Il Clásico di sabato 24 ottobre 2020 non sarà come tutti gli altri. È inevitabile: in un Camp Nou ancora completamente deserto – il governo spagnolo, di comune accordo con la comunità catalana, per ora non ha sbloccato la situazione relativa all’ingresso dei tifosi negli stadi – si sfidano infatti due squadre che in questo momento stanno affrontando una crisi di risultati e forse anche di identità. Da una parte c’è il Barcellona, reduce da un’estate folle e da una partenza in Liga abbastanza contraddittoria; dall’altra, invece, il Real Madrid, che in questo avvio di stagione sta dimostrando di non aver ancora trovato la quadra definitiva, nonostante il finale in crescendo dell’annata 2019/20. Sul tavolo ci sono quindi tre punti che sarebbero fondamentali per entrambe le squadre, reduci peraltro da un turno di Champions League piuttosto interlocutorio: gli azulgrana di Koeman si sono sbarazzati facilmente (5-1) del modesto Ferencvaros, ma hanno palesato alcune carenze difensive già intraviste nelle gare giocate in Liga; il Real Madrid ha perso in casa (2-3) contro gli ucraini dello Shakhtar Donetsk, in un match totalmente dominato per circa un’ora dai ragazzi di Luis Castro; pochi giorni prima, contro il Cadice, un’altra sconfitta casalinga con risultato diverso (0-1)
Questo avvio è il frutto di un’estate a dir poco anomala: il poco tempo intercorso tra la fine della scorsa Liga e l’inizio della nuova stagione, insieme alla crisi economica dovuta alla pandemia, hanno spinto Barcellona e Real Madrid a fare dei profondi ragionamenti di sistema. Chiamatela austerity, spending review o semplicemente “andare al risparmio”: fatto sta che, dalle parti del Camp Nou e del Bernabéu, i dirigenti hanno dovuto fare i conti con grossi problemi finanziari, figli principalmente del recente lockdown, che hanno consigliato di cambiare la politica attuata negli ultimi anni. Il Barcellona, per esempio, si è visto costretto a mettere in atto una vera e propria rivoluzione, cominciata con il benservito dato a Quique Setién – il tecnico di Santander era subentrato a Valverde, esonerato a Natale 2019 – e proseguita con la nomina di Ronald Koeman, uno che l’ambiente blaugrana lo conosce molto bene per averlo frequentato da calciatore, agli inizi degli anni Novanta.
Il Barcellona ha poi dato il via a un processo di abbattimento massiccio del monte ingaggi, cedendo – anzi, in pratica regalando – diversi big, giocatori che negli ultimi anni hanno scritto un pezzo di storia del club. Il caso più eclatante è stato quello legato a Luis Suárez, messo alla porta e accasatosi successivamente all’Atletico Madrid, dopo aver “annusato” il trasferimento alla Juventus. L’uruguaiano, di fatto, è stato pagato per andarsene. E lo stesso è successo con Ivan Rakitic, Arturo Vidal e Nelson Semedo. Poi, per attuare il classico gioco delle plusvalenze, il Barcellona ha imbastito una doppia operazione con la Juventus, che ha portato in Catalogna Miralem Pjanic e ha indirizzato Arthur Melo verso Torino. Insomma, il Barça ha vissuto una vera e propria smobilitazione, tanti cambiamenti portati avanti nonostante il caso Messi non sia stato ancora totalmente archiviato, nonostante le scorie della disfatta estiva in Champions contro il Bayern restino ancora da assorbire; inoltre la dirigenza ha dovuto e dovrà gestire una profonda spaccatura nello spogliatoio dovuta alla nuova politica per gli stipendi, e in più ci sono le elezioni presidenziali alle porte – dalle quali l’attuale numero uno del club Bartomeu uscirà quasi sicuramente con le ossa rotte.
In questo scenario, il Barça si è visto quasi costretto a puntare su una folta schiera di giovani, destinati a giocare il Clásico da protagonisti. E, paradossalmente, è proprio questa peculiarità a rappresentare il perfetto trait d’union tra il club catalano e il Real Madrid. Già, perché anche a Valdebebas e dintorni in estate sono state fatte scelte abbastanza forti. La vera notizia è che Florentino Pérez ha pensato solo al mercato in uscita: dopo aver incassato dal Milan i soldi per il riscatto di Theo Hernández, ha ceduto Sergio Reguilón e Óscar Rodríguez, rispettivamente al Tottenham e al Siviglia, e ha spedito Achraf Hakimi all’Inter in cambio di 40 milioni di euro, facendo così respirare – almeno parzialmente – il bilancio. In entrata, invece, non è stato fatto nulla. Volutamente, verrebbe da dire, vista l’enorme mole di investimenti che le merengues hanno avuto modo di perfezionare negli ultimi anni. Proprio come successo più recentemente per il Barcellona, infatti, anche il Real Madrid ha pronta un gruppo di giovani talenti da lanciare nella mischia. E, proprio per lo stesso motivo, negli scorsi giorni il quotidiano spagnolo Marca ha ribattezzato la sfida al Barça come ” El Clásico de los pibes”, dei ragazzini.
