Il Barcellona non riesce ad andare oltre Messi

Senza il suo fuoriclasse, i blaugrana si smarriscono: un problema per il presente, ma soprattutto per il futuro.

Con la vittoria 0-2 in casa del Getafe, il Barcellona ha trovato per la prima volta in stagione un minimo di continuità nei risultati. Sono appena due successi di fila, e non sembra granché, solo che non era ancora mai successo. La vittoria del Coliseum Alfonso Pérez, nonostante la differenza di valori tra le formazioni in campo, ha i tratti dell’eccezione più che della regola: il Barça in trasferta sta facendo fatica, e non vinceva addirittura dallo scorso aprile (0-2 anche in quel caso, contro l’Alavés). È un problema che i blaugrana si trascinano dietro da tempo, probabilmente pesa ancora, nella psiche della squadra di Valverde, la rimonta subita dal Liverpool cinque mesi fa – che ha riaperto la ferita della sconfitta con la Roma nella primavera 2018. Come ha scritto Santi Gímenez, giornalista di As, «adesso per il Barcellona ogni stadio è Anfield». Lo è persino il Nuevo los Cármenes del Granada, squadra neopromossa e rivelazione di questa Liga, che aveva battuto il Barça 2-0 il 21 settembre scorso.

Un altro elemento singolare della vittoria in casa del Getafe è l’assenza di Messi: è sempre più raro vedere i blaugrana vincere senza il loro capitano. Da aprile dell’anno scorso, e prima del successo in casa del Getafe, Leo aveva saltato sei partite per infortunio; il Barcellona ne ha vinte solo due. Troppo poche per una squadra che è candidata a vincere tutto ogni anno, Queste cifre contribuiscono a sollevare anche alcuni interrogativi: ad esempio, quanto pesa quella che in Spagna chiamano Messidependencia? O meglio, la squadra che ha vinto sette degli ultimi dieci campionati in Spagna, facendolo sembrare la cosa più semplice del mondo, è davvero così vulnerabile senza la Pulce?

Con la maglia del Barcellona, Messi ha giocato 690 partite in competizioni ufficiali, per uno score di 603 gol (David Ramos/Getty Images)

La sensazione è che anche quest’anno il Barcellona arriverà dove lo porterà Messi. È la logica che lo impone: un campione come l’argentino tende ad accentrare il gioco sulla sua figura, come d’altra parte succede – in maniera molto differente, ma con la stessa portata – anche alla Juve con Cristiano Ronaldo, e poi nella Nazionale portoghese e in tutte le squadre in cui ha giocato. Allo stesso modo, anche i compagni di Messi tendono ad affidarsi totalmente a lui. E la sua influenza si riflette sulle scelte dell’allenatore, di Ernesto Valverde, in questo caso. Ma è stato così anche per i suoi predecessori. È un discorso che riaccende una questione vecchia di almeno dieci anni. Il Barcellona ha messo Messi al centro del villaggio da tantissimo tempo, da quando Guardiola decise di affidargli la numero dieci di Ronaldinho, e di allontanare il brasiliano per dare maggiori responsabilità al giocatore che avrebbe poi vinto cinque palloni d’oro. Ed è stato così con Luis Enrique, in una squadra diversa, che sapeva – e voleva – andare anche in transizione.

Nelle ultime stagioni il gioco dei blaugrana è cambiato ancora rispetto alla gestione dell’ex allenatore della Roma, lasciando anche il possesso agli avversari se necessario, per ordinarsi senza palla: qualcosa che in Catalogna non sembrava possibile. Lo ha spiegato anche Busquets a Sports Illustrated: «Il calcio è diventato molto più difficile e ricercato rispetto a dieci anni fa, tutti i nostri avversari sono più preparati tatticamente. Abbiamo dovuto adattarci, cambiando qualcosa nel nostro gioco». Il Barça si è evoluto, ha dovuto farlo, ma l’unica costante è la figura imperante di Messi come faro in mezzo al campo. Forse anche oltre i migliori interessi di squadra e giocatore: pur di mettere Messi nella sua comfort zone, Valverde ha finito per ragionare soltanto in funzione del suo talento, nella speranza che coprisse anche i limiti dei compagni e del sistema di squadra. Non è un caso che il punto di massima dipendenza del Barcellona nel suo rapporto con Messi sia arrivato in questa fase storica, con l’allenatore più pragmatico, più realista, che si sia insediato al Camp Nou negli ultimi anni.

