Matteo Berrettini, energia per il tennis del futuro

Intervista al tennista italiano, ottavo nella classifica Atp: l'amore per il gioco, la sua evoluzione e quella del suo sport dopo l'emergenza.

Il tennis del futuro visto con gli occhi di Matteo Berrettini è già cominciato. Non ha mai smesso di allenarsi durante il lockdown, prima in Florida, poi in Francia. Il numero otto del mondo è stato tra i primi tennisti a scendere in campo, partecipando al primo circuito della stagione, l’Ultimate Tennis Showdown organizzato dall’accademia di Patrick Mouratoglou. Regole innovative: quattro “tempi” da 10 minuti, vince chi fa più punti e si serve due volte a testa. Coaching ammesso, ma solo in inglese: penalty point per chi parla in altre lingue e carte “abilità” per riequilibrare le partite. Un torneo esibizione che non si sa che sviluppi possa avere, ma che racconta chiaramente una cosa: la crisi Covid-19 e il lockdown conseguente hanno fatto ampliare la gamma delle evoluzioni possibili. Evoluzione è la parola chiave: il tennis di Berrettini l’ha sperimentata nella passata stagione in cui è cresciuto fino a entrare nella top ten, e lo connette al suo essere ambassador di Pulsee, il brand dell’azienda di energia Axpo che ha puntato su di lui già prima che fosse uno dei tennisti in maggior ascesa del circuito. Veloce, giovane, energico. Era giusto. E lo è ancora, perché l’essere diventato ciò che è oggi ha portato all’ennesima evoluzione.

Berrettini gioca per vincere. Sempre. «L’agonismo mi è mancato parecchio», racconta. «Per me è fondamentale la spinta alla ricerca del punto e della vittoria. A me piace giocare, più di ogni altra cosa, in qualsiasi contesto. È stato così durante la semifinale a Flushing Meadows ed era così da ragazzino quando giocavo con mio fratello su un campo in mateco». Giocare significa essere concentrati sul gioco e sulla sua evoluzione. La parola che torna: «Sono cambiato, ho capito come modificare la strategia e la tattica per arrivare al risultato». Un passo in più, avanti. Nei metodi di allenamento, nella concentrazione, nell’approccio. Il 2019 è stato un anno incredibile e se si chiede a Berrettini se in una stagione così è possibile avere anche qualche rimpianto, ti risponde in maniera sorprendente. «C’è sempre un rimpianto. Ma io ho capito che devo trasformarli in insegnamenti: penso alla sconfitta contro Federer a Wimbledon, o a quella contro Schwartzman a Roma. Avrei potuto fare di più, ma senza quelle partite non sarebbe arrivata la semifinale a New York o gli altri grandi risultati ottenuti».

I ricordi passano per la vittoria di Budapest o quella di Stoccarda sull’erba, così uno per uno i turni superati a Wimbledon prima e soprattutto a New York poi. Qui ci si ferma un secondo. Per un ragionamento tra passato e futuro: «Sappiamo che non ci sarà Wimbledon ed è un colpo per tutti i tennisti e gli appassionati. Ogni tanto viene da pensare: se salta il torneo più importante e simbolico la stagione è compromessa? Poi penso di no: tutti gli altri slam in qualche modo dovrebbero giocarsi e ciò significa che il tennis vuole esserci, vuole cercare una strada per trovare se stesso anche in una situazione complessa come questa. E per me questa, comunque vada, sarà una stagione importante: è il momento della conferma, voglio giocarmi le mie carte, voglio sentire la sfida con me stesso e con gli altri».

Ci saranno novità nel tennis del futuro. Berrettini ne è consapevole e quasi grato: «La prima cosa che cambierà per noi tennisti sarà una diversa gestione del tempo e del calendario. Sarà più compresso, ma omogeneo, per evitare viaggi troppo lunghi e quindi consentire di avere meno problemi». Come gli altri colleghi del circuito aspetta che l’Atp faccia comunicazioni ufficiali: «Siamo sicuri che stiano lavorando per far sì che questa esperienza porti novità organizzative in grado di resistere anche in altre situazioni di crisi. Sappiamo che ognuno ha esigenze diverse e che l’organizzazione è complessa. Noi giocatori dobbiamo fidarci, lo sport si è fermato perché c’erano altre priorità. Aspettiamo il momento giusto per tornare alla nostra competizione».

Quello che non vorrebbe che mancasse mai, Berrettini, è il pubblico. «Lo sport senza la gente che lo guarda dal vivo, che tifa, che vive la passione insieme a noi giocatori toglie tantissimo allo spettacolo. Spero che le porte chiuse siano una cosa temporanea e limitata. Il tifo è parte dello show». Energia, che poi è parte integrante dell’evoluzione. Dello sport e di tutto il resto.

Undici X Pulsee, dal n° 33 della rivista