La parola chiave per entrare nel mondo di Frank Chamizo è futuro. Non un futuro distante, ipotetico. È quello che lui stesso può programmare, che può vedere e controllare. È l’incontro successivo, la prossima volta che salirà sul tappeto. Oggi è il numero uno del ranking mondiale della lotta libera nei 74 chili, e per arrivarci ha seguito il percorso che aveva già tracciato, ha lavorato ogni giorno in palestra con un obiettivo in mente. Guardando al futuro. «Non mi alleno per battere il più forte», dice, «o poter dire “sono migliore di lui”. Penso a stare al primo posto, a mantenere quella posizione nel tempo. Ma è una condizione che si costruisce con la programmazione, mettendo in conto incidenti di percorso. Può capitare di perdere il singolo incontro ma è più importante costruire una carriera da numero uno, magari facendo più gare, quindi più punti, dosando gli sforzi, scegliendo il percorso migliore».
Oggi Frank è al lavoro al Palafijlkam di Ostia per preparare le prossime Olimpiadi. A Tokyo sarà brand ambassador di Pulsee Italia Team, al fianco di altre eccellenze nazionali, per rappresentare i colori del Paese e i valori che la squadra condivide con l’energy company: Pulsee, marchio del gruppo Axpo, ha siglato una partnership con il Coni in vista dei Giochi. Obiettivo chiaro: «L’oro deve essere mio». Non è un’ossessione, è la tappa già stabilita sul suo cammino. Arrivarci da numero uno non è solo un titolo di cui vantarsi, è un fattore che può aiutarlo quando è sul tappeto: è un vantaggio psicologico, un’arma che entra in funzione già prima dell’incontro per abbattere la fiducia dell’avversario. Forse è più importante della tecnica: per Chamizo, vincere di sola tecnica ai massimi livelli mondiali è utopia; non può riuscirci nessuno, nemmeno il numero uno.
Allora la differenza la fa chi è più pronto mentalmente: «Il livello è altissimo, la competizione è molto equilibrata. Il talento, inteso come dote naturale, ti può aiutare a crescere, a scalare il ranking, ma per stare su ti serve relativamente. Senza la giusta mentalità non si può rimanere ad altissimo livello a lungo. Di sicuro ci vuole una doppia dose di coraggio e furbizia. Ma tutto parte dalla testa».
Certo, la parte atletica conta: bisogna fare attenzione a non esagerare con la forza, con la massa muscolare che rallenta i movimenti e appesantisce e rischia di costringere a gareggiare in un’altra categoria di peso. Si allena l’esplosività, necessaria per sfuggire alle prese dell’avversario e scattare quando si passa all’attacco. E bisogna preservare un’integrità fisica complessiva «perché qua ci vuole niente che ti fai male», dice in barba alla scaramanzia.
Ma è nella testa che Frank Chamizo trova la sua energia, la forza che tutti i giorni lo spinge a essere la versione migliore di sé. «Molti lottatori non reggono la pressione di dover stare nel peso: psicologicamente è tosta, anche perché quando esci dalla palestra dopo aver bruciato tanto vorresti mangiare come se non ci fosse un domani. Per me è cambiato tutto quando con l’età ho imparato a capire me stesso, ho imparato a conoscermi. So quello di cui ho bisogno per stare bene e la voglia di stare bene mi dà la carica, mi sveglia, mi accende. In carriera ho cambiato categoria più volte perché sentivo che potevo star bene a 65 chili come a 70 o a 74. Tanti sportivi decidono di investire un sacco di soldi per curare il proprio corpo. Ma l’energia devi trovarla dentro».
Sono convinzioni maturate nel tempo. Oggi Frank ha 28 anni, è un campione affermato: due ori mondiali, quattro ori europei, un bronzo olimpico, il primato nel ranking. Non è sempre stato così: a sette anni è entrato di nascosto in palestra a Matanzas, Cuba, sua città natale. «Mi affascinavano i salti mortali, l’atletica, quelle discipline, non la lotta. Poi però mi sono avvicinato a questo sport ed è stato tutto così naturale, ho scoperto di essere molto bravo. E direi per fortuna: ero iperattivo e nella lotta sfogavo. Arrivavo in palestra alle 4 e stavo lì fino a tarda notte anziché stare in strada. In un certo senso la lotta mi ha salvato».
Il momento che ricorda con più gioia, nella sua carriera da lottatore, è proprio quello in cui la lotta lo ha tirato fuori da un periodo difficile: i Mondiali di Las Vegas nel 2015, a 23 anni: la vittoria più bella, che non può fare a meno di ricordare fissando lo sguardo su un punto lontano, come se rivivesse quelle emozioni. «Non riuscivo a crederci. Venivo da una squalifica che mi ha tenuto fermo praticamente due anni e mezzo per non aver fatto il peso ai Giochi panamericani. Sono stato prima a Cuba doveva facevo una vita che non mi piaceva perché la vita lì purtroppo è ovattata, chiusa. Poi sono tornato in Italia, mi sono preparato per un anno e mezzo e ho vinto. Alcuni lottatori lavorano una vita intera per vincere un Mondiale».