Uno dei talenti più interessanti veste la maglia dei Blancos, è norvegese e arriva da una stagione di ottimo livello. Si chiama Martin Odegaard, e il Real Madrid aveva speso meno di tre milioni di euro per acquistarlo nel 2015, quando aveva solo 16 anni. Tatticamente, Odegaard può muoversi su varie mattonelle di campo e, di conseguenza, fornire più soluzioni a partita in corso. Nei due match giocati contro Betis e Valladolid, il norvegese ha mostrato un particolare feeling con Federico Valverde, altro calciatore in cui il Real Madrid ha sempre creduto. Uruguaiano classe 1998, proprio come il suo socio scandinavo, è considerato centrale nel progetto di Zidane, tanto che, già nella scorsa stagione, il tecnico francese ha più volte cambiato sistema di gioco per farlo coesistere con il trio storico Casemiro-Modric-Kroos. Valverde in realtà trova collocazione ovunque, da centrocampista centrale, da trequartista (adattato) o da mezzala, preferibilmente sulla destra. La sua crescita esponenziale è confermata dai numeri: nella stagione 2019/20 è stato uno dei migliori interdittori della Liga, infatti ha chiuso il campionato con 1.2 tackle a partita e due contrasti vinti di media ogni 90 minuti.
Di recente, però, il Real Madrid ha particolarmente intensificato i rapporti con il Brasile, investendo 120 milioni per l’acquisto di Vinícius Junior, Rodrygo e Reinier, tre dei talenti sudamericani più promettenti e cristallini, che insieme arrivano a malapena a 57 anni d’età. Il primo è già un assiduo frequentatore della prima squadra da più di un anno: a lanciarlo fu Julen Lopetegui, che durante la sua (breve) esperienza sulla panchina dei merengues gli regalò la possibilità di approcciarsi a un calcio differente e superiore rispetto a quello brasiliano. Rodrygo, invece, ha un po’ sfruttato l’onda di hype tracciata dal suo predecessore per quanto, a livello di precocità, il “meninos da Vila” non abbia proprio nulla da invidiare a Vinicius. Zidane, che per lui stravede, lo sta dosando e sgrezzando in più situazioni: per esempio, pur nascendo esterno destro, è stato dirottato spesso sulla fascia opposta o, all’occorrenza, utilizzato come punta. Reinier, infine, è il più giovane del lotto: classe 2002, è stato spedito in prestito al Borussia Dortmund per essere testato a livello europeo, ma il materiale – assicurano dalle parti di Valdebebas – è di assoluta qualità.
Suo coetaneo, ma già estremamente più formato a livello continentale, è Ansu Fati. Sul talento del Barcellona, originario della Guinea-Bissau, si sono già scritti fiumi di parole: ciò che sorprende, oltre ovviamente a una precocità che gli ha permesso di inanellare record su record, sono la maturità e la naturalezza con le quali si muove in campo. Per Valverde era un potenziale titolare, con Quique Setién si è confermato: ora, sotto la direzione di Koeman, sembra essere diventato una risorsa irrinunciabile. Fati parte largo a sinistra e sprigiona al meglio tutte le doti fisiche donategli da Madre Natura: segna tanto – già quattro gol in cinque presenze stagionali – e fa segnare, ma soprattutto si completa a meraviglia con gli altri elementi del reparto offensivo disegnato dall’olandese. In virtù di tutto questo, è probabile che giocherà da titolare in un Clásico che, se le cose dovessero andare per il verso giusto per lui e per il Barça, potrebbe rappresentare una vera e propria consacrazione.
