La leadership silenziosa di Miguel Veloso

Intervista al capitano del Verona, uomo-guida della squadra giovane, intensa e spensierata di Juric.

C’è un romanzo di Stephen King, L’incendiaria, che si apre con questa dedica: «A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce». È la stessa impressione che mi dà Miguel Veloso mentre parla, gli inconfondibili e vagamente ipnotici saliscendi dell’accento portoghese che fanno capolino dietro a un ottimo italiano. «Non mi piace molto parlare», conferma lui, «non mi piace molto apparire. Anche mia moglie dice sempre che parlo poco…». «Non parla mai. Anche quando si arrabbia, non urla, semmai sta zitto», dice ridendo Paola, figlia del presidente del Genoa Preziosi e sposata con Veloso dal 2013.

Nato nel 1986 a Coimbra, figlio d’arte – il padre, António, è stato difensore del Benfica e poi allenatore – Miguel a otto anni inizia a giocare nel proprio nel Benfica, dove però patisce la nomea di raccomandato. «Allora sono andato a giocare in una piccola squadra, dove ho fatto molto bene; e a quel punto mi ha voluto lo Sporting Lisbona, il grande rivale del Benfica. Avevo quattordici anni, ed è stato il momento in cui ho capito di volerlo fare sul serio, non solo come divertimento». Con lui allo Sporting c’è un altro ragazzo che promette molto bene. La sera spesso sparisce, lo ritrovano in palestra dove si allena ben oltre l’orario previsto. Si chiama Cristiano Ronaldo.

Nel 2010 Veloso viene comprato dal Genoa, dove resta fino al passaggio alla Dinamo Kiev nel 2012. In quegli anni gioca anche due Europei e due Mondiali con il Portogallo. Nel 2016 torna al Genoa, e nell’estate del 2019, da svincolato («Ma per scelta mia, non volevo più stare a Genova»), riceve una telefonata. È Ivan Juric, che è appena diventato allenatore del Verona e lo vorrebbe con sé. I due hanno in comune esperienze non proprio esaltanti al Genoa, che li hanno fatti finire entrambi a più riprese nel mirino dei tifosi. Veloso non è del tutto convinto del trasferimento («Avevo qualche dubbio perché a Verona non conoscevo nessuno») ma si decide proprio perché ad aspettarlo c’è Juric.

Si presenta con un post Instagram sul profilo della società, in cui dichiara di voler fare la sua migliore stagione in Italia. Qualche sopracciglio, a Verona e non solo, si alza. “Grande tecnica ma gioca da fermo”, maligna qualche tifoso – e qualche giornalista. Lo stesso scetticismo del resto aleggia anche su Juric e sulla rosa nel complesso. A inizio campionato, complice la sconfitta in Coppa Italia con la Cremonese, non c’è testata nazionale che dia alla squadra qualche chance di salvezza. Alla prima giornata il Verona ospita il Bologna. Resta in dieci dopo pochi minuti per l’espulsione di Dawidowicz, va sotto sul rigore conseguente, soffre. Al trentaseiesimo guadagna però una punizione poco fuori dall’area. Veloso sistema la palla, tre passi di rincorsa, e la mette dentro. È uno a uno. I dubbi che la squadra non sia attrezzata per la Serie A sono solo rimandati, ma almeno Veloso ha dimostrato cosa sia in grado di fare col suo sinistro.

E proprio sul suo sinistro c’è una storia curiosa: «A quattro anni tiravo solo col destro. Un giorno mio padre mi dà un coppino e mi dice di tirare anche con l’altro piede. Io inizio a calciare di sinistro, e da lì in poi quello diventa il mio piede naturale. La cosa strana è che scrivo con la destra, e che per esempio le rovesciate mi riescono solo di destro». Mancino inconsapevole, parzialmente mancino, come definirlo? Comunque sia, quel coppino pare sia stato provvidenziale. Oltre alle punizioni Veloso nel Verona tira anche i calci d’angolo, e a fine stagione saranno quattro i suoi assist dalla bandierina, oltre ai tre gol personali. Gli chiedo se dietro ai calci da fermo ci sia anche uno studio, diciamo così, teorico. «No, teoria no, solo allenamento. Tutto nel calcio dipende da questo, tutto si può allenare». Anche la testa? «Sì, ma deve partire da te. Io fino ai ventisei anni non mi curavo come adesso. La mia fortuna è stata un piccolo problema al tendine d’Achille quando ero alla Dinamo Kiev. Allora sono andato da un nutrizionista, ho seguito la dieta, e il dolore all’improvviso è passato».

A Verona cominciano a chiamarlo il Professore, un soprannome che a quanto pare si deve a Prandelli, e che in riva all’Adige, complice un post Instagram del Verona, ha avuto la definitiva consacrazione. La squadra, dopo la partita col Bologna, inizia ad assomigliare sempre di più al suo allenatore. Aggredisce alto, non rinuncia a giocare neanche contro le big. Vince a Lecce, perde con Milan e Juventus senza sfigurare, continua a crescere. E il meglio deve ancora arrivare. Dopo la pausa natalizia vince con Spal, Genoa e Lecce, pareggia con il Bologna; poi, in una settimana, pareggia a Milano con il Milan, a Roma con la Lazio, e l’8 febbraio, in un Bentegodi incandescente, batte in rimonta la Juventus di Cristiano Ronaldo. L’Hellas, insomma, vola. E Veloso, guarda un po’, corre. Parecchio, stando alle statistiche sui chilometri percorsi. Gli chiedo allora come mai avesse questa nomea di giocatore statico. «Forse dipende dal fatto che non sono veloce nella corsa. Quello non è il mio punto forte, lo so anch’io, ma magari sono più veloce di altri nel ragionamento. E comunque, alla fine, di chilometri ne macino tanti».

Il Verona chiuderà la stagione al nono posto, un piazzamento che da queste parti non si vedeva da vent’anni. E siamo a oggi, a questa stagione appena partita – e sul cui destino esistono al momento poche certezze. Veloso ha rinnovato il contratto fino a fine stagione, e la sensazione è che a lui spetti anche il ruolo di “chioccia” per alcuni giocatori più giovani. Gli chiedo allora di Ivan Ilic – diciannove anni, in prestito dal Manchester City con diritto di riscatto – che lo ha sostituito contro il Parma. Di lui Juric ha detto che è «sicuramente talentuoso» ma «ancora un bambino».

La citazione – schietta al limite dello spietato, puro Juric – fa sorridere Veloso, che però nel “bambino” ha fiducia: «Ha bisogno di tempo per adattarsi a come ci alleniamo, deve imparare la lingua, ma è intelligente e farà benissimo». Parole da allenatore, e infatti Veloso ammette che prima o poi gli piacerebbe sedersi in panchina. Forse sta già “rubando” qualcosa a Juric, con cui al momento sembra esserci un solo motivo di attrito. Grande appassionato di musica metal, si dice che il mister la ascolti per caricarsi prima delle partite, quindi chiedo a Miguel se faccia lo stesso anche per caricare la squadra. Lui sorride, alza gli occhi al cielo: «Non mi far parlare», dice.

Da Undici n° 35