«Se prima avevamo un sogno, oggi abbiamo un obiettivo». Le parole di Andrea Agnelli nel dopopartita fotografano quanto per la Juventus l’eliminazione contro il Lione non sia solo un’enorme delusione. È qualcosa di anomalo: una delle migliori squadre d’Europa, con il potenziale e un percorso alle spalle che legittimano la candidatura alla vittoria della Champions, non può uscire agli ottavi di finale della competizione, per di più contro un’esponente della middle class europea, non certo della nobiltà. Non è però una questione di prestigio, o di perderci la faccia: tutto sta nello status acquisito in questi ultimi anni dalla Juventus, finalista in due occasioni, in grado di giocarsela alla pari e di eliminare superpotenze come Real Madrid o Barcellona, una squadra costruita per arrivare il più in alto possibile con capacità, competenze, idee. Tutto nel migliore dei modi: tornare a vincere la Champions sembrava fosse solo questione di tempo.
Poi è arrivata, lo scorso anno, l’inaspettata eliminazione contro l’Ajax ai quarti: è stato il primo vero flop della Juventus con Allegri in panchina. Il rapporto con il tecnico, di fatto, si è interrotto lì, o almeno per quella sconfitta: la Juve ha cercato un allenatore in grado di far esprimere la squadra in modo diverso, più organizzato. La scelta di Sarri sembrava aderire a questo proposito. Eppure, un anno dopo il bilancio europeo è ancora più deludente e, soprattutto, la trasformazione desiderata non c’è stata. Un dato su tutti: nelle sei partite a eliminazione diretta di Champions, tra Allegri e Sarri, sono arrivati sette gol di Cristiano Ronaldo. E zero del resto della squadra.
Questo non vuol dire che Sarri non sia un tecnico all’altezza, o un profilo sbagliato per la Juventus. Bisogna andare oltre il chiacchiericcio ed evidenziare come l’attuale tecnico bianconero si sia meritato una chiamata così importante. Il problema sta nel tipo di contesto che ha trovato: una squadra costruita per altri allenatori, non per lui. Ci sono fin troppi giocatori che non aderiscono alla sua idea di calcio, al punto da fargli dire, in una conferenza stampa di febbraio: «La Juve non giocherà mai come le mie altre squadre del passato. Sto cercando di adattarmi a certe caratteristiche, non avrei mai dato in altre squadre la libertà offensiva così come a Dybala. Un collettivo come le mie altre squadre non lo vedrete mai».
C’è stato un errore di “sopravvalutazione” da parte della società bianconera, di Sarri o dei giocatori: nessuno si aspettava di rivedere il Napoli di qualche anno fa, ma è evidente che, con il materiale a disposizione, la Juventus non riesca ad andare oltre alla versione vista finora. Che è troppo poco. Dopo una stagione intera, è difficile aspettarsi miglioramenti sotto il punto di vista del gioco, o quantomeno di un’espressione più “corale” della squadra. Perciò alla Juventus, in queste ore, non si sta decidendo solo il futuro di Sarri: si sta decidendo se rimanere fedeli a una certa idea di progetto tecnico, oppure sposarne un altro e rivoluzionare tutto.
Lo stesso Agnelli ha sottolineato come la Juve abbia «una delle rose più vecchie d’Europa, questo può essere un elemento di riflessione», e in questo senso le operazioni già chiuse di Arthur e Kulusevski, dopo quella di de Ligt dello scorso anno, fanno capire come ringiovanire la rosa sia una delle esigenze della società. Saranno anni importanti, per la Juventus: c’è un progetto importante, una dirigenza fenomenale, un vantaggio economico sul resto delle realtà italiane. Bisognerà mettere a frutto questa situazione, ma bisognerà anche decidere quale strada intraprendere.
Però occorre anche rimanere con i piedi per terra: i catastrofismi sono fuori luogo. La Juventus ha vinto ancora una volta il campionato, estendendo un dominio che anche quest’anno, con una concorrenza cresciuta quantitativamente e qualitativamente, sembrava intaccabile. Il senso di una superiorità tecnica e progettuale non viene intaccato da una precoce eliminazione di Champions. Uscire contro il Lione non significa la fine di un’epoca: significa dover riconsiderare alcuni aspetti perché l’anno prossimo, e nei successivi, non ricapiti più una débâcle del genere.