Le newsletter sono il futuro del giornalismo sportivo?

Intervista a quattro autori: Giorgia Bernardini, Angelo Carotenuto, John Muller, Rory Smith.

Lo Slalom è una pantagruelica newsletter sportiva che Angelo Carotenuto – ex caporedattore dello sport di Repubblica, oggi collaboratore del Venerdì e scrittore – cura e invia ogni giorno ai suoi abbonati intorno alle 10. Quando gli scrivo mi risponde alle 2.44 di notte e, più che a un giornalista, penso a un fornaio che prepara le notizie del giorno per chi le leggerà sulla propria mail la mattina dopo a colazione. «Impastavo, in effetti», dice. Zarina è una newsletter sullo sport femminile pubblicata ogni mese da Giorgia Bernardini: dallo scorso aprile fa parte di Ultimo Uomo.

Space Space Space si chiama così per un’intervista-manifesto rilasciata nel 2011 al Guardian da Xavi. La cura da Brooklyn John Muller, parla di tattica, arriva due volte alla settimana e i lettori più attenti riconosceranno nelle illustrazioni dei pezzi un chiaro omaggio a uno dei prodotti che hanno rivoluzionato il modo di scrivere di sport negli ultimi anni, il sito The Run of Play di Brian Phillips. Rory Smith, infine, non ha bisogno di presentazioni: è il principale corrispondente per il calcio del New York Times. Invia la sua newsletter ogni venerdì. Ho parlato con tutti e quattro per saperne di più su uno dei formati giornalistici del momento.

Ⓤ: Perché avete deciso di scrivere una newsletter?
Giorgia Bernardini (GB): Nel 2019, prima dei Mondiali di calcio femminile, stavo scrivendo un romanzo la cui protagonista era una giocatrice di basket e in alcuni momenti, per ispirazione, avevo bisogno di leggere storie di altre sportive. Ma sui giornali italiani non trovavo nulla e questa cosa mi è rimasta nel cervello. Non era solo una mancanza di storie, era anche una mancanza di presenza, una mancanza di donne, giornaliste e scrittrici che raccontassero queste storie. La mia sensazione è che, quando i giornalisti di una certa generazione si occupano di sport femminile, hanno una sensibilità diversa, lo fanno sempre con una retorica particolare, con uno sguardo che va dall’altro verso il basso, come se loro osservassero una specie di acquario in cui le sportive si muovono. E quindi ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere di sport femminile. Dopo che qualche mia storia è stata rifiutata da alcuni giornali mi sono detta: sai che c’è? Adesso mi faccio la mia newsletter.

Rory Smith (RS): L’idea era quella di ritagliarmi uno spazio per scrivere delle cose un po’ diverse, a volte un po’ personali, quasi delle opinioni. Credo che il New York Times negli ultimi anni abbia capito che le newsletter sono un buon modo per costruire un senso di comunità con il pubblico. Offrono ai lettori qualcosa in più. Ma sono anche un modo per raggiungere nuovi lettori: chi è interessato a cose specifiche (calcio, cucina, eccetera), magari potrà pensare: se mi piace questa parte dell’offerta del Times, forse me ne piaceranno anche altre.

Angelo Carotenuto (AC): Una newsletter e non un sito, o un blog, era un modo per raggiungere immediatamente una prima cerchia di persone, gli addetti ai lavori e i colleghi, perché c’erano delle mail pubbliche alle quali inviare i numeri zero. La forza di Slalom è però anche paradossalmente il suo equivoco, perché molti possono pensare a Lo Slalom come a una rassegna stampa e poi scoprire in realtà che non è solo una rassegna stampa ma, a me piace definirlo così, un magazine che esce tutti i giorni.

Ⓤ: Quali sono i vostri modelli?

AC: Sono due anni che mi iscrivo a tutte le newsletter che trovo. Siccome Lo Slalom vive di frammenti, spesso una cosa la posso trovare nascosta in un pezzo, andando oltre le intenzioni di chi l’ha scritta, e la posso recuperare, dilatare, darle un’altra forma e inserirla in un altro contesto. È un lavoro molto divertente, affascinante e stimolante. In qualche maniera mi è stato utile anche il lavoro del Post perché anche loro hanno come metodo la lettura critica di quello che c’è scritto in giro. E The Ringer è un sito di riferimento per la cultura pop.

GB: Ho sempre letto newsletter femministe come Ghinea, Senza Rossetto, Mutande del Lunedì. Sono tutte newsletter che non hanno niente a che fare con lo sport, ma ho preso un po’ il loro mood. Mi piaceva tantissimo il modo preciso, quasi universitario, nerd, che ha Ghinea nel raccontare le cose. Senza Rossetto invece è più integrante, ha un linguaggio molto più morbido.

Ⓤ: Alcune delle vostre newsletter sono a pagamento, altre sono gratuite, altre ancora permettono sia l’abbonamento gratuito sia quello a pagamento. Il vostro modello di business è sostenibile? 

John Muller (JM): Io collaboro anche come freelance con FiveThirtyEight, ma Space Space Space è la mia fonte di reddito primaria, direi che guadagno abbastanza per sostenermi anche se non sono molti soldi come quando facevo l’avvocato a New York. Non sono tanti quelli che scrivono newsletter a pagamento e riescono a viverci. Ci sono diversi modelli di business: qualcuno mette tutto a pagamento, altri mettono tutto gratis e chiedono solo donazioni ai lettori, ma per me finora sta funzionando bene il metodo metà gratis, per arrivare a più persone possibili, e metà a pagamento, per le persone a cui la newsletter piace al punto da abbonarsi. Ho parlato anche con chi lavora nel settore, come quelli di Substack, e questo è il modello che loro consigliano.

