita. I giocatori su cui scrivete hanno tutto il diritto di cucirsi la bocca perché voi mancate di lealtà. E questa è la cosa più grave»  (Franco Causio)

Vidi Italia-Brasile con due amici, Gianguido e Gregorio, ricordo tutto quello che accadde in campo e tutto ciò che fecero loro, l’esultanza, i balletti, le maledizioni. Non ricordo niente di quello che feci io, forse rimasi inchiodato sulla sedia tutta quell’ora e mezza mentre l’Italia stava facendo a pezzi una delle più forti squadre di tutti i tempi. Piero Trellini comincia il racconto della partita molto prima del fischio d’inizio, si parla dell’arrivo del gioco del calcio in Brasile, manco a dirlo per mano (o per piede) di un inglese.

Si parla dell’arbitro Klein, israeliano sopravvissuto all’Olocausto, che scopre che il figlio è appena andato in guerra, che va da Artemio Franchi domandogli di poter rinunciare ai Mondiali, ma Franchi media come ha sempre fatto, e Klein resta. Si parla di Havelange, del suo straordinario potere, della sua capacità di manovrare e di indirizzare le cose. Si parla di denaro, naturalmente. Trellini accenna agli anni ottanta, all’Italia di quel periodo. Si parla di Sordillo, si intravede Blatter. Si parla del calcioscommesse, di Giordano che ha una squalifica troppo lunga per esserci, di Paolo Rossi la cui pena (ridotta di un anno) si esaurisce a poche settimane dal Mundial.

“Brasile – Italia (Gesù)” (Gianni Brera) – (Duncan Raban/Allsport/Getty Images)

Si parla della testardaggine di Bearzot e della sua capacità di vedere le cose, squarci di futuro. Enzo Bearzot che aspetta Rossi a dispetto di tutti, lo aspetta prima del mondiale e dopo le prime tre disastrose partite, un centravanti fermo da due anni, sotto peso, che appare spento. Bearzot che lascia a casa Pruzzo e Beccalossi, che litiga, ricordiamo la storia dello schiaffo alla ragazza, quello che forse non tutti sanno e che anni dopo Bearzot fu invitato dalla stessa ragazza al proprio matrimonio. Bearzot caparbio che aspetta Bettega fino alla fine e poi porta Selvaggi, che sa che non si muoverà dalla panchina.

Bearzot e la Nazionale che hanno tutti contro, i tifosi, gli osservatori, ma soprattutto la carta stampata. Anche i più illuminati come Brera e Giorgio Tosatti, anche scrittori grandiosi come Giovanni Arpino. La Repubblica, Il Corriere, La Gazzetta, Il Corriere dello Sport e così via, nessuno scommetterebbe un centesimo sull’Italia e nessuno lo fa. La nazionale si chiude nel silenzio stampa più famoso della storia del calcio. Gianni Brera che è più intelligente a un certo punto fiuta qualcosa. Il Mundial del resto è anche una storia di pipe, regalate, comprate, raccontate.

«È qualcosa di immenso. Io non ho fatto altro che segnare gol nella mia carriera, però sono Paolo Rossi solo per quelle tre reti che ho fatto a Baires, capisci Mario? Io sarò Rossi solo per quel che riuscirò a fare qui. Se fallisco, per il mondo non esisterò più» (Paolo Rossi a Mario Sconcerti)

Pietro Trellini compie un pezzo di bravura soprattutto in un aspetto, mentre narra quello che si svolge sul campo, attraverso la tecnica del flashback, fa sì che i protagonisti mostrino i loro pensieri, la loro storia. Succede con Éder, con Zico, con Serginho, con Falcão, con Sócrates, con Cerezo. Succede con Dino Zoff, con Collovati, con Rossi, con Cabrini, con Causio. Succede con Bearzot, succede col professor Vecchiet. Così facendo, lo scrittore, rende la partita lunghissima e nuovamente memorabile, come succedeva nei cartoni animati di Holly e Benji, solo che stavolta non ci stanchiamo, e troviamo nelle storie passate di questi calciatori molti perché di quella partita.