Valverde si è accomodato sulla classe di Messi , e alla fine ha costruito una squadra incompleta. Quest’anno, poi, ha dovuto fare i conti con un’assenza più lunga del previsto del suo capitano, che finora ha giocato appena tre delle prime otto partite, nessuna per intero. Senza ulteriori alternative, l’allenatore basco ha provato a ridisegnare la sua squadra, che è tornata ad ordinarsi secondo alcuni principi del juego de posición propri della tradizione azulgrana. Senza Messi, il Barça cerca l’ampiezza sempre con almeno uno dei tre attaccanti e i due terzini, e lascia campo libero centralmente all’inserimento delle due mezzali. Questo approccio comporta dei rischi, soprattutto per gli scompensi che si creano in mezzo al campo quando la squadra non si muove con i giusti sincronismi e lascia Busquets troppo isolato – uno che se deve coprire ampie porzioni di campo non è necessariamente il miglior uomo possibile.

Messi in azione contro il Liverpool durante la semifinale della scorsa edizione di Champions League. Il Barcellona non centra l’accesso alla finale dal 2015, quando sconfisse la Juventus a Berlino (Oli Scarff/AFP/Getty Images)

Da oltre un anno il Barcellona sembra attraversare una fase di transizione. Solo che adesso i risultati non aiutano a legittimare l’operato di una società che, in estate, ha portato altri cambiamenti dall’alto, costringendo chi lavora sul campo – già ampiamente messo in discussione da media e tifoseria – a ricalibrare tutti i parametri per trovare un nuovo equilibrio. Nelle ultime sessioni di calciomercato la dirigenza catalana non aveva brillato nella campagna acquisti, e anche quando ha speso molto – come nei casi di Dembélé e Coutinho – non è stata particolarmente fortunata. Colpa, soprattutto, della difficoltà nel sostituire i campioni già in rosa, come ha spiegato anche il presidente Bartomeu: «Avevamo difficoltà a trovare giocatori disposti a trasferirsi perché l’alto livello tecnico della squadra li spaventava. Avevano paura di finire in panchina». Così la dirigenza, in estate, si è vista costretta a fare una scelta diversa dal solito, quasi fuori programma. Per provare tornare a vincere la Champions League negli ultimi anni di carriera di Messi, ha pensato di affiancargli il giocatore più forte che potessero acquistare. L’unico con uno status tale da non dover temere per il proprio posto da titolare. E alla fine ha portato in blaugrana Antoine Griezmann.

Ma questi problemi hanno avuto un riflesso anche sul settore giovanile, altro punto critico delle ultime stagioni. Da tempo il Barça non riesce a tirar fuori dalla Masia talenti in grado di competere per un posto da titolare in prima squadra – fatta eccezione per Sergi Roberto. L’ultima speranza è Ansu Fati, un teenager (16 anni) incredibilmente pronto per giocare tra i grandi, anche da titolare. Fin qui, uno dei pochi giocatori a disposizione di Valverde ad aver dato un valore aggiunto consistente all’inizio di stagione dei catalani.

Messi esulta dopo il gol realizzato dal compagno Arthur contro il Villarreal: è l’ultima partita giocata da titolare dal fuoriclasse argentino, che poi ha saltato la trasferta sul campo del Getafe (Lluis Gene/AFP/Getty Images)

È sempre più evidente che i problemi del Barcellona si risolveranno – del tutto, ma non necessariamente – solo quando Messi tornerà pienamente arruolabile, magari già dal match contro l’Inter. Sarà lui, la sua sola presenza in campo, prima di ogni altra cosa, a potenziare le qualità dei suoi compagni. Perché in questa squadra, così come è stata disegnata, tutto deve ruotare attorno alla sua figura. Nel bene e nel male, qualunque cosa comporti. Come dice Rory Smith sul New York Times: «Il vero dilemma è che la soluzione è indistinguibile dal problema».

In questo caso la partita con il Borussia è un momento particolarmente esplicativo, con la Pulce che va in campo nell’ultima mezz’ora, con «il Barcellona stava barcollando sotto i colpi dell’avversario, e così ha fatto quello che ha sempre fatto: ha guardato verso Messi nell’ora del bisogno. Questo è ciò che fa sempre, anche in quei momenti in cui il 10 appare (comprensibilmente) lento o fuori ritmo». Solo che con il passare del tempo questa strategia – descritta sempre da Rory Smith sul NYT – diventa meno consigliabile. Anche perché il tempo passa per tutti, anche per Messi. Verrà il giorno in cui Leo non sarà più in grado di trascinare il Barça alla vittoria, per stanchezza, infortuni o semplicemente perché si ritirerà. Verrà il momento in cui Messi da solo non potrà più mascherare i difetti del resto della squadra. Cosa succederà allora? Se a Barcellona pesano i primi problemi in questa fase di transizione, non vorranno sapere come sarà la vita dopo Messi.