È tornato il Manchester United?

Il lavoro di Solskjaer ha portato i suoi frutti, i Red Devils giocano un calcio brillante e sono di nuovo in Champions League. Ora, però, il modello del manager norvegese deve misurarsi a un livello superiore.

Nello sport, le classifiche hanno una funzione molto ambiziosa: restituire in maniera oggettiva una distanza che non è realmente misurabile, ovvero quella che intercorre tra due (o più) atleti nel caso delle discipline individuali, oppure quella tra due (o più) squadre negli sport collettivi. Nel calcio, poi, la componente episodica del gioco rende ancora più vacua la presunzione di infallibilità della classifica come scala di valori, soprattutto rispetto a misurazioni empiriche – per esempio i tempi del ciclismo, della corsa campestre o della Formula Uno, i metri percorsi da un giavellotto, i centimetri che separano la boccia dal pallino. Solo che dobbiamo necessariamente accontentarci, non esiste un metodo per poter sapere davvero qual è la squadra migliore di tutte; i punti in classifica sono l’unico indicatore possibile, e spesso finiscono per dire la verità, anche se si tratta di una verità inevitabilmente parziale, perché legata al caso.

Nel caso del Manchester United in Premier League, ci sono diversi modi di rintracciare la verità. Il primo, ovviamente, è passare attraverso il filtro della classifica: i Red Devils si sono qualificati alla Champions League giungendo terzi alle spalle del Liverpool e del Manchester City. Il secondo parametro è il tempo, per cui la lettura della classifica in progressione rende più piena, più profonda, questa verità, perché racconta la crescita progressiva del progetto dei Red Devils: la squadra di Solskjaer è entrata per la prima volta nelle prime quattro posizioni solo alla penultima giornata, dopo il pareggio per 1-1 contro il West Ham, e poi ha battuto il Leicester all’ultimo turno. Nonostante tutto questo, il terzo posto sembra tutto sommato meritato.

Questo sovvertimento delle posizioni in classifica, ma anche delle percezioni riguardo al Manchester United, al suo percorso in Premier League, è avvenuto così tardi, praticamente all’ultimo respiro, perché all’inizio della stagione le cose erano andate di nuovo male: anche quest’anno, per l’ennesimo anno, il progetto tecnico – e manageriale – dei Red Devils sembrava essere stato costruito sulla base del caos, senza una guida, senza una direzione precisa. I risultati a cavallo tra il 2019 e il 2020 (prima del Boxing Day lo United era ottavo in classifica, a Capodanno era a -14 dal Leicester City) parevano essere la certificazione definitiva dell’ennesimo fallimento, anche perché nessuno mostrava di comprendere la gravità della situazione, nessuno dava l’impressione di volersi imporre o avere gli strumenti per cambiare le cose: così, mentre la squadra di Solskjaer riusciva a farsi battere dal Bournemouth e dal Watford e dal Burnley a Old Trafford, il vice-presidente esecutivo Ed Woodward diceva che «la visione del Manchester United è estremamente chiara, soprattutto in termini di filosofia e acquisti concordati con il manager: il nostro obiettivo finale è vincere trofei giocando a calcio in maniera entusiasmante, con una squadra che fonde giocatori della nostra Academy con acquisti di livello mondiale».

Nessuno riusciva a credere in quelle parole in quel momento, dati e risultati alla mano nessuno poteva sentirsi autorizzato a farlo. Eppure è andata esattamente in questo modo. Mancano ancora i trofei – siamo in attesa di vedere come finirà l’Europa League – ma il programma presentato da Woodward è stato rispettato in tutti i punti: oggi il Manchester United non solo ha ha raggiunto la Champions League, ma gioca a calcio in maniera entusiasmante (dal primo febbraio a oggi ha perso una sola partita su venti, la semifinale di FA Cup, e ha segnato 44 gol), ha lanciato i migliori giocatori del suo vivaio, e alcuni sono delle vere e proprie pepite d’oro (Greenwood su tutti, ma anche Williams ha avuto il suo spazio) e ha concluso un acquisto di livello mondiale, che ha rivoluzionato, in meglio, la stagione dei Red Devils: ovviamente, stiamo parlando di Bruno Fernandes.

