Novak Djokovic è come quei maratoneti che, a poche miglia dal traguardo, hanno staccato tutti gli avversari e sembrano correre da soli. È come quei vincitori di quelle maratone che, nelle inquadrature larghe della tv, non danno mai la sensazione di essere in discussione. Insomma, Djokovic è diventato imbattibile: non c’è un solo tennista nel circuito maschile che possa pensare di contendergli il primato del ranking Atp, e che possa reggere il suo livello tecnico, fisico, mentale in una partita al meglio dei cinque set come quelle lunghe degli Slam. Uno di quelli che ci è andato più vicino in tempi recenti è Matteo Berrettini, nell’ultima edizione di Wimbledon: gli ha rubato il primo set dopo essere stato sotto 5-2 e non è mai uscito dalla partita, nemmeno quando Djokovic ha iniziato a spingere al massimo. Solo che il risultato non è mai sembrato davvero in bilico. Berrettini sarebbe il miglior giocatore del circuito su erba, almeno nel 2021 – ha vinto il Queen’s – ma Nole aveva una risposta per ogni suo vincente, lo ha costretto a una forzatura dietro l’altra, al punto da obbligarlo a 48 errori non forzati. In primavera, come se non bastasse, Djokovic ha battuto Rafa Nadal al Roland Garros in una semifinale che lo ha consegnato alla storia: con quel successo, è diventato il primo tennista della storia a vincere due volte contro lo spagnolo sulla terra rossa di Parigi. In finale contro Tsitsipas, poi, ha recuperato uno svantaggio di due set contro quello che sembrava l’avversario più forte in quel momento.
Adesso Nole si concede anche una gita a Tokyo per le Olimpiadi, che vuole far diventare l’emblema del suo dominio sul circuito mondiale. Certo, è andato in Giappone per provare a vincere un oro che non ha ancora conquistato: è un’ambizione legittima. Solo che tra poco più di un mese, il 30 agosto, inizia lo US Open, cioè il torneo che potrebbe definire la sua legacy più di ogni altro, quello che potrebbe consacrarlo come il miglior – aggettivo in fase di discussione – tennista di tutti i tempi. A Flushing Meadows, infatti, Nole giocherà per prendersi il 21esimo titolo dello Slam, e già questo sarebbe un record assoluto nella storia del circuito maschile. In caso riuscisse nell’impresa, Djokovic centrerebbe anche il Grande Slam nell’anno solare 2021: l’ultimo a vincere i quattro tornei più importanti nei 12 mesi, tra gli uomini, è stato Rod Laver nel 1969; in quello femminile c’è riuscita Steffi Graf nel 1988.
L’equilibrio a quota 20 Slam con Federer e Nadal sembra piuttosto instabile: il ritorno in campo dello svizzero, dopo la pausa forzata del 2020, non è stato particolarmente brillante e i quattro tornei più importanti potrebbero non essere più alla sua portata; lo spagnolo farà di tutto per crearsi almeno un’altra occasione per muovere la classifica – qualcuno ha detto Roland Garros 2022? – ma a questo punto la sua finestra temporale è sempre più piccola. Djokovic, invece, sembra averne ancora in questa corsa che va avanti allo sfinimento. E ha comunque deciso di giocarsi le sue carte alle Olimpiadi, un torneo-evento che avrebbe potuto ignorare – come del resto ha fatto Nadal – per concentrarsi sui prossimi Slam, tra l’altro accompagnato con un soggiorno in un Villaggio Olimpico in cui non mancherà lo stress extra-sportivo, tra contagi, una bolla non proprio impenetrabile e le infinite critiche dei giapponesi verso i Giochi. Puntando l’oro, Nole mette nell’obiettivo il Golden Slam, cioè un risultato fuori dal mondo e dal tempo: l’unica a esserci riuscita è sempre la solita Steffi Graf, sempre nel 1988. Tra gli uomini non ci è mai riuscito nessuno.
