«Oh no, non puoi averlo fatto ancora! Non puoi averlo fatto ancora! È qualcosa di incredibile, qualcosa che va oltre ogni immaginazione». Il commento del telecronista di BT Sport alla quarta rete del Liverpool contro il Watford restituisce tutto il genuino stupore suscitato da Mohamed Salah che continua a fare cose alla Salah. A Vicarage Road, l’attaccante del Liverpool stava letteralmente dominando una partita già marchiata a fuoco – con un assist effettuato di esterno sinistro a Mané che somigliava tanto a un colpo di ferro 7 per l’approccio al green – eppure la prima reazione quella più istintiva e naturale e per questo più vera, porta sempre a scuotere idealmente la testa e sorridere. Come succede con una tripla dal logo di metà campo di Steph Curry, con un passante di rovescio di Novak Djokovic, con un laser pass di Tom Brady che trova sempre la linea di corsa ideale del suo wide receiver a pochi passi dalla end-zone, il gol di Salah circondato da due-tre-quattro avversari è diventato una vera e propria signature move, un qualcosa che abbiamo visto e rivisto mille volte, l’ultima non più tardi di venti giorni fa contro il Manchester City, quando Gary Neville disse di aver appena visto «un gol realizzato da uno che viene da un altro pianeta».
Eppure non possiamo fare a meno di meravigliarci ancora e ancora, come se quel tocco di suola a spezzare il raddoppio e il successivo dribbling che mette a sedere il povero Cathcart fossero una novità, qualcosa di inaspettato, di assolutamente imprevisto e imprevedibile. In realtà fa tutto parte della reale grandezza dei giocatori generazionali: ogni volta rendono possibile l’impossibile, conferiscono una patina di normalità e ineluttabilità a qualcosa che potrebbe non verificarsi mai più, rivelano partita dopo partita la bellezza insita nella ripetitività di un gesto tecnico che può essere solo loro. Dopo la partita contro il Watofrd, Salah ha detto: «L’altra volta ho segnato un gol più bello? Forse sì, non lo so: io cerco sempre di fare gol o di aiutare gli altri a farne uno. È sempre un discorso di squadra, di ciò che è meglio per tutti». Forse era un modo per rispondere alle critiche di chi lo accusava – e lo accusa ancora – di essere uno stat-padder, uno che gioca al solo scopo di gonfiare le statistiche individuali, tanto più a un anno e mezzo dalla scadenza del suo contratto con il Liverpool.
Dopo la partita Jürgen Klopp ha detto che Salah «è fenomenale, il giocatore più forte del mondo in questo momento». Una dichiarazione che sembra scontata in considerazione dei numeri e di quanto è avvenuto e sta avvenendo davanti ai nostri occhi – quello contro il Watford è stato il decimo gol in 10 partite di campionato, il dodicesimo considerando tutte le competizioni, il numero 104 in Premier League; tre giorni dopo sarebbe arrivata anche la doppietta all’Atletico Madrid in Champions League. In realtà, le parole del tecnico tedesco svelano il paradosso di un dibattito in cui Salah non è mai coinvolto pur avendo tutti i titoli per esserlo. Fateci caso: quando vi chiedono chi siano i giocatori più forti del mondo il nome di Salah non è certo tra i primi tre, difficilmente tra i primi cinque, talvolta nemmeno tra i primi dieci. Se ne facciamo una questione statistica e di impatto delle prestazioni in un contesto di alto livello, l’egiziano è stato tra i pochi che negli ultimi cinque anni hanno saputo riempire il vuoto progressivamente lasciato dal declinare delle carriere di Messi e Cristiano Ronaldo. Eppure non è bastato: c’è sempre un De Bruyne, un Neymar, un Lewandowski, un Benzema, ma anche uno Mbappé o un Haaland, che sembrano aver fatto di più e meglio. O che comunque godono di un tipo di considerazione diversa e ulteriore, viene da dire uniforme, tra tifosi, appassionati, addetti ai lavori.
Ma perché facciamo così fatica a considerare Momo Salah come un fuoriclasse? In questo articolo pubblicato sul sito della CNN alla vigilia dalla gara di Vicarage Road, lo sport scientist Simon Brundish sosteneva che non esiste un reale motivo di campo per cui Salah non dovesse essere considerato uno dei due migliori giocatori di sempre della Premier League, magari alla pari con Thierry Henry, e che la sua costante sottovalutazione dipendesse in parte dalla mancata adesione ai canoni classici del calcio britannico, quantomeno nella percezione e nella narrativa di media e tifosi: «La Gran Bretagna è migliore, l’Inghilterra è migliore, la Premier League è il miglior campionato, quel tal giocatore non potrebbe fare tutto quello che fa in una fredda e piovosa notte a Stoke e così via: è un principio che vale per qualsiasi calciatore non inglese o che non ha giocato in Inghilterra abbastanza a lungo da considerarsi “uno di noi” a livello di familiarità e appartenenza».
