L’uomo più veloce d’Italia: intervista a Marcell Jacobs

Il nuovo primatista nazionale sui 100 metri racconta la sua storia, la sua routine, la sua crescita esponenziale. E le sue prospettive verso Tokyo 2020.

«Non è stato semplice, impossibile negarlo, ma non ho mai considerato potenziali alternative. Sogno di diventare un atleta professionista e partecipare alle Olimpiadi da quando ho 12/13 anni». Parlare con Marcell Jacobs, a dispetto dei suoi 26 anni, significa confrontarsi con un atleta che ha una pressoché assoluta consapevolezza delle proprie potenzialità e caratteristiche tecniche, giudicate con la fredda maturità di un veterano; che sa bene chi è e dove può arrivare.

Una carriera ricca di vicissitudini, segnata da infortuni in serie e periodi negativi, che sembrano però aver temprato, in maniera quanto mai efficace e determinante, il carattere dell’italo-americano. Il 9″95, sui 100 metri piani, realizzato al meeting di Savona, lo ha ovviamente catapultato in un vortice mediatico, gestito però con sagace disponibilità e competenza. L’impressione che si ricava, intervistandolo, è che lo sprinter delle Fiamme Oro, in realtà, non aspetti altro da tutta una vita e che sappia, nei minimi dettagli, come muoversi, dentro e fuori la pista. In fondo, a pensarci bene, la corsa di Marcell è appena iniziata.

Ⓤ: A che punto della tua carriera hai capito che saresti potuto diventare uno dei migliori al mondo nella tua disciplina e trasformare la tua passione in una professione a tutti gli effetti?
Nonostante gli alti e bassi, ho avuto, fin da giovanissimo, l’ambizione di ottenere i risultati arrivati negli ultimi anni. Il mio è stato un percorso tortuoso, caratterizzato anche da un cambio di disciplina, ma senza il mio vissuto agonistico, non sempre lineare, probabilmente non sarei arrivato dove sono oggi. Quando le professoresse, a scuola, mi domandavano quali fossero le mie speranze per il prossimo futuro, quale sarebbe stato il mestiere dei miei sogni, rispondevo senza esitare l’atleta. Non ho mai avuto dubbi a riguardo.

Ⓤ: Nel post-gara del meeting di Savona, con estrema onestà intellettuale, hai dichiarato di non aver avuto a disposizione il tempo materiale per realizzare la portata della storica impresa. Adesso, quali sono le tue sensazioni ad una settimana di distanza?

Non ti nascondo che l’ambizioso obbiettivo, anche visti i risultati ottenuti negli ultimi mesi, fosse proprio quella di riuscire a scendere sotto la famosa soglia dei fatidici 10 secondi; non credevo però di chiudere a 9″95 già in batteria. Tra l’altro, la mia non è stata una prestazione perfetta, impossibile nasconderlo, ci sono state delle “sbavature” tecniche, sulle quali potrò sicuramente lavorare.

Ⓤ: Hai sollevato una questione interessante: credi di avere ancora dei margini di crescita nel medio-breve termine?

Assolutamente sì. Quello a Savona è stato il mio esordio stagionale sui 100 metri e la prima, storicamente, è una gara complessa, ricca di ansie ed aspettative. Pur sentendomi bene, non ho ancora raggiunto la condizione fisica ideale; l’obbiettivo, mio e del mio team, è quello di migliorare e crescere ulteriormente.

Ⓤ: Manca sempre meno per l’attesissimo appuntamento di Tokyo 2021. Qual è il sogno nel cassetto? La finale? Una medaglia?

Sogno, come tanti altri sportivi, le Olimpiadi fin da bambino. Quella di quest’anno è un’edizione particolare, nei 100 metri: manca sicuramente il favorito numero uno – ai nastri di partenza, oltre a Usain Bolt, non ci sarà il campione del mondo Christian Coleman- . Personalmente mi sono posto la finale come un traguardo alla mia portata; nel caso riuscissi a raggiungerla, la situazione diventerebbe chiaramente molto interessante, e, a quel punto, francamente non voglio pormi limiti.

Ⓤ:  Qual è il rapporto con Filippo Tortu – al quale Marcell Jacobs ha strappato il primato italiano sui 100 metri piani – ? La vostra sembra una rivalità all’insegna della correttezza e la sportività.

Dici bene. Il nostro è un bel gruppo e sportivamente parlando ci stimoliamo a vicenda. Al di fuori della competizione, dove la rivalità non nuoce in nessuna maniera alla nostra amicizia, tra di noi c’è una bella sintonia, ci troviamo alla grande.

Marcell Jacobs è nato a El Paso, in Texas, da padre americano e madre italiana. Si è trasferito da piccolo in Lombardia, per la precisione a Desenzano del Garda (Brescia), e ha iniziato a praticare l’atletica leggera. Dal 2014 fa parte delle Fiamme Oro, il il gruppo sportivo della Polizia di Stato (Sergei Gapon/AFP via Getty Images)

Ⓤ:  Nelle ultime settimane hai, a più riprese, sottolineato l’importanza dell’ingresso di un mental coach nel tuo team di lavoro (Nicoletta Romanazzi). È stata una delle chiavi dei successi degli ultimi mesi, permettendoti una maggiore tranquillità e consapevolezza ai blocchi di partenza. Cosa puoi dirci a riguardo?

Da settembre lavoro con un team personale, che mi segue in ogni aspetto della mia preparazione, grazie al quale sono cresciuto con continuità a livello di prestazioni. Credo siano riusciti a valorizzare, come mai prima, le mie potenzialità. Tornando alla questione mental coach, non ti nascondo che quello della tenuta psicologica è sempre stato un mio limite; con l’ingresso di una figura di questo calibro nella mia vita privata ho iniziato a gestire in maniera totalmente differente alcune situazioni di stress ed inquietudine. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ⓤ: Un’ultima battuta sull’utilizzo in allenamento dell’ormai celebre scudo aerodinamico in plexiglass. Una sorta di “dietro moto” potenziato per permettere una stimolazione alternativa ed efficace dei muscoli delle gambe.

Devo ringraziare il CONI per aver messo a punto questo macchinario di ultima generazione, la loro collaborazione è stata fondamentale nel corso degli anni. Lo “scudo” è agganciato ad una macchina con telecamere e sensori all’interno che permettono uno studio dettagliato della mia prestazione, senza lasciare nulla al caso. Corri senza l’attrito dell’aria, riuscendo a raggiungere velocità che in altra maniera non riusciresti a raggiungere. Devo ammettere di aver avuto modo di utilizzarlo una sola volta, rimane però un’alternativa quanto mai valida per lavorare su alcuni particolari aspetti tecnici.