«Sono qui per fare la storia», ha detto a Wimbledon Djokovic, ripetendo quella che nelle ultime settimane è diventata la sua punchline. Sembra sempre più la dichiarazione di un ambizioso statista, uno che vuole scrivere pagine di storia prendendosi il mondo una vittoria alla volta. Djokovic ci sta provando a 34 anni compiuti, cioè un’età in cui i suoi due rivali erano già considerati in fase calante. Nadal ha solo un anno più di Djokovic, ma sembra accusare la fatica di una carriera già lunghissima; Federer, a 34 anni, ha iniziato cambiare il suo gioco per adattarsi a un corpo che non poteva più reggere lo sforzo richiesto a un tennista dell’élite mondiale. Djokovic non solo sembra avere ancora energie, ma si concede anche il lusso di un’ambizione sconfinata, oltre ogni logica. Anche solo il fatto che ci stia provando, che stia pensando di vincere il Golden Slam nel 2021, racconta molto del suo dominio sul tennis maschile degli anni Dieci e Venti.
Dal 2006 o dal 2007, o comunque un anno da quelle parti della storia, ci siamo abituati a vedere il tennis come un’oligarchia chiusa, anzi chiusissima: prima con il testa a testa tra Federer e Nadal, poi il triumvirato con la quota serba. Oggi sul circuito Atp ci sarebbe un’aria da fin-de-siècle se Djokovic non fosse ancora così dominante – come non lo sono più i suoi rivali. Per questo Nole si sta trasformando nel villain perfetto, e sta trasformando il circuito in una tirannide, prolungando il suo regno, ampliando il suo terreno di caccia, costruendo una realtà in cui anche il meglio del panorama tennistico maschile si presenta al suo cospetto come se andasse al patibolo. Nelle gare contro Nole durante i tornei dello Slam, Medvedev, Tsitsipas, Zverev e lo stesso Berrettini mettono insieme un imbarazzante score combinato di 0-10. Come se non bastasse, Djokovic ha avuto il merito, poco invidiabile, di aver cambiato le regole d’ingaggio rispetto agli altri due mostri sacri: non ispira la passione e il calore che si attribuisce ai tifosi di Nadal, non gli verranno dedicati racconti che descrivono le sue partite come un’esperienza religiosa come fece David Foster Wallace con Roger Federer. Djokovic forse non sarà odiato da tutti come si tende a pensare e ha una fanbase enorme rispetto alla media dei tennisti, ma negli ultimi anni ha costruito – forse involontariamente – un personaggio estremamente divisivo, politicamente difficile da sostenere. Ce lo ha ricordato più di una volta nel 2020, tra complottismi sui vaccini, l’Adria Tour e cialtronate assortite che hanno fatto coniare per lui il soprannome Novax.
Intanto, però, in campo continua a fare cose senza senso: si piega ad angolature goniometriche da contorsionista, scivola e slitta e corre come se da quei gesti atletici dipendesse la sua vita. Contro Berrettini ha trovato modi impensabili per rispondere a uno dei servizi più incisivi del circuito. Ma se deve giocare in attacco ha dei colpi ancora troppo sottovalutati. Il suo gioco è superiore a quello di chiunque altro, su tutte le superfici. È anche per questo che il suo dominio sulle partite inizia già prima del primo game: è un dominio soprattutto mentale, perché Djokovic costringe il suo avversario a pensare che fargli punto sia impossibile, fino a fargli sembrare il campo troppo piccolo per costruire anche un solo, piccolissimo vantaggio strategico. Su un campo da tennis, Nole esercita una forma di autorità e controllo crudele, spregevole, violenta.
In un momento della carriera in cui sarebbe logico iniziare la parabola discendente, Djokovic si avvia a Tokyo con il Golden Slam in mente, sapendo che subito dopo ci sarà lo US Open che dovrà giocarsi come un lungo match point. Può darsi che in questo momento la tensione gli permetta di tirare la corda ben oltre il normale punto di rottura. E sarà così almeno fin quando non avrà raggiunto il suo obiettivo – che potrebbe essere il sorpasso su Federer e Nadal, o anche il record di 24 Slam di Margaret Court. Dopo, chissà: è possibile che inizi ad accusare tutto il peso di questo sforzo incredibile che sta sopportando per diventare il numero uno indiscusso della storia. Per questo c’è solo da aspettare. Ma intanto Nole continua a correre. E non c’è nessuno che possa superarlo.