Salah è a Liverpool dal 2017 e ha totalizzato 137 gol e 47 assist in 213 partite con i Reds; tra il 2018 e il 2019 ha condotto delle campagne di Champions cristianoronaldesche – o messianiche – per qualità, continuità e peso specifico delle prestazioni nelle gare che contano; poco prima e poco dopo l’approdo ad Anfield Road ha trascinato l’Egitto fino alla storica qualificazione ai Mondiali in Russia. Non avrebbe, perciò, più nulla da dimostrare a nessuno. Ma nonostante tutto risulta comunque difficile trovare riscontri unanimi sul suo status nel calcio contemporaneo: Chris Sutton sostiene che ormai «è diventato inutile chiedersi se sia meglio di Ronaldo e Messi perché in questo momento lo è», mentre Micah Richards – che con Salah ha condiviso sei mesi alla Fiorentina, nel 2015 – ha detto che «interpreta il ruolo che è stato di Robben e Ribery segnando lo stesso numero di reti di un grande numero 9»; di contro l’ex bandiera del Liverpool Graeme Souness lo ha definito «uno dei giocatori più egoisti che abbia mai visto», mentre Kleberson, interpellato su un paragone con il suo ex compagno di squadra Cristiano Ronaldo, ha detto che gli risulterebbe difficile inserire Salah nello stesso gruppo di CR7, Messi e Neymar perché «nessuno è ancora riuscito a fare quello che hanno fatto loro così a lungo». Salah, quindi, è in grado di polarizzare le discussioni che lo riguardano pure in assenza di un termine di paragone adeguato al suo livello: non è, banalmente, una questione tra lui e qualcun altro ma tra lui e una sua proiezione ideale, una dimensione tecnica, fisica e psicologica che per molti non ha ancora raggiunto nonostante abbia 29 anni, sia all’apice della momento migliore della sua carriera e sia la stella riconosciuta e riconoscibile di una delle squadre più forti e famose del mondo.
Il perché ci sia questa reticenza è da ricercarsi nelle tappe intermedie di una carriera la cui parabola non si è delineata in modo chiaro fin dall’inizio, in un viaggio di formazione più lungo e accidentate del previsto, nel fatto che Salah fuoriclasse lo sia diventato all’interno di un sistema che sembrava pensato apposta per esaltare quelle caratteristiche e quella volontà di potenza che a Londra, Firenze e Roma si erano soltanto intraviste, lasciando un retrogusto amaro di incompiutezza, di ciò che poteva essere e non era stato Si tratta del corollario ulteriore di una visione generalmente accettata e condivisa, per cui quello di giocatore più forte del mondo è un titolo che trascende il tempo e le distanze, un’idea immanente che prescinde dal contesto: chi lo è lo è sempre, comunque e dovunque, esaltando il collettivo senza la necessità di esserne esaltato a sua volta. In questo senso è probabile che Salah venga percepito come la punta estrema di un sistema estremo a sua volta, la massima espressione di un calcio vorticoso, verticale, dinamico e iper-cinetico che può essere interpretato solo da lui e solo così: un giocatore di sistema supercharged, il cheat code ideale per dominare alla massima velocità possibile gli spazi aperti della Premier League.
Il Salah di Liverpool, però, ha già dimostrato di essere qualcosa di meglio, qualcosa di più, un giocatore in grado di andare oltre sé stesso e i suoi limiti: la monodimensionalità manifestata ai suoi esordi non esiste più, oggi l’egiziano è un attaccante d’élite, il facilitatore per eccellenza delle situazioni di gioco più complicate, il tassello mancante di un progetto tecnico che necessitava di un leader tecnico ed emotivo in grado di dargli forma e sostanza attraverso i gol, gli assist, il dominio sulle singole partite e, quindi, sulle stagioni. Quello tra Salah e il Liverpool, anzi tra Salah e Klopp, è stato un do ut des che ha un precedente comparabile nel sodalizio Messi-Guardiola: e così come l’intuizione dell’uomo di Santpedor di fare del suo numero 10 il principale terminale offensivo della sua macchina perfetta costituì il turning point della carriera di Messi, allo stesso modo la scelta del tecnico tedesco di costruire un tridente in cui Salah fosse uno e trino, rifinitore e finalizzatore, può essere considerata la chiave con cui l’ex Roma ha potuto aprire le porte del suo calcio a tutti quelli che non lo hanno mai ritenuto all’altezza, che non lo hanno mai considerato abbastanza. La carriera di Messi – quindi il suo status di più forte del mondo – non è più oggetto di discussione, come è normale che sia; quella di Salah invece sì, senza una ragione valida, una controprova fattuale, qualcosa che possa negare ciò che si vede ogni tre giorni sui campi di tutta Europa.
Nel massacro di Old Trafford, Salah ha maltrattato il Manchester United quasi senza accorgersene, lasciando che la partita arrivasse, anzi fluisse fino a lui, semplicemente perché era logico che dovesse andare così. Come Muhammad Ali che volava come una farfalla per poi pungere come un’ape, Salah ha cominciato zampettando qua e là per il campo con la levità di chi è superiore per diritto di nascita per poi accelerare a piacimento e bullizzare i difensori dello United, esercitando la sua volontà di chiudere la contesa nei modi e nei tempi che riteneva più opportuni: assist per Keita (0-1), tocco sottomisura (0-3), piatto sinistro sul primo palo (0-4), scavino irridente a chiudere una transizione in cui Maguire e Shaw sembravano i personaggi degli sketch di Benny Hill (0-5). Qualche settimana fa a Klopp è stato chiesto, per l’ennesima volta, di commentare lo stato di forma del suo numero 11 e se si potesse finalmente affermare che Salah è il miglior giocatore al mondo. La risposta è stata lapidaria: «Andiamo: chi è che può essere considerato meglio di lui?». Già, chi?