Quando si rialza da terra dopo aver parato il rigore di Morata e si aggiusta appena i guantoni intorno al polso, Gigio Donnarumma mi ricorda un altro grande portiere degli ultimi vent’anni, uno dei migliori in generale e uno dei più bravi, soprattutto, a parere i calci di rigore: Nelson Dida. Donnarumma si rialza e lo sa che ha appena fatto la parata più importante della sua vita finora, quella che ha creato il break per l’Italia per andare in finale, quindi anche la parata più importante nella storia della Nazionale dal 2006 in poi. Eppure si sistema i guanti e non dice niente, non esulta, non urla, non si gira verso la curva che pure era dietro di lui. La stessa espressione timida e concentrata di Nelson Dida dopo ogni rigore parato, e ne ha parati molti, dalla Libertadores ai Mondiali per club alle finali di Champions League giocate con il Milan.
Ho pensato poi alle reazioni di un altro portiere legato a Donnarumma, un altro grande della nostra epoca e un altro molto forte proprio nella specialità dei rigori, e cioè Gianluigi Buffon. Lui è il contrario. È evidente nel più famoso dei rigori parati da Gigi, quello su Ronaldo il Fenomeno, quello in cui aveva sotto la casacca del Parma la maglietta con il simbolo di Superman. In quell’occasione il pallone respinto da Gigi andò sui piedi di Thuram, che lo calciò verso il centrocampo, senza buttarlo fuori, e cioè tenendolo in gioco, eppure il numero uno, giovanissimo e già con quel carattere lì, non era a difendere la porta, ma arrampicato sulle reti di protezione dietro di lui per urlare insieme alla Curva Nord.
Gigio Donnarumma da sempre è diviso tra questi due portieri, l’ha detto anche in un’intervista poco prima dell’inizio di Euro 2020, «abitavo a Pompei con mia sorella e in camera avevo i poster di Buffon e Dida», ed effettivamente se l’italiano è sempre stato il termine di paragone mediatico, perché italiano, appunto, perché il migliore del mondo per lungo tempo, come Gigio probabilmente è già, perché precoce come lui, è al brasiliano che Donnarumma assomiglia di più. C’entrano le lacrime a cui si è lasciato andare dopo Italia-Spagna e che ha spiegato in conferenza stampa dopo la partita con poche parole un po’ imbranate: «Un’emozione indescrivibile», mentre si toccava poi con la mano la nuca, il gesto più tipico dell’imbarazzo di un ragazzo poco più che adolescente, a farlo somigliare a Nelson Dida. Dida fenomenale in campo e fragile fuori, colpito da un fumogeno lanciato da venti metri e per magia o maledizione cambiato per sempre, poi altri errori evidentemente tipici di fragilità mentale, la triste sceneggiata contro il Celtic, quando finse un infortunio dopo essere stato appena toccato da un invasore di campo scozzese.
Gigio Donnarumma non ha mai voluto far finta di essere d’animo forte o insensibile, e questo sì che è un grande merito. Quando lo incontrai, a gennaio 2020 per la copertina di quel numero di Undici, parlammo a lungo e di tutto. Lo trovai spigliato, brillante, naturalmente come lo può essere un ragazzo di 21 anni. Parlammo dei momenti difficili, della contestazione del 2017 quando lo chiamavano dollarumma, e la sua stessa curva lo fischiava e insultava. Disse: «Provavo a non pensarci, ma anche se non volevo, ci pensavo e soffrivo». La contestazione peggiore arrivò durante Milan-Verona, era dicembre e faceva freddo e San Siro era mezzo vuoto e anche quel giorno Donnarumma pianse.
In un’altra intervista sempre del 2021 è proprio Nelson Dida, che nell’ultimo anno ha allenato Donnarumma come preparatore dei portieri del Milan, a parlare di Gigio, e parla dei difetti, dice che sente troppo la partita e l’emozione della gara ma sta migliorando, ed è facile pensare che sia la persona più adatta per aiutarlo in quello, quel portiere silenzioso e timido e così fragile e così bravo e adesso maturo. Poi dice anche che Gigio «adora il Milan», ed è la stessa cosa che aveva detto anche a me quel gennaio, che lui il Milan ce l’ha nel cuore, che lo tifava da bambino. Gli ho creduto, da milanista, e gli credo anche adesso, anche se ha scelto di non giocare più per il Milan.
Da luglio 2021, proprio durante l’Europeo, Donnarumma non è più un giocatore rossonero, dopo sei stagioni da professionista e 251 partite. Ha giocato la semifinale e giocherà la finale da free agent e forse se ne andrà in Francia al Paris Saint-Germain anche se per larga parte del mondo calcistico è un affronto che non avrebbe dovuto osare. È questo il problema che il mondo del tifo ha con i calciatori: vengono disumanizzati come idoli oppure come schiavi, a seconda delle esigenze. Adorati finché sono nella squadra che ci piace, e però senza un libero arbitrio di fare quello che vogliono della loro vita privata e professionale. Lo stesso discorso vale per i pensieri di ex giocatori e opinionisti, le cui opinioni riempiono le migliaia di blog che creano intorno al calcio un assordante e superfluo rumore gossipparo, come se non bastassero tre quotidiani esclusivamente sportivi che si costringono ancora oggi a uscire ogni giorno. Perché se uno tifa il Milan dovrebbe precludersi la possibilità di giocare a Parigi, oppure a Londra, oppure a Roma. Perché i soldi sono sempre sterco, se sono appannaggio degli altri. Perché se vuoi guadagnare dieci milioni anziché sei allora sei un infame, un vile, un traditore (ma se ne volessi guadagnare uno, di milione, anziché cinquecentomila euro, il problema sarebbe minore). Per questo tipo di tifoso il calciatore non può scegliere, deve eseguire, promettere, giurare, finché morte non ci separi, altrimenti: infame. È la lingua delle mafie, la lingua del delitto d’onore, che nel calcio tenta goffamente di travestirsi da passione.
L’Europeo 2021 è, per l’Italia ma non solo, anche l’Europeo di Donnarumma. Perché è stato costantemente uno dei migliori in campo, e non soltanto per il rigore parato contro la Spagna. Anche per la parata su Dani Olmo, oppure per quella su De Bruyne al minuto 21′ di Italia-Belgio, e anche per quella al 105’ su Schaub contro l’Austria, per quella doppia su Zuber nel secondo tempo contro la Svizzera. Perché fa tutto questo, già di per sé straordinario, mentre invece diventa un meme il tizio che gli sventola i venti euro ridendo divertito, mentre su Instagram gli scrivono “piccolo uomo” o le emoji dei soldi o “mercenario” o “infame” o “merda”, circa tremila volte sotto ogni foto che posta perché un diciottenne che fa il calciatore si può insultare e umiliare senza problemi, e del benessere mentale degli sportivi non frega niente a nessuno. È l’Europeo di Donnarumma anche perché lui sta zitto e poi ogni tanto non ce la fa più e si lascia andare e piange, e continua a essere il più forte di tutti, nonostante tutto. Anzi, per tutte queste cose è proprio fuori dal campo che è il migliore.