Proprio il grande impatto del centrocampista portoghese sull’intero ecosistema del Manchester United deve invitare a una riflessione profonda, seria, cioè senza preconcetti, sul lavoro di Solskjaer: se è vero che un giocatore, da solo, non può avere il potere di cambiare il destino di un club, e se è vero che l’inserimento di Bruno Fernandes è riuscito a rivitalizzare il Manchester United, trasformandolo in una squadra efficace e bella da vedere, è inevitabile pensare che il sistema costruito da Solskjaer prima dell’arrivo di Bruno Fernandes fosse solo incompleto, ma potenzialmente valido. Secondo l’analisi di Jonathan Wilson su Sports Illustrated, l’ex centrocampista dello Sporting Lisbona era semplicemente «l’anello mancante, il giocatore con la creatività necessaria perché lo United potesse finalmente collegare il centrocampo ai suoi attaccanti tecnici e rapidi».

È come se il fuoco del Manchester United stesse bruciando sotto la cenere, e allora doveva arrivare Bruno Fernandes per spazzare via quella cenere, per mostrare a tutti gli altri, a tutti noi, i tizzoni ardenti di un progetto tattico finalmente coerente con le caratteristiche dei giocatori in rosa, con le ambizioni e il blasone del club, con l’evoluzione del contesto esterno, dopo anni passati a rincorrere l’utopia di un Ferguson-bis, con Moyes, poi le alchimie irrealizzabili di van Gaal, e ancora le anacronistiche guerre emotive di Mourinho. Solskjaer, forse, non ha fatto altro che ragionare secondo la logica semplice e semplificata del Meccano: ha avuto un’idea, ha messo tutti i pezzi sul tavolo, ha trovato loro un posto, infine ha scelto le congiunture giuste. Così è riuscito a esaltare una difesa dinamica e aggressiva fondata su Wan-Bissaka e Maguire, un duo di centrocampo bilanciato tra l’intelligenza di Matic e il dominio tecnico e atletico di Pogba, tre attaccanti come Martial, Rashford e Greenwood, che non danno punti di riferimento agli avversari ma sanno dare del tu al pallone, pure se corrono davvero veloce. Più Bruno Fernandes, fin da subito a suo agio come organizzatore e rifinitore della fase offensiva.

Con i suoi 22 gol stagionali in tutte le competizioni, Anthony Martial – insieme con Marcus Rashford – è il miglior marcatore stagionale del Manchester United (Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

Questa idea di normalizzazione è stata estesa anche a tanti altri aspetti del progetto tecnico del Manchester United. Solskjaer, per esempio, non ha demolito completamente la struttura messa in piedi dal suo predecessore, José Mourinho, piuttosto ha deciso di sfruttarla a suo vantaggio: tra i suoi assistenti ci sono Michael Carrick e Kieran McKenna, il primo non ha bisogno di presentazioni, è stato centrocampista e anima dello United durante l’era Ferguson, mentre il secondo è uno dei tecnici giovanili più apprezzati – ma anche controversi – d’Inghilterra, ha allenato l’Under 18 dei Red Devils dal 2016 al 2018 e poi Mourinho ha deciso di promuoverlo, di farlo lavorare con la prima squadra.

Oggi entrambi sono dei punti di riferimento importanti, The Athletic ha spiegato in questo articolo che Carrick è estremamente apprezzato dai giocatori della rosa per la sua comprensione del gioco, per la grande attenzione che dedica alle sessioni individuali; una fonte interna al club ha dichiarato che Carrick «è ancora eccezionale come calciatore, e allora pungola i suoi ex colleghi durante gli allenamenti; per esempio, effettua dei passaggi incredibili tra due difensori, così Pogba, Fred e tutti gli altri si impegnano per imitarlo, non vogliono dare l’impressione che un coach possa essere più bravo di loro». McKenna, invece, cura soprattutto la preparazione tattica, e la sua influenza si sente anche nell’Academy, che poi è il suo ex posto di lavoro: grazie alla sua mediazione,  molti giovani hanno avuto un accesso facilitato tra i senior, così si sono ritrovati a giocare in una squadra che in pratica conoscevano già, e che quindi gli ha permesso di imporre fin da subito le loro qualità.