≪Quando il Brasile attacca≫, spiega Bearzot, ≪fa perno su un solo uomo. È il meno dotato di tutti, ma non va mai in fuorigioco, riesce a dare profondità alla squadra ed è quindi a lui che tutti gli altri chiedono la sponda per lanciarsi in porta. Vedete?≫, e indica Serginho.

Un’ora prima della partita contro la Scozia, il ct (Santana) chiama da parte Cerezo, Falcao, Socrates e Zico: ≪Voi quattro da ora vivrete insieme a centrocampo≫. Sono le otto di sera del 18 giugno 1982. Il Quadrato Magico è ormai completo.

Le scelte di Bearzot sono fatte, le scelte di Santana pure. L’Italia non marca a uomo, fa una prima zona mista, l’Italia vuole vincere. Dopo cinque minuti segna Paolo Rossi su cross di Cabrini, dopo che Conti dall’altra parte ha dribblato chiunque. Da quel momento Pablito non si ferma più. «Pablito spalanca la bocca. C’è ancora la sua impronta nell’aria. Waldir Peres si volta, accende un’espressione di terrore e guarda il pallone scivolare dietro di se. Il tempo si ferma». La partita è bella e equilibrata, Zico fa un gran numero e mette Sócrates davanti a Zoff, palla sul primo palo, è pareggio.

Il momento che ho sempre ritenuto decisivo della partita è quello del secondo gol di Rossi, deve pensarlo anche Trellini per il modo stupendo in cui lo racconta. Tutti parlarono e parlano di Cerezo che sbagliò l’appoggio, ma tutti dimenticano Paolo Rossi che stava tornando verso la metà campo e che a un certo punto si volta, come se sentisse qualcosa nell’aria, così come tutti dimenticano gli altri brasiliani che si addormentarono e di Rossi che arriva sul pallone, si beve Júnior e segna dal limite dell’area. La partita credo che si sia vinta lì. Cerezo non credo si sia mai perdonato quel passaggio, che non glielo abbia perdonato nessuno, è sempre bene trovare un colpevole.

«Toninho lancia nel vuoto. Il circo, la paura, i piedi cattivi. Tutto ritorna. Il pallone rotola tra Falcão, che si trova due metri più avanti, e Junior, cinque metri più dietro. I giocatori osservano il pallone piegare l’erba del Sarriá. Verso non si sa dove. Un improvviso silenzio si impadronisce del campo. Ma nessuna sospensione di fiato può impedire al pallone di proseguire inesorabile il suo cammino. Falcão, Júnior e Éder sono lepri abbagliate dai fari. E perdono l’attimo. Il tempo si ferma. Si dilata. Per chiunque, tranne che per uno».

Il Brasile era la squadra più forte del mondo e un’ora dopo sarebbe stata spedita a casa, nonostante il bellissimo gol di Falcão, prima dal terzo gol di Rossi, poi dalla parata di Zoff, sulla linea di porta all’ultimo minuto, sul colpo di testa di Oscar. Pochi giorni dopo eravamo campioni del mondo, fu veramente stupendo ed è ancora indimenticabile. Nella parte finale del libro Trellini parla di Zico che disse (ma non fu il solo) molti anni dopo che perdere quella partita cambiò tutto in Brasile, filosofia, mentalità. Il Brasile fu costretto a imparare a difendersi e a darsi un minimo di organizzazione. Fu più o meno la stessa cosa che mi disse il mio amico di San Paolo, Luiz, la prima sera che ci conoscemmo: lui non sapeva l’italiano, io non conoscevo il portoghese, Italia-Brasile diventò l’argomento comprensibile e raccontabile. Zico disse pure che se il Brasile avesse fatto cinque gol, l’Italia ne avrebbe fatti sei. Così dovevano andare le cose.

La notte prima della partita, Marco Tardelli stava leggendo La suora giovane di Giovanni Arpino, Claudio Gentile aveva appena finito di leggere un romanzo prestatogli da un giovane Darwin Pastorin. Giravano romanzi, ci ricorda Trellini, mentre si stava per scrivere un capolavoro.