Non è difficile spiegare come e perché “la spalla di Ronaldo” sia diventata una delle principali chiavi di lettura del mercato della Juventus, se non addirittura l’unica dell’esperienza del fuoriclasse portoghese nel calcio italiano. Anche dopo la stagione che ha segnato il ritorno agli standard realizzativi toccati nelle migliori annate al Real Madrid – 37 gol in 46 presenze dopo i 28 in 43 del 2018/2019 – la sensazione comune è stata quella di una Juventus che ha reso al di sotto delle aspettative perché non è stata in grado di sfruttare al massimo le qualità del portoghese, un fuoriclasse messo al centro di tutto penalizzato però dall’assenza di un compagno di reparto davvero adeguato alle sue caratteristiche.
Rintracciare e acquistare un attaccante del genere, che soddisfi sia i parametri di campo che quelli economici, è una questione molto più complessa di quello che sembra, e va oltre il nome che occorrerebbe inserire in organico per affiancare Ronaldo. Anche perché vanno considerati diversi aspetti, prima di tutto l’impatto e la centralità che Ronaldo stesso è in grado di avere all’interno del contesto squadra, ma anche il tipo di giocatore, anzi il tipo di punta che è diventato nella terza fase della sua carriera. Dall’arrivo di Zidane sulla panchina del Real Madrid la trasformazione di Cristiano in un centravanti d’élite si è compiuta definitivamente all’interno di un sistema liquido in cui il numero 7, partendo dall’amata zona sul centro-sinistra, poteva scegliere di occupare l’area tagliando verso il centro dal lato debole o associandosi con Benzema; il modulo era un 4-3-3 “spurio” che si trasformava in un 4-3-1-2 o in un 4-4-2 a seconda della posizione occupata da un terzo giocatore, solitamente Isco, in fase di possesso. Una soluzione vincente, che ha permesso a Ronaldo di allungare la sua carriera ad altissimi livelli, e a Benzema di diventare il giocatore perfetto per giostrare accanto al portoghese, il parametro di riferimento per chiunque voglia parlare della “spalla di Ronaldo”, grazie alle sue qualità in rifinitura, alla sua capacità di leggere in anticipo lo spazio da attaccare con e senza palla.
Per questo, in assenza di un giocatore di questo tipo e di questo calibro, la prima parte dell’avventura italiana di Ronaldo è coincisa con una serie di esperimenti effettuati da Massimiliano Allegri per mettere il portoghese nelle condizioni di rendere al meglio. Contro il Chievo, nella gara d’esordio del campionato 2018/2019, il tecnico livornese schierò un 4-2-3-1 ultraoffensivo con il tridente Cuadrado-Dybala-Douglas Costa ad agire alle spalle del portoghese; partendo da questa disposizione in campo, la Juventus tentò un’inedita esplorazione dei principi dell’attacco posizionale, con la ricerca dell’ampiezza alternata all’occupazione degli spazi intermedi da parte dei trequartisti alle spalle delle prime due linee di pressione avversaria.
Tuttavia l’estrema porosità e l’eccessiva distanza tra i reparti in fase di non possesso spinsero Allegri a passare ad un 4-3-3 in cui Mario Mandzukic era il compagno di linea di Ronaldo. Il croato, però, era anche l’equilibratore dell’intera fase offensiva, infatti era chiamato a un duplice sforzo: tenere impegnati i centrali avversari per permettere al portoghese di tagliare da sinistra verso il centro palla al piede, e poi surrogarsi le mansioni di esterno “tattico” affinché la relativa passività di CR7 nel pressing non creasse eccessivi scompensi in fase di non possesso. Il progressivo scadimento di forma del croato e le ottime prestazioni della Juventus contro il Manchester United nei gironi di Champions League – due partite giocate con il tridente Dybala-Ronaldo-Cuadrado – consigliarono ad Allegri di lavorare a una squadra ibrida: l’idea del tecnico livornese era quella di dominare il campo consolidando il possesso e di scompaginare le difese avversarie grazie alla fluidità offensiva garantita solo dai movimenti degli stessi Dybala e Cuadrado, allora Mandzukic era spesso titolare ma i bianconeri riuscivano a creare un certo numero di occasioni da gol solo quando lo stesso Cuadrado o Bernardeschi (oppure, più raramente, Douglas Costa) subentravano a gara in corso, alzando ritmo e intensità della manovra.
Il più penalizzato da questa situazione fu proprio Ronaldo. L’attaccante portoghese, seppur maggiormente coinvolto nello sviluppo dell’azione – 1,7 passaggi chiave di media a partita sui quasi 36 effettuati ogni 90’, rispetto agli 1,3 e 28 dell’ultima stagione madrilena – a fine anno risultò molto meno efficace nella finalizzazione, come dimostrano i dati relativi al volume e alla qualità delle conclusioni effettuate: a fronte di quasi un tiro in meno di media a partita (5,5 rispetto ai 6,6 del 2017/2018), risultavano calate drasticamente le conclusioni tentate negli ultimi 16 metri (2,5 ogni 90’); nel frattempo, erano aumentati i tiri scoccati fuori dall’area di rigore (2,2 a fronte dell’1,4 registrato tra il 2016 e il 2018).
A giugno 2019, Sarri diventa allenatore della Juventus e allora si assiste a una sorta di ritorno al passato. Preso atto dell’impossibilità di poter disporre con continuità di Ramsey e Douglas Costa, i due giocatori originariamente deputati a svolgere il ruolo di trequartista alle spalle delle due punte, l’ex tecnico del Chelsea confeziona su misura per Dybala un ruolo “alla Isco” con ampia libertà d’azione tra le linee, mentre compiti e funzioni di Benzema vengono assegnati a Higuaín, tecnicamente più adatto di Mandzukic nel mettersi a disposizione di Ronaldo con una certa dimensione creativa. In realtà chi riesce a sviluppare un’intesa efficace con il portoghese è Dybala. Sarri, perciò, riprende dal playbook di Zidane anche la soluzione del 4-3-3 mascherato da 4-4-2, con Bernardeschi o Douglas Costa terzo d’attacco o quarto di centrocampo e la coppia Ronaldo-Dybala davanti a creare le connessioni per lo sviluppo della manovra tanto in ampiezza quanto in profondità. Da questo punto di vista i numeri sono di livello assoluto: cinque dei 12 assist stagionali di Dybala sono stati per Cristiano Ronaldo; inoltre, nel post lockdown, sono state quattro le gare consecutive in cui hanno segnato entrambi e otto quelle in cui almeno uno dei due ha trovato la via della rete.
Le difficoltà della Juventus nel finale di stagione, culminate nell’inattesa eliminazione contro il Lione hanno alimentato le speculazioni secondo cui a Ronaldo serva un “centravanti d’area” come partner d’attacco: una definizione ancor più vaga e superficiale di quella di “spalla”. Soprattutto nel momento in cui l’elenco dei papabili si compone di tanti giocatori, ma tre sono i nomi più ricorrenti: Dzeko, Suárez e Milik. Questi (presunti) obiettivi di mercato della Juventus sono accomunati dal loro vissuto, dal loro ruolo di complemento rispetto ad altri attaccanti accentratori come Salah, Messi e Mertens, ma in realtà molto diversi tra loro. Se ne facciamo una questione di efficace occupazione dell’area di rigore e di aderenza alla caratteristiche del Ronaldo delle ultime stagioni – un attaccante che parte da sinistra per poi entrare dentro il campo – puntare su Dzeko sarebbe la scelta più logica. Il bosniaco non solo è reduce dalla sua miglior annata italiana dal punto di vista della rifinitura e della creatività (otto assist decisivi e 1,5 passaggi chiave di media a partita) ma è anche il più vicino all’ideale di giocatore complementare a Ronaldo per la capacità di facilitare la risalita del campo per vie centrali, per la qualità nell’ultimo passaggio leggendo il movimento in profondità del compagno di reparto.
Suárez, da questo punto di vista, ha un modo diverso di occupare e attaccare e liberare gli spazi: l’uruguaiano, infatti, è un giocatore che si mette meno al servizio della squadra, non che non abbia la qualità per farlo, solo che preferisce fare uno o due movimenti in meno quando il pallone è lontano; solo in una fase successiva della manovra l’uruguagio attacca la difesa avversaria in verticale, apre il campo ai compagni, oppure si pone come scarico per le combinazioni strette. Il suo gioco è fatto su misura per un compagno come Messi, che ama ricevere il pallone tra i piedi in zona centrale, lontano dalla porta; in certe condizioni, Ronaldo sarebbe costretto a partire ancor più defilato rispetto all’area di rigore, e ciò determinerebbe un dispendio di energie non più sostenibile nell’arco di un’intera stagione da parte del portoghese. Perciò, se proprio dovesse essere scelto un attaccante “verticale”, forse sarebbe più semplice e immediato puntare su profili come Morata o Cavani – tra l’altro anche più “spendibili” nella pura fase di pressing difensivo. Le perplessità su Milik, invece, riguardano essenzialmente la sua tendenza a svolgere quei compiti di raccordo e di creazione delle connessioni tra centrocampo e attacco che appartengono già a Dybala, e che lo renderebbero, quindi, un giocatore di rotazione più che il partner perfetto del portoghese.
Ciò che resta è l’idea per cui il rendimento offensivo della Juventus – e di Ronaldo – possa crescere solo attraverso l’arrivo di un altro attaccante. È una considerazione viziata da quanto abbiamo visto in passato, secondo cui il “Ronaldo centravanti” riesca a manifestarsi al meglio delle sue possibilità solo accanto a un “9/10”, a un giocatore come Benzema; oppure, in alternativa, a una prima punta in grado di aprirgli gli spazi in un certo modo, a costo di rimodulare le sue caratteristiche di base. In realtà Ronaldo ha dimostrato che la sua efficacia offensiva come prima opzione realizzativa della Juve non possa essere messa in discussione, ed è un concetto valido dal punto di vista numerico – sono 65 i gol in 89 gare con la Juve – ma anche emotivo. E alla Juve Bezema non c’è, non c’è mai stato, e al momento non ci sono grandi segnali perché le cose possano cambiare a breve. Viene da chiedersi, perciò, se non sia il caso di lavorare su un sistema in grado di sfruttare al massimo le qualità del Ronaldo 35enne a prescindere da chi sarà chiamato a giocare con e per lui. Perché di Benzema ce n’è uno solo. E non è duplicabile.