Solskjaer ha guidato lo United dalla panchina per 87 partite: il suo score è di 49 vittorie, 19pareggi e 19 sconfitte (Stu Forster/Getty Images)

Al netto delle narrazioni semplicistiche e superficiali per cui Solskjaer sta solo cercando di ripetere il percorso di Ferguson, è impossibile non notare come il suo modello di lavoro segua l’approccio del leggendario manager scozzese. Va detto, però, che quegli stessi metodi sono stati finalmente volti al tempo presente, sul campo di allenamento, su quello da gioco ma anche nella dialettica con i giocatori. Il regime di Sir Alex a Old Trafford era totalitario, qualche tempo fa Gary Neville ha raccontato che «tutti coloro che mettevano anche solo minimamente in dubbio la sua leadership, o che si pensava avessero potuto farlo, erano destinati alla cessione». Oggi i rapporti di forza tra tecnico e giocatori sono molto diversi, e allora Solskjaer si rivolge in maniera più furba ai suoi uomini, li responsabilizza dopo aver creato il contesto migliore per loro, a livello tattico e di rapporti interni. «Giochi nel club più grande e importante del mondo, puoi rapportarti con me e con un team di grandi professionisti di grande livello: sei un atleta privilegiato, quindi hai il dovere di restare in forma, anzi devi provare il piacere di farlo, di prenderti cura di te, anche se per due o tre mesi non potrai allenarti con i compagni. Altrimenti, quella è la porta», ha detto il manager norvegese a chi gli chiedeva come avrebbe approcciato il delicato periodo del lockdown.

Questo messaggio, così come tanti altri inviati da Solskjaer in questa stagione, è decisamente significativo anche se è stato espresso con toni pacati. È evidente che il manager norvegese sia cresciuto in sicurezza e in autorevolezza, il suo atteggiamento ora è basato su risultati concreti, quindi sulla certezza – non più solo virtuale – che il progetto di sviluppo della squadra stia andando nella giusta direzione. La risposta dell’organico – si pensi in primis a Paul Pogba, per cui si parla di rinnovo fino al 2025 – è stata positiva, in campo e non solo: oggi il Manchester United non è più un gruppo di giocatori assemblato in base agli umori del momento, piuttosto una squadra costruita attorno a un’idea di gioco, etica e di immagine piuttosto chiara. In questo senso, le rinunce a Sánchez e Lukaku durante il mercato estivo del 2019 hanno avuto un significato ben preciso, inizialmente non compreso da tutti.

Scott McTominay è il terzo giocatore cresciuto nel vivaio dello United più utilizzato da Solskjaer, dopo Rashford e Greenwood: il minutaggio del centrocampista scozzese è di 2.363′ in tutte le competizioni, con cinque reti segnate (Clive Brunskill/Getty Images)

Subito dopo la vittoria decisiva contro il Leicester, Espn ha scritto che «la vera ricostruzione del Manchester United comincia adesso». L’articolo parla soprattutto di mercato, del fatto che la squadra di Solskjaer debba essere potenziata con acquisti di primo livello – Jadon Sancho è il grande obiettivo per la stagione che sta iniziando – perché possa davvero essere competitiva in Premier e Champions League. È un concetto condivisibile, considerando che le alternative in panchina – Pereira, Bailly, Rojo, Lingard, Ighalo – non sono dello stesso livello dei titolari, ma in qualche modo può valere anche per la dirigenza. La questione riguarda la suddivisione dei ruoli più che le pure scelte strategiche: il Manchester United non ha un Director of Football, la gestione del club impostata da Ed Woodward dopo l’addio di Ferguson prevede che tutte le scelte strategiche siano ratificate dal vice-presidente esecutivo dopo la valutazione dello staff tecnico e dei componenti del reparto scouting (guidato da Marcel Bout); è un sistema un po’ collegiale e un po’ verticistico, in cui il ruolo di Solskjaer è ancora vasto e inevitabilmente ibrido, quindi l’influenza del manager, ma anche le sue responsabilità, sono maggiori rispetto a quelle di Guardiola o Lampard – giusto per fare qualche esempio in Premier League.

Il sistema della supervisione onnisciente, delle deleghe, del rapporto diretto con il board, sta funzionando, sul campo come nel calciomercato – oltre Bruno Fernandes, anche le altre operazioni in entrata, Maguire, Wan-Bissaka, James, hanno avuto un impatto positivo. Ma ora gli obiettivi devono diventare necessariamente più ambiziosi, lo impongono la storia e il blasone e la ricchezza dello United, lo richiedono la Champions ritrovata e il contesto ipercompetitivo della Premier League, anzi lo stesso modello varato da Solskjaer merita di misurarsi a un livello più alto dopo un avvio incerto e uno sviluppo più che positivo, che ha riportato i Red Devils dentro il loro habitat naturale, e soprattutto nell’era contemporanea del calcio.