Tra i calciatori in cerca di uno spazio troviamo anche Pedri, il cui acquisto – per cinque milioni di euro versati al Las Palmas – è passato un po’ sotto traccia, anche perché la sua presentazione alla stampa è avvenuta proprio nei giorni del “Messi Gate”. Il paradosse è che forse è stato meglio così: per confermare le ottime cose fatte intravede in Segunda División con la sua ex squadra, Pedri infatti ha bisogno di tempo. In questi giorni, alcuni giornali catalani hanno ipotizzato un suo impiego – o meglio, un processo di crescita – “alla Iniesta”, che lo trasformerebbe da esterno sinistro a mezzala box to box. Pedri, infatti, nasce come laterale offensivo ma ha sempre evidenziato una forte tendenza a riempire il campo, oltre a una particolare inclinazione per i ripiegamenti difensivi.
Negli stessi giorni in cui i blaugrana annunciavano Pedri, Francisco Trincão cominciava a familiarizzare con i suoi nuovi compagni. Portoghese, classe 1999, è stato il protagonista di un’ascesa tanto improvvisa quanto impattante: il Barcellona lo aveva già bloccato durante lo scorso mercato invernale, quando Trincão stava facendo fuoco e fiamme con la maglia del Braga. La sua grande fortuna è stata quella di intrecciare il proprio percorso a quello di Rubén Amorím: l’attuale allenatore dello Sporting Lisbona, sedutosi lo scorso anno sulla panchina degli arsenalistas, lo aveva ripulito da ogni compito difensivo, rendendolo micidiale negli ultimi venti metri di campo. In Catalogna, Trincão è approdato dopo una stagione da nove gol e 13 assist decisivi. Numeri importanti, che lo rendono una risorsa di livello sulla quale Koeman, per ora, ha però puntato solo a singhiozzo.
Infine, nel Barcellona c’è anche Sergiño Dest, l’arrivo last minute del mercato estivo. L’inserimento dell’americano ex Ajax è ancora in fase embrionale: vero che ha già giocato tre partite da titolare, tutte nel ruolo di terzino sinistro. L’assenza prolungata di Jordi Alba e la totale mancanza di fiducia in Junior Firpo, d’altronde, hanno obbligato Koeman a sceglierlo come alternativa temporanea sull’out mancino. Contro il Siviglia ha fatto intravedere cose interessanti, col Getafe ha evidenziato qualche problema in più in fase di contenimento mentre il test col Ferencvaros, per ovvi motivi, non può che fornire indicazioni limitate.
Alla luce di tutto questo, si può quasi certamente affermare che Barcellona e Real Madrid, in questo preciso momento storico, rappresentino un po’ due facce della stessa medaglia. Vivono progetti che oggi, per cause differenti, collimano e probabilmente procederanno in parallelo per qualche tempo – in attesa di capire se, ma soprattutto quando, le due società potranno tornare a fare la voce grossa sul mercato. L’enorme differenza risiede però nel percorso fatto per arrivare fin qui. Il Barcellona, infatti, ha sbagliato la maggior parte degli acquisti degli ultimi cinque anni: le ultime dieci campagne acquisti sono costate più di un miliardo di euro, cifre folli che non solo non sono servite per tornare a vincere in Europa – l’ultimo successo, infatti, rimane la Champions League del 2015 con Luis Enrique in panchina – ma hanno dato la mazzata finale ai conti di una società già oberata dai debiti.
Il Real Madrid, invece, si è autoinflitto una sorta di stand-by durante il quale potrà valutare con precisione se gli investimenti degli ultimi anni potranno rendere secondo i parametri di spesa. Il plus del Real Madrid rispetto ai rivali storici risiede nell’ambiente: durante il lockdown, mentre in Catalogna volavano gli stracci, Zidane ha alzato un muro invalicabile per stampa e tifosi. Ha lavorato a stretto contatto con la squadra, chiarendo a quattr’occhi le posizioni di ogni singolo calciatore. Probabilmente, Florentino lo aveva già informato che sul mercato non si sarebbe mosso nulla, e allora Zizou ha agito in anticipo per capire su quali profili avrebbe potuto contare da settembre in poi. E, a posteriori, si può dire che la strategia abbia funzionato: nonostante qualche battuta d’arresto di troppo, il Real attualmente sembra essere più squadra rispetto al Barça, la sensazione è che nel Real i giovani vanno in campo perché lo meritano davvero, perché questa è stata la scelta fatta della società, ben prima e poi alla vigilia di questa stagione così anomala; al Barcellona, invece, quegli stessi giovani sembrano esser l’ultima risorsa alla quale avvinghiarsi, dopo anni di improvvisazione e malagestione, per provare a salvare il bilancio, a invertire la crisi societaria, tecnica, d’immagine degli ultimi anni.