AC: Purtroppo no. C’è una discrepanza tra il tempo che dedico a Lo Slalom, che ormai è diventato il mio principale impegno quotidiano, e quello che Lo Slalom garantisce come ritorno. Speravo di poter arrivare a una soglia di autosostentamento nell’arco di un anno, ma c’è stata la pandemia di mezzo e ho dovuto far slittare l’obiettivo. Molti pensavano: cosa mi abbono a una newsletter sportiva se lo sport non c’è? A questo punto, alla fine del secondo anno di vita, diciamo alla fine del 2021, capirò che cosa può diventare Lo Slalom. Il mio desiderio rimane renderlo un’azienda che dia lavoro ad altre persone. Per ora dico di no a tutti i ragazzi che mi scrivono che vogliono lavorare per Lo Slalom perché senza budget mi sento male all’idea di sfruttare qualcuno. Lo Slalom, però, mi ha portato una collaborazione con La Gazzetta dello Sport: seguivano la mia newsletter, gli è piaciuta e mi hanno chiesto di pensarne due mirate per i loro abbonati. Una viene distribuita tutti i giorni intorno alle 13 e l’altra intorno alle 18.30.

GB: Zarina non è la mia fonte di sussistenza, io lavoro in una galleria fotografica a Berlino, dove abito. Non sono neanche una giornalista, ho sempre scritto fiction. Mi sono prestata molto volentieri a questa causa perché ho una carriera di pallacanestro molto lunga alle spalle e ho unito le due cose. Adesso che Zarina è parte di Ultimo Uomo, comunque, ho un budget che reinvesto per pagare le persone che scrivono su Zarina e per me questo è un aspetto molto importante.

Agli albori dell’era internet, le newsletter erano uno strumento puramente commerciale, pubblicitario, utilizzato dalle aziende per fidelizzare i propri clienti e trovarne di nuovi. Col tempo, si è trasformato in un vero e proprio contenuto editoriale (Joe Klamar/AFP via Getty Images)

Ⓤ: Mi sembra che il principale punto in comune tra le vostre newsletter sia un certo senso di complicità che create con i lettori attraverso l’utilizzo di un linguaggio leggero e ironico. Come se steste scrivendo una lettera a un vostro amico o a vostro fratello. Può essere un modo per ricreare nei lettori la fiducia nel giornalismo?

RS: Probabilmente quando scrivo una lettera a mio fratello impreco di più! Comunque sì, le newsletter possono essere un’occasione per alzare il sipario sul processo di pensiero che c’è dietro al lavoro giornalistico e per spiegarlo un po’ di più. Io per esempio vedo il giornalismo come un mestiere, non come un’arte, quindi la maggior parte delle volte il retroscena dei miei articoli è che ho fatto molte telefonate e ho cercato di parlare con più persone possibili. Qualche volta però è prezioso conoscere questo processo. E poi la mia newsletter è anche un’occasione per rispondere ai lettori: manteniamo una sezione per la corrispondenza perché penso che sia davvero importante interagire con le persone che ti leggono. Dovrebbe essere un rapporto reciproco.

AC: Assolutamente. Un’altra newsletter che segnalo spesso è quella del sito Ubitennis, Warning, che ha un linguaggio molto leggero e molto ironico, sarcastico, che crea appunto complicità con chi legge. Si crea un umore, un patrimonio collettivo di riferimento, e dopo si imparano a conoscere i gusti di chi sta scrivendo, si sa già dove vuole arrivare quando introduce un argomento. La vorrei chiamare una costruzione di valori condivisi, nei quali c’è per esempio anche la trasparenza della documentazione. Lo Slalom vuole rendere trasparente il processo di documentazione che un giornalista segue per scrivere un pezzo. Anche un aggettivo che mi è passato per la testa intorno a un argomento cerco di attribuirlo alla persona che me l’ha ispirato. Oppure c’è il valore della sincerità: io non ti nascondo qual è il mio punto di vista su una cosa, però allo stesso tempo Lo Slalom non ti nega il punto di vista di uno che non la pensa come me. Un altro aspetto che mi sta moltissimo a cuore venendo dai giornali e sapendo le difficoltà che ci sono, poi, è cercare di non saccheggiare quello che pubblicano. Entro i limiti del diritto di riproduzione, io segnalo un frammento e in cuor mio spero anche di rendere un servizio, magari di incuriosire qualcuno a comprare un giornale che fino a quel momento non aveva letto perché non sapeva che poteva trovarci una cosa così interessante o una firma così bella.

JM: Penso che tutta la scrittura su internet si stia muovendo verso questa direzione. Il modo di scrivere online non è lo stesso che si trova sulla carta. Anche quando scrivo su FiveThirtyEight posso essere colloquiale perché le persone sono abituate così su internet. Ma sono d’accordo che in una newsletter la scrittura è ancora più personale: sono io che parlo con te, non è FiveThirtyEight che parla con te. Forse anche il fatto che le newsletter vengano inviate direttamente nella tua cartella di posta in arrivo le aiuta a essere